XXIII Domenica del Tempo ordinario (C)




Omelie - Il Vangelo della domenica
a cura di Goffredo Boselli
Vita Pastorale (n. 8/2025)


ANNO C – 7 settembre 2025
XXIII Domenica del Tempo ordinario

Sapienza 9,13-18 • Salmo 89 • Filemone 9b-10.12-17 • Luca 14,25-33
(Visualizza i brani delle Letture)


DISCEPOLI INNAMORATI

«Gesù si voltò e disse loro: Se uno viene a me...». Questa pagina è la faccia dura dell'Evangelo. Mostra un volto spietato non per gettarci nello sconforto, ma per indurci alla conversione. Cristo stesso s'è voltato girando la sua faccia verso la folla numerosa che lo seguiva, come verso di noi, per presentarcela.
«Una folla numerosa andava con Gesù», a dire che suscita entusiasmo, ma all'istante lui smonta l'eccitazione, scardina quell'ambiguo impeto della folla. La mette in guardia ricordando che lui non insegue il consenso e non accetta d'essere un fenomeno di massa. Ricorda a tutti che non è una persona facile ma esigente, radicale nelle richieste: «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo». Chiede per lui non solo un amore più grande degli affetti primari, ma anche l'amore più grande del nostro bene più importante: la vita.
Seguire il Signore non può essere una componente tra le altre della nostra vita. Il nostro essere di Cristo, l'appartenere a lui prende tutta la nostra vita, non c'è aspetto che possa restarvi estraneo. La sequela di Cristo ci prende la vita, nulla resta profano, niente ne è dispensato, soprattutto niente ne è al riparo. È una richiesta radicale che va alla radice del nostro essere, perché chiede un amore per lui che ci distacca non solo dagli affetti naturali, ma ci distacca da noi stessi, perfino dalla nostra stessa vita, rendendoci liberi. Solo l'amore è quella forza irrazionale che ci fa dimenticare di noi stessi e che rende l'amato più importante della nostra stessa vita.
Chi non ha almeno una volta esperimentato questo amore non potrà mai capire la richiesta assoluta di Gesù. Ha scritto il teologo greco Christos Yannaras: «Se ti sei innamorato una volta, sai ormai distinguere la vita da ciò che è supporto psicologico e sentimentalismo, sai ormai distinguere la vita dalla sopravvivenza. [...] Perché solo se esci dal tuo io, sia pure per gli occhi belli di una zingara, sai cosa domandi a Dio e perché corri dietro di Lui» (Variazioni sul Cantico dei cantici, 1994). Cristo vuole essere seguito da innamorati di lui e del suo Evangelo, non da seguaci di una dottrina, non da ammiratori di un maestro, non da fedeli di una religione.
Oltre la radicalità nell'amore per lui, Gesù pone un'ulteriore condizione per essere suo discepolo: «Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo». La croce è la peculiarità di Gesù, al punto da diventare il suo stesso nome: il Crocifisso. Nella richiesta di Gesù non c'è nessun fatalismo e dolorismo che troppo spesso i cristiani, ancora oggi, attribuiscono al "portare la croce". A tal punto Cristo e la croce si identificano nel suo atto di assumerla liberamente, che per noi suoi discepoli non si tratta di portare la croce, ma di portare il Cristo Crocifisso. Seguire Cristo comporta la croce, perché Cristo la comporta in lui stesso, la implica quale necessitas. La porta con noi, non come un peso, ma come una realtà vitale.
L'unica reliquia autentica della Santa croce di Gesù Cristo è la nostra croce viva, quella aggrovigliata alla nostra esistenza, intricata e inestricabile. Ogni volta che tracciamo sul nostro corpo il segno della croce noi, anche se non lo sappiamo, confermiamo e rinsaldiamo questa verità.


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