Omelie - Il Vangelo della domenica
a cura di Goffredo Boselli
Vita Pastorale (n. 9/2025)
ANNO C – 26 ottobre 2025
XXX Domenica del Tempo ordinario
Siracide 35,15-17.20-22 • Salmo 33 • 2 Timoteo 4,6-8.16-18 • Luca 18,9-14
(Visualizza i brani delle Letture)
XXX Domenica del Tempo ordinario
Siracide 35,15-17.20-22 • Salmo 33 • 2 Timoteo 4,6-8.16-18 • Luca 18,9-14
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ME PECCATORE
Va riconosciuto che Gesù sa trovare parole semplici e immagini incisive. Abbiamo tutti davanti agli occhi l’immagine del fariseo e del pubblicano entrambi in preghiera al tempio. Il primo in piedi, l’altro a distanza che non osa nemmeno alzare gli occhi al cielo. Uno orgoglioso delle sue azioni, l’altro vergognoso di ciò che è. Uno che elenca i suoi meriti, l’altro che si dichiara peccatore, senza nemmeno elencare i suoi peccati talmente sono tanti, e guarda solo sé stesso dicendo «abbi pietà di me».
Tutto sembra separarli:il loro posto nel tempio, l’atteggiamento del corpo, il loro stato interiore e soprattutto la loro situazione sociale e morale. Perché il fariseo è un uomo religioso, e ciò che conta per lui è obbedire alla legge di Dio, studiata e interpretata con cura. Quest’uomo è autenticamente pio e religioso. Vuole il bene e lo fa. La sua vita ordinata e le sue buone opere parlano a suo favore: digiuna due volte a settimana, dà la decima di tutto ciò che guadagna.
Quanto al pubblicano, è un giudeo al servizio dell’occupante romano, un collaborazionista. Ciò che conta per lui è il denaro che estorce ai suoi correligionari per passarlo ai pagani, intascandone una parte, come Zaccheo. Questa è la ragione per la quale non si pavoneggia nel tempio. Ha a mala pena il diritto di entrarci e mostra di esserne consapevole.
Gesù complica ulteriormente l’opposizione tra i due con un contrasto decisivo. In realtà, dice il Signore, spiritualmente è il pubblicano a essere giusto davanti a Dio. È lui che torna a casa sua giustificato, fatto giusto, e l’altro no. Come comprendere questo capovolgimento, questo tipo di ingiustizia? Secondo una certa concezione della religione, Dio approva la vita del pubblicano giusto davanti alla Legge e disapprova quella del fariseo, peccatore pubblico. Quale giustizia annuncia l’evangelo? Questa è la chiave del testo, poiché fin dall’inizio è scritto che Gesù racconta questa parabola per «per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri», e vi ritorna alla fine, contrapponendo chi è reso giusto e chi non lo è.
Nell’Antico Testamento, la persona giusta non è solo irreprensibile e rispettosa della legge, è una persona pia, un fedele credente in Dio. Ma nel Vangelo queste dimensioni della giustizia sono superate da un nuovo significato. Gesù ha rivelato una “giustizia superiore a quella degli scribi e dei farisei” che non è più una qualità umana, ma un dono divino, una sovrabbondanza di grazia e perdono. Evangelicamente parlando, il giusto è la persona perdonata. Non ci si fa giusti, ma si è fatti giusti da Dio. Per l’evangelo il giusto non si vanta di aver fatto del bene, non si lamenta di aver fatto del male. Non è né orgoglioso né commiserevole con sé stesso. Sì, Dio ci ama, sia che siamo brave persone o no. Questo amore non viene dai nostri meriti e non è ostacolato dai nostri peccati. Al di là dei nostri meriti e dei nostri peccati, Dio ci offre il suo perdono, la sua tenerezza, la sua bontà.
Siamo tutti pubblicani, collaboratori del male. Siamo tutti anche farisei che giudicano gli altri, sentendoci migliori. Il Signore perdoni i nostri errori e le nostre colpe. Che umilii la nostra vanità, che accetti la nostra umiliazione, che ci riveli la sua misericordia. «O Dio, abbi pietà di me peccatore».
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