XXVIII Domenica del Tempo ordinario (C)




Omelie - Il Vangelo della domenica
a cura di Goffredo Boselli
Vita Pastorale (n. 9/2025)


ANNO C – 12 ottobre 2025
XXVIII Domenica del Tempo ordinario

2Re 5,14-17 • Salmo 97 • 2 Timoteo 2,8-13 • Luca 17,11-19
(Visualizza i brani delle Letture)


GRATUITÀ E GRATITUDINE

Gesù è in viaggio verso Gerusalemme, sta salendo verso il compimento del suo esodo, verso la pienezza della salvezza, verso la città che è "visione di pace". È un compimento che sarà preceduto dalla passione e dalla morte e che questa pagina di evangelo mostra attraversato anche dal confronto con lo straniero, con la malattia, con la guarigione, con la gratitudine e l'ingratitudine.
Per salire a Gerusalemme Gesù attraversa la Galilea, la terra delle sue radici riconosciute e attraversa anche la Samaria, terra straniera, regione dell'alterità della fede ai confini con l'eresia. In questo intrecciarsi tra origine e stranierità, tra identità e alterità nel suo cammino verso il compimento gli vengono incontro dei lebbrosi, gli emarginati per eccellenza, uomini resi stranieri a tutti dalla malattia che vieta ogni relazione.
Il cammino verso Gerusalemme conosce queste contraddizioni, si fa strada in mezzo alle attese più acute di una salvezza che non c'è e che tarda a venire. E Gesù subito, «appena li vide», agisce in funzione della salvezza, del ristabilimento della salute, della dignità e delle relazioni di questi dieci uomini, e dunque anche del ristabilimento della comunione con Dio e con i fratelli. «Andate a presentarvi ai sacerdoti », comanda loro Gesù come prescriveva la legge, per essere di nuovo ammessi nella comunità, per ritrovare la pienezza di una vita che era stata ferita a morte dalla malattia e dalla separazione. Sulla sua parola tutti vanno e tutti sono purificati, guariti. Si sono fidati di lui, della sua parola di maestro autorevole, capace di realizzare ciò che annuncia, e da lui hanno ricevuto la guarigione.
Ma c'è una lebbra più profonda di quella della pelle, la lebbra della cecità di chi non discerne il dono. La lebbra dell'ingratitudine, di cui nessun sacerdote può certificare la scomparsa. Una lebbra che impedisce, anche quando si è riammessi nel consesso fraterno, di vivere la comunità, di condividere le gioie e i dolori dello stare insieme. Eppure, in uno solo, in uno straniero, un samaritano, c'è il balsamo della gratitudine, c'è il fare spazio alla grazia, alla riconoscenza per la gratuità del dono. Una gratitudine che è incontenibile, smisurata come il dono ricevuto, una gratitudine che prevale persino sulla gioia della guarigione. L'uomo guarito torna indietro da Gesù «lodando Dio a gran voce» e si prostra a suoi piedi per ringraziarlo.
Il Samaritano non va dai sacerdoti come gli era stato ordinato, ma vistosi guarito torna immediatamente da Gesù. Avrebbe avuto tutto il tempo per ringraziare dopo essere stato dai sacerdoti, dopo aver riabbracciato i suoi cari, dopo aver fatto festa con gli amici. Ma chi ha il cuore grato non si lascia sfuggire il tempo della grazia, non riesce a rinviare il riconoscimento pubblico della verità sperimentata nel profondo. Non può tacere nemmeno per un istante la fonte della propria gioia, l'autore del dono che lo ha fatto rinascere. Il Samaritano mostra di sapere che il donatore ha sempre più valore del dono da lui ricevuto.
Per questo, il cuore grato conosce non solo il risanamento, non solo la guarigione ma anche la salvezza. «Alzati e va'; la tua fede ti ha salvato». Sul cammino verso Gerusalemme, compimento della salvezza, il Samaritano dal cuore grato ha già conosciuto la sua salvezza.


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