III Domenica di Avvento (A)




Omelie - Il Vangelo della domenica
a cura di Goffredo Boselli
Vita Pastorale (n. 11/2025)


ANNO A – 14 dicembre 2025
III Domenica di Avvento

Isaia 35,1-6a.8a.10 • Salmo 145 • Giacomo 5,7-10 • Matteo 11,2-11
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UN EVANGELO PIÙ GRANDE

Anche Giovanni Battista s'è convertito al Vangelo di Gesù. In carcere gli arriva l'eco delle "opere del Cristo". Queste e non altro fanno nascere nel Battista una domanda a Gesù: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?».
Il Battista è qui una persona assalita dal dubbio e che attende una risposta. Ci sorprende e forse ci turba anche il fatto che le azioni di Gesù non abbiano agli occhi di Giovanni quell'eloquenza e quell'evidenza messianica tali da far nascere in lui la certezza che sia proprio Gesù quel Messia veniente che è stato il cuore della sua predicazione nel deserto. Le cui opere Giovanni annuncia con termini vigorosi e immagini forti della giustizia di Dio: «Egli vi battezzerà in Spirito santo e fuoco. Tiene in mano la pala e pulirà la sua aia e raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile » (Mt 3,11-12). Un fuoco bruciante è l'immagine che domina questo vero e proprio Evangelo del Battista, come sta scritto in Luca: «Giovanni annunciava l'Evangelo al popolo» (Lc 3,18).
Le "opere del Cristo" che Gesù compie non sembrano però corrispondere a quelle del Veniente annunciate dal Battista, perché Gesù non tiene in mano la pala per fare pulizia, ma con le sue mani apre gli occhi ai ciechi e ridà loro la vista. Gesù non porta con sé fuoco per bruciare, ma con il calore della sua umanità purifica i lebbrosi. Quella di Gesù non è una parola che taglia le gambe, ma che rimette in piedi gli zoppi. Non una parola che umilia, ma che dà speranza ai poveri. È una parola di vita che risuscita i morti. A differenza del Battista, ciò che Gesù aveva a cuore non erano i peccati e il giudizio di Dio, ma la sofferenza umana. Ciò che Gesù sentiva nell'incontrare la gente era la misericordia, quella compassione viscerale che lo portava a guarire le malattie di un popolo abbandonato come gregge senza pastore.
Alla domanda netta del Battista, «sei tu o dobbiamo aspettare un altro?», Gesù avrebbe potuto rispondere confermando la continuità tra le sue opere e quelle di Giovanni, che pure erano evidenti. «Sì, Giovanni», poteva rispondergli Gesù, «sono io colui che deve venire, perché anch'io come te predico la conversione, la remissione dei peccati, l'avvicinarsi del regno di Dio. Come te esigo frutti di conversione e mi rivolgo agli ipocriti definendoli serpenti e razza di vipere».
Ma a Gesù non è sufficiente percorrere la via sicura della continuità con il suo maestro Giovanni, sceglie quella ben più difficile della differenza, della novità e della rottura. Gesù è consapevole che il suo annuncio di Dio e le sue opere verso malati, poveri e peccatori, suscitano ammirazione, ma anche incomprensione e perfino scandalo nei suoi contemporanei, e per questo afferma: «Beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!».
Da Elia fino al Battista, convertirsi a un Dio misericordioso è stato il destino di molti profeti: riconoscere la presenza di Dio non nel fuoco divorante, ma nella brezza leggera. Ecco la conversione di Giovanni: riconoscere che l'aver profetato sulle rive del Giordano «dietro a me viene uno più grande di me», significa ora, davanti alle "opere del Cristo", confessare che con il suo Evangelo Gesù è più grande di lui. Per questo «lui deve crescere; io, invece, diminuire» (Gv 3,30).


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