Omelie - Il Vangelo della domenica
a cura di Goffredo Boselli
Vita Pastorale (n. 8/2025)
ANNO C – 31 agosto 2025
XXII Domenica del Tempo ordinario
Siracide 3,19-21.30-31 • Salmo 67 • Ebrei 12,18-19.22-24a • Luca 14,1.7-14
(Visualizza i brani delle Letture)
XXII Domenica del Tempo ordinario
Siracide 3,19-21.30-31 • Salmo 67 • Ebrei 12,18-19.22-24a • Luca 14,1.7-14
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LA TAVOLA COME PARABOLA
Questa pagina di Vangelo ci fa ascoltare alcune parole del Signore nel contesto di un pranzo. È un discorso che parla di comportamenti a tavola, di quella familiarità e confidenza che nascono spontanee dalla conviviale commensalità, che rende la parola più libera e più diretta. A tavola spesso si possono enunciare con spontaneità verità il cui impatto sarà inversamente proporzionale alla semplicità con la quale le parole sono pronunciate.
Gesù, osservando il comportamento degli invitati, offre ai suoi ascoltatori alcuni consigli nella forma di garbati ammonimenti: quando sei invitato a un banchetto non sceglierei posti più importanti; e se inviti qualcuno alla tua tavola non attenderti che l'invito ti sia ricambiato. Attraverso questo discorso riceviamo più che semplici consigli di buone maniere.
Gesù sceglie la forma della parabola perché la tavola stessa è una parabola. La tavola, luogo di ristoro, dove attraverso il cibo non solo il palato distingue il buono dal cattivo, ma dove nella condivisione e nella comunione vissuta si fa l'esperienza del bene e anche del male. La tavola è luogo di amicizia, di convivialità, di gioia, ma può essere anche il luogo di prepotenza, di scontro e di aggressività. Attraverso l'insegnamento evangelico sulla tavola è tutta la vita cristiana che viene evocata. Infatti, cos'è la conversione se non la rinuncia a un posto che ci siamo scelti da noi stessi? Cos'è l'umiltà se non l'accettare il posto che ci è indicato o che ci aspetta?
Il posto a tavola è metafora del posto nella vita. Cos'è l'obbedienza se non il fatto di lasciare all'altro il posto che può giustamente pretendere? E nei rapporti quotidiani con gli altri, non siamo forse chiamati a preferire, alle relazioni privilegiate con i più vicini o con i ricchi, l'accoglienza di tutti e in particolare con chi è socialmente rifiutato, al punto da aprirci all'ospitalità universale verso chi non ha nulla da darci in contraccambio e perfino all'amore per i nemici? A coloro che si assumono il rischio di questi comportamenti radicali, Gesù promette che «saranno esaltati» e che «saranno beati». A chi sceglie di viverla seriamente, la vita cristiana non assicura la felicità ma promette di vedere i propri orizzonti incomparabilmente allargati.
Ma se tutto questo ci viene richiesto è solo perché colui che lo esige l'ha anche vissuto: Gesù ha offerto con la sua vita la prova che tali atteggiamenti sono praticabili. Da Figlio di Dio ha scelto per sé l'ultimo posto tra gli uomini, dalla nascita in una mangiatoia alla morte infamante nella nudità vergognosa della croce. E con i suoi incontri ha manifestato l'atteggiamento estremo dell'accoglienza senza discriminazioni di appartenenza sociale, di sesso, di religione ecc. E a noi ha perfino promesso un invito al banchetto del Regno. È a partire da sé stesso che Gesù parla quando descrive quel padrone di casa che ritiene «beato, perché gli invitati non hanno da ricambiargli». Fare le cose nelle quali si crede senza attendere ricompensa, contraccambio, ringraziamento è uno degli insegnamenti più limpidi del Vangelo.
Di quest'invito, l'eucaristia costituisce un segno e un pegno: osiamo, dunque, avvicinarci alla tavola della comunione nel timore del Signore, ma anche nella fiducia di chi sa che, nonostante la propria ingratitudine, è a lui che Gesù si rivolge dicendogli: «Amico, vieni più avanti».
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