Tempo ordinario (C) [1] - 2025



Parola che si fa vita


Commenti e Testimonianze sulla Parola (da Camminare insieme)

Con la Domenica di Pasqua 2024 è terminata la pubblicazione dei commenti a cura di Camminare insieme.
Continuo la pubblicazione con i commenti alla Parola di papa Francesco.



"Parola-sintesi" proposta per ogni domenica,
corredata da un commento e da una testimonianza.


2a domenica del Tempo ordinario (19 gennaio 2025)
Egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui (Gv 2,11)

3a domenica del Tempo ordinario (26 gennaio 2025)
Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui (Lc 4,20)

Presentazione del Signore (2 febbraio 2025)
[4a domenica del Tempo ordinario]
Perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza (Lc 2,30)

5a domenica del Tempo ordinario (9 febbraio 2025)
Lasciarono tutto e lo seguirono (Lc 5,11)

6a domenica del Tempo ordinario (16 febbraio 2025)
Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio (Lc 6,20)

7a domenica del Tempo ordinario (23 febbraio 2025)
Date e vi sarà dato (Lc 6,38)

8a domenica del Tempo ordinario (2 marzo 2025)
Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto (Lc 6,44)



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2a domenica del Tempo ordinario (19 gennaio 2025)
Egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui (Gv 2,11)

Il Vangelo di questa domenica presenta l'evento prodigioso avvenuto a Cana, un villaggio della Galilea, durante una festa di nozze alla quale partecipano anche Maria e Gesù, con i suoi primi discepoli. La Madre fa notare al Figlio che è venuto a mancare il vino, e Gesù, dopo averle risposto che non è ancora giunta la sua ora, tuttavia accoglie la sua sollecitazione e dona agli sposi il vino più buono di tutta la festa. L'evangelista sottolinea che «questo fu l'inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui».
I miracoli, dunque, sono segni straordinari che accompagnano la predicazione della Buona Notizia e hanno lo scopo di suscitare o rafforzare la fede in Gesù. Nel miracolo compiuto a Cana, possiamo scorgere un atto di benevolenza da parte di Gesù verso gli sposi, un segno della benedizione di Dio sul matrimonio. L'amore tra l'uomo e la donna è quindi una buona strada per vivere il Vangelo, cioè per incamminarsi con gioia sul percorso della santità.
Ma il miracolo di Cana non riguarda solo gli sposi. Ogni persona umana è chiamata ad incontrare il Signore nella sua vita. La fede cristiana è un dono che riceviamo col Battesimo e che ci permette di incontrare Dio. La fede attraversa tempi di gioia e di dolore, di luce e di oscurità, come in ogni autentica esperienza d'amore. Il racconto delle nozze di Cana ci invita a riscoprire che Gesù non si presenta a noi come un giudice pronto a condannare le nostre colpe, né come un comandante che ci impone di seguire ciecamente i suoi ordini; si manifesta come Salvatore dell'umanità, come fratello, come il nostro fratello maggiore, Figlio del Padre: si presenta come Colui che risponde alle attese e alle promesse di gioia che abitano nel cuore di ognuno di noi.
Allora possiamo chiederci: davvero conosco il Signore così? Lo sento vicino a me, alla mia vita? Gli sto rispondendo sulla lunghezza d'onda di quell'amore sponsale che Egli manifesta ogni giorno a tutti, a ogni essere umano? Si tratta di rendersi conto che Gesù ci cerca e ci invita a fargli spazio nell'intimo del nostro cuore. E in questo cammino di fede con Lui non siamo lasciati soli: abbiamo ricevuto il dono del Sangue di Cristo. Le grandi anfore di pietra che Gesù fa riempire di acqua per tramutarla in vino sono segno del passaggio dall'antica alla nuova alleanza: al posto dell'acqua usata per la purificazione rituale, abbiamo ricevuto il Sangue di Gesù, versato in modo sacramentale nell'Eucaristia e in modo cruento nella Passione e sulla Croce. I Sacramenti, che scaturiscono dal Mistero pasquale, infondono in noi la forza soprannaturale e ci permettono di assaporare la misericordia infinita di Dio.

(Francesco, Angelus, 17 gennaio 2016)


Testimonianza di Parola vissuta

LA TESTIMONIANZA DELLA FEDE

Isabel, il marito e cinque figli erano partiti in pellegrinaggio verso un santuario a dieci ore dal loro paese. Verso le tre del mattino,il pullman, forse per un colpo di sonno dell'autista, è precipitato in un fiume impetuoso.
Nell'incidente sono morti tutti tranne Isabel, che ci ha scritto: "Il Signore mi ha dato un marito e dei figli e poi me li ha tolti. Perché mi ha lasciata qui? Sono sicura che è per amare, per dare a tutti quelli che incontrerò l'amore, la pace e la serenità che i miei cari già vivono. Questo mi allevia il dolore. Questa fede me l'ha trasmessa la ma prima figlia. Io la devo a lei".

M.H. - Colombia

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3a domenica del Tempo ordinario (26 gennaio 2025)
Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui (Lc 4,20)

Nel Vangelo di oggi, l'evangelista Luca prima di presentare il discorso programmatico di Gesù a Nazaret, ne riassume brevemente l'attività evangelizzatrice. È un'attività che Egli compie con la potenza dello Spirito Santo: la sua parola è originale, perché rivela il senso delle Scritture; è una parola autorevole, perché comanda persino agli spiriti impuri e questi obbediscono. Gesù è diverso dai maestri del suo tempo: va in giro a predicare e insegna dappertutto: nelle sinagoghe, per le strade, nelle case… Gesù è diverso anche da Giovanni Battista, il quale proclama il giudizio imminente di Dio, mentre Gesù annuncia il suo perdono di Padre.
Ed ora immaginiamo di entrare anche noi nella sinagoga di Nazaret, il villaggio dove Gesù è cresciuto fino a circa trent'anni. Ciò che vi accade è un avvenimento importante, che delinea la missione di Gesù. Egli si alza per leggere la Sacra Scrittura. Apre il rotolo del profeta Isaia e prende il passo dove è scritto: "lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio". Poi, dopo un momento di silenzio pieno di attesa da parte di tutti, dice, tra lo stupore generale: "Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato".
Evangelizzare i poveri: questa è la missione di Gesù, secondo quanto Lui dice; questa è anche la missione della Chiesa, e di ogni battezzato nella Chiesa. Essere cristiano ed essere missionario è la stessa cosa. Annunciare il Vangelo, con la parola e, prima ancora, con la vita, è la finalità principale della comunità cristiana e di ogni suo membro. Si nota qui che Gesù indirizza la Buona Novella a tutti, senza escludere nessuno, anzi privilegiando i più lontani, i sofferenti, gli ammalati, gli scartati della società.
Domandiamoci: che cosa significa evangelizzare i poveri? Significa anzitutto avvicinarli, significa avere la gioia di servirli, di liberarli dalla loro oppressione, e tutto questo nel nome e con lo Spirito di Cristo, perché è Lui il Vangelo di Dio, è Lui la Misericordia di Dio, è Lui la liberazione di Dio, è Lui chi si è fatto povero per arricchirci con la sua povertà. Il testo di Isaia, rafforzato da piccoli adattamenti introdotti da Gesù, indica che l'annuncio messianico del Regno di Dio venuto in mezzo a noi si rivolge in modo preferenziale agli emarginati, ai prigionieri, agli oppressi.
Probabilmente al tempo di Gesù queste persone non erano al centro della comunità di fede. Possiamo domandarci: oggi, nelle nostre comunità parrocchiali, nelle associazioni, nei movimenti, siamo fedeli al programma di Cristo? L'evangelizzazione dei poveri, portare loro il lieto annuncio, è la priorità? Attenzione: non si tratta solo di fare assistenza sociale, tanto meno attività politica. Si tratta di offrire la forza del Vangelo di Dio, che converte i cuori, risana le ferite, trasforma i rapporti umani e sociali secondo la logica dell'amore. I poveri, infatti, sono al centro del Vangelo.

(Francesco, Angelus, 24 gennaio 2016)


Testimonianza di Parola vissuta

LO SCANDALO DELLA FEDE

Ero nel duomo di Torino e il celebrante della Messa stava pronunciando l'omelia, quando è stato interrotto dal grido ritmato "sce-mi, sce-mi... non è ve-ro nien-te, non è ve-ro nien-te" di un gruppo di giovani punk. Ho avuto in quel momento come una illuminazione: ho capito quanto sia scandaloso partecipare alla Messa festiva. Il grido "non è ve-ro nien-te!" mi ha fatto capire come ripeto distrattamente il Credo, senza rendermi conto che, per la ragione e il buon senso, non è che un elenco di assurdità ridicole. Come dire, ad esempio, senza trasalire di sorpresa ogni volta, quelle cose assolutamente scandalose che il Credo lega a un oscuro carpentiere giudeo: Unigenito Figlio di Dio, ...Dio da Dio, Luce da Luce... e di nuovo verrà nella gloria per giudicare i vivi e i morti? C'è una tale follia nel dire simili cose che ho capito il dono straordinario tanto gratuito quanto misterioso della fede. L'irruzione dei punk in chiesa mi ha aiutato a riscoprire che ciò che lì dentro si fa e si dice non ricade sotto la categoria del buon senso, ma dello "scandalo per i giudei e follia per i pagani".
È stato per me l'occasione di fare un passo in avanti e ripetere a Gesù con Paolo: "So in chi ho creduto".

M.V.

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Presentazione al Tempio del Signore (2 febbraio 2025)
[4a domenica del Tempo ordinario]
Perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza (Lc 2,30)

Oggi celebriamo la festa della Presentazione del Signore: quando Gesù neonato fu presentato al tempio dalla Vergine Maria e da san Giuseppe. Il Vangelo racconta che, quaranta giorni dopo la nascita, i genitori di Gesù portarono il Bambino a Gerusalemme per consacrarlo a Dio, come prescritto dalla Legge ebraica. E mentre descrive un rito previsto dalla tradizione, questo episodio pone alla nostra attenzione l'esempio di alcuni personaggi. Essi sono colti nel momento in cui fanno esperienza dell'incontro con il Signore nel luogo in cui Egli si fa presente e vicino all'uomo. Si tratta di Maria e Giuseppe, Simeone e Anna, che rappresentano modelli di accoglienza e di donazione della propria vita a Dio. Non erano uguali questi quattro, erano tutti diversi, ma tutti cercavano Dio e si lasciavano guidare dal Signore.
L'evangelista Luca li descrive tutti e quattro in un duplice atteggiamento: atteggiamento di movimento e atteggiamento di stupore.
Il primo atteggiamento è il movimento. Maria e Giuseppe si incamminano verso Gerusalemme; da parte sua, Simeone, mosso dallo Spirito, si reca al tempio, mentre Anna serve Dio giorno e notte senza sosta. In questo modo i quattro protagonisti del brano evangelico ci mostrano che la vita cristiana richiede dinamismo e richiede disponibilità a camminare, lasciandosi guidare dallo Spirito Santo. L'immobilismo non si addice alla testimonianza cristiana e alla missione della Chiesa. Il mondo ha bisogno di cristiani che si lasciano smuovere, che non si stancano di camminare per le strade della vita, per recare a tutti la consolante parola di Gesù. Ogni battezzato ha ricevuto la vocazione all'annuncio, la vocazione alla missione evangelizzatrice: annunciare Gesù!
Il secondo atteggiamento con cui San Luca presenta i quattro personaggi del racconto è lo stupore. Maria e Giuseppe «si stupivano delle cose che si dicevano di lui [di Gesù]». Lo stupore è una reazione esplicita anche del vecchio Simeone, che nel Bambino Gesù vede con i suoi occhi la salvezza operata da Dio in favore del suo popolo: quella salvezza che lui aspettava da anni. E la stessa cosa vale per Anna, che «si mise anche lei a lodare Dio» e ad andare ad indicare alla gente Gesù. Questa è una santa chiacchierona, chiacchierava bene, chiacchierava di cose buone, non cose brutte. Diceva, annunciava: una santa che andava da una all'altra donna facendo loro vedere Gesù. Queste figure di credenti sono avvolte dallo stupore, perché si sono lasciate catturare e coinvolgere dagli avvenimenti che accadevano sotto i loro occhi. La capacità di stupirsi delle cose che ci circondano favorisce l'esperienza religiosa e rende fecondo l'incontro con il Signore. Al contrario, l'incapacità di stupirci rende indifferenti e allarga le distanze tra il cammino di fede e la vita di ogni giorno. Fratelli e sorelle, in movimento sempre e lasciandoci aperti allo stupore!

(Francesco, Angelus, 2 febbraio 2020)


Testimonianza di Parola vissuta

IL CORAGGIO DELLA FEDE

Una mia amica aveva bisogno di un secondo intervento chirurgico. Aveva due bambini piccoli che erano già stati da me, ma stavolta il lavoro non mi permetteva di accoglierli. Di fronte alla prospettiva che lei li avrebbe messi in un istituto, ne ho parlato con mio marito che mi ha incoraggiata a chiedere un permesso anche non retribuito. Ma il direttore non era d'accordo e insisteva per un'altra soluzione. Poi ha proseguito: "E se le dicessi che lei perde il lavoro se prende questi giorni?" Ho risposto che non sarei venuta meno alla decisione presa. Al che è rimasto così colpito che mi ha concesso il permesso. Non molto tempo dopo, per partecipare a un incontro fra varie denominazioni cristiane, a cui tenevo molto (sono anglicana), sono tornata a chiedere un permesso al direttore che è ebreo. Quando ha saputo di cosa si trattava, ha affermato: "Se la tua fede ti porta ad agire in questa maniera, non posso negarti niente".

M.H. - Inghilterra

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5a domenica del Tempo ordinario (C) (9 febbraio 2025)
Lasciarono tutto e lo seguirono (Lc 5,11)

Il Vangelo di questa domenica racconta – nella redazione di san Luca – la chiamata dei primi discepoli di Gesù. Il fatto avviene in un contesto di vita quotidiana: ci sono alcuni pescatori sulla sponda del lago di Galilea, i quali, dopo una notte di lavoro passata senza pescare nulla, stanno lavando e sistemando le reti. Gesù sale sulla barca di uno di loro, quella di Simone, detto Pietro, e gli chiede di staccarsi un poco da riva e si mette a predicare la Parola di Dio alla gente che si era radunata numerosa. Quando ha finito di parlare, gli dice di prendere il largo e di gettare le reti. Simone aveva già conosciuto Gesù e sperimentato la potenza prodigiosa della sua parola, perciò gli risponde: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». E questa sua fede non viene delusa: infatti le reti si riempirono di una tale quantità di pesci che quasi si rompevano.
Di fronte a questo evento straordinario, i pescatori sono presi da grande stupore. Simon Pietro si getta ai piedi di Gesù dicendo: «Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore». Quel segno prodigioso lo ha convinto che Gesù non è solo un formidabile maestro, la cui parola è vera e potente, ma che Egli è il Signore, è la manifestazione di Dio. E tale presenza ravvicinata suscita in Pietro un forte senso della propria meschinità e indegnità. Da un punto di vista umano, pensa che ci debba essere distanza tra il peccatore e il Santo. In verità, proprio la sua condizione di peccatore richiede che il Signore non si allontani da lui, allo stesso modo in cui un medico non può allontanarsi da chi è malato.
La risposta di Gesù a Simon Pietro è rassicurante e decisa: «Non temere; d'ora in poi sarai pescatore di uomini». E di nuovo il pescatore di Galilea, ponendo la sua fiducia in questa parola, lascia tutto e segue Colui che è diventato il suo Maestro e Signore. E così fecero anche Giacomo e Giovanni, soci di lavoro di Simone. Questa è la logica che guida la missione di Gesù e la missione della Chiesa: andare in cerca, "pescare" gli uomini e le donne, non per fare proselitismo, ma per restituire a tutti la piena dignità e libertà, mediante il perdono dei peccati. Questo è l'essenziale del cristianesimo: diffondere l'amore rigenerante e gratuito di Dio, con atteggiamento di accoglienza e di misericordia verso tutti, perché ognuno possa incontrare la tenerezza di Dio e avere pienezza di vita.
Il Vangelo di oggi ci interpella: sappiamo fidarci veramente della parola del Signore? Oppure ci lasciamo scoraggiare dai nostri fallimenti? Siamo chiamati a confortare quanti si sentono peccatori e indegni di fronte al Signore e abbattuti per i propri errori, dicendo loro le stesse parole di Gesù: "Non temere". "È più grande la misericordia del Padre dei tuoi peccati! È più grande, non temere!".

(Francesco, Angelus, 7 febbraio 2016)


Testimonianza di Parola vissuta

COMUNIONE DEI BENI

Qualcuno mi aveva detto che tra i primi cristiani non c'erano poveri perché avevano ogni cosa in comune. Poiché nella nostra città ci sono tanti poveri, con alcuni amici si è pensato di organizzare una lotteria per aiutare i casi più gravi. Occorrevano però dei premi.
Io avevo una spilla d'oro con la mia iniziale che i colleghi mi avevano regalato. Mi costava privarmene, ma avendo saputo che un'altra signora aveva donato una collana d'oro, mi sono decisa. Quella piccola rinuncia contribuiva a qualcosa di grande: una fratellanza più vera fra tutti.

F.A. - Francia

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6a domenica del Tempo ordinario (C) (16 febbraio 2025)
Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio (Lc 6,20)

Al centro del Vangelo della Liturgia odierna ci sono le Beatitudini. È interessante notare che Gesù, pur essendo attorniato da una grande folla, le proclama rivolgendosi «verso i suoi discepoli». Parla ai discepoli. Le Beatitudini, infatti, definiscono l'identità del discepolo di Gesù. Esse possono suonare strane, quasi incomprensibili a chi non è discepolo; mentre, se ci chiediamo come è un discepolo di Gesù, la risposta sono proprio le Beatitudini. Vediamo la prima, che è la base di tutte le altre: «Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio». Beati voi, poveri. Due cose dice Gesù dei suoi: che sono beati e che sono poveri; anzi, che sono beati perché poveri.
In che senso? Nel senso che il discepolo di Gesù non trova la sua gioia nel denaro, nel potere o in altri beni materiali, ma nei doni che riceve ogni giorno da Dio: la vita, il creato, i fratelli e le sorelle, e così via. Sono doni della vita. Anche i beni che possiede, è contento di condividerli, perché vive nella logica di Dio. E qual è la logica di Dio? La gratuità. Il discepolo ha imparato a vivere nella gratuità.
Il discepolo accetta il paradosso delle Beatitudini: esse dichiarano che è beato, cioè felice, chi è povero, chi manca di tante cose e lo riconosce. Umanamente, siamo portati a pensare in un altro modo: è felice chi è ricco, chi è sazio di beni, chi riceve applausi ed è invidiato da molti, chi ha tutte le sicurezze. Ma questo è un pensiero mondano, non è il pensiero delle Beatitudini! Gesù, al contrario, dichiara fallimentare il successo mondano, in quanto si regge su un egoismo che gonfia e poi lascia il vuoto nel cuore. Davanti al paradosso delle Beatitudini il discepolo si lascia mettere in crisi, consapevole che non è Dio a dover entrare nelle nostre logiche, ma noi nelle sue. Questo richiede un cammino, a volte faticoso, ma sempre accompagnato dalla gioia. Perché il discepolo di Gesù è gioioso con la gioia che gli viene da Gesù. Il Signore, liberandoci dalla schiavitù dell'egocentrismo, scardina le nostre chiusure, scioglie la nostra durezza, e ci dischiude la felicità vera, che spesso si trova dove noi non pensiamo. È Lui a guidare la nostra vita, non noi, con i nostri preconcetti o con le nostre esigenze. Il discepolo, infine, è quello che si lascia guidare da Gesù, che apre il cuore a Gesù, lo ascolta e segue la sua strada.
Possiamo allora chiederci: io – ognuno di noi – ho la disponibilità del discepolo? O mi comporto con la rigidità di chi si sente a posto, di chi si sente per bene, di chi si sente già arrivato? Mi lascio "scardinare dentro" dal paradosso delle Beatitudini, o rimango nel perimetro delle mie idee? E poi, con la logica delle Beatitudini, al di là delle fatiche e delle difficoltà, sento la gioia di seguire Gesù? Questo è il tratto saliente del discepolo: la gioia del cuore. Questa è la pietra di paragone per sapere se una persona è discepolo: ha la gioia nel cuore? Io ho la gioia nel cuore? Questo è il punto.

(Francesco, Angelus, 13 febbraio 2022)


Testimonianza di Parola vissuta

IL PADRE DI TUTTI

Saputo che, a causa della situazione politica dei loro paesi, alcuni studenti stranieri si erano trovati senza alcun sostegno economico, assieme ad altre famiglie è iniziata una gara di generosità per aiutarli fino al completamento degli studi. Per Natale li abbiamo invitati a casa nostra. Sono arrivati tre libanesi (un cristiano maronita e due musulmani), un etiope di religione ortodossa e un nigeriano musulmano. Ci siamo scambiati gli auguri nelle diverse forme: c'era fra tutti una profonda commozione. A Capodanno ci hanno invitati loro, dopo essere rimasti in piedi una notte intera per preparare i piatti tipici dei loro paesi; abbiamo trascorso il pomeriggio tra canti e danze delle loro terre.
Completati gli studi, molti sono tornati nei loro paesi. Prima di partire un giovane musulmano ci ha confidato: "Stare insieme a voi mi ha segnato profondamente. Prima pensavo a Dio come giudice; con voi ho capito che è un padre che mi vuole bene".

L.F.C. - Italia

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7a domenica del Tempo ordinario (C) (23 febbraio 2025)
Date e vi sarà dato (Lc 6,38)

Il Vangelo di questa domenica riguarda un punto centrale e caratterizzante della vita cristiana: l'amore per i nemici. Le parole di Gesù sono nette: «A voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male». E questo non è un optional, è un comando. Non è per tutti, ma per i discepoli, che Gesù chiama "voi che ascoltate". Lui sa benissimo che amare i nemici va al di là delle nostre possibilità, ma per questo si è fatto uomo: non per lasciarci così come siamo, ma per trasformarci in uomini e donne capaci di un amore più grande, quello del Padre suo e nostro. Questo è l'amore che Gesù dona a chi "lo ascolta". E allora diventa possibile! Con Lui, grazie al suo amore, al suo Spirito noi possiamo amare anche chi non ci ama, anche chi ci fa del male.
In questo modo, Gesù vuole che in ogni cuore l'amore di Dio trionfi sull'odio e sul rancore. La logica dell'amore, che culmina nella Croce di Cristo, è il distintivo del cristiano e ci induce ad andare incontro a tutti con cuore di fratelli. Ma come è possibile superare l'istinto umano e la legge mondana della ritorsione? La risposta la dà Gesù nella stessa pagina evangelica: «Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso». Chi ascolta Gesù, chi si sforza di seguirlo anche se costa, diventa figlio di Dio e comincia a somigliare davvero al Padre che è nei cieli. Diventiamo capaci di cose che mai avremmo pensato di poter dire o fare, e di cui anzi ci saremmo vergognati, ma che invece adesso ci danno gioia e pace. Non c'è nulla di più grande e più fecondo dell'amore: esso conferisce alla persona tutta la sua dignità, mentre, al contrario, l'odio e la vendetta la sminuiscono, deturpando la bellezza della creatura fatta a immagine di Dio.
Questo comando, di rispondere all'insulto e al torto con l'amore, ha generato nel mondo una nuova cultura: la «cultura della misericordia». È la rivoluzione dell'amore. E Gesù ci assicura che il nostro comportamento, improntato all'amore verso quanti ci fanno del male, non sarà vano. Egli dice: «Perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio». È bello questo. Sarà una cosa bella che Dio ci darà se noi siamo generosi, misericordiosi. Dobbiamo perdonare perché Dio ci ha perdonato e ci perdona sempre. Se non perdoniamo del tutto, non possiamo pretendere di essere perdonati del tutto. Invece, se i nostri cuori si aprono alla misericordia, se si suggella il perdono con un abbraccio fraterno e si stringono i vincoli della comunione, proclamiamo davanti al mondo che è possibile vincere il male con il bene. A volte per noi è più facile ricordare i torti che ci hanno fatto e i mali che ci hanno fatto e non le cose buone. E questa non è una strada. Dobbiamo fare il contrario, dice Gesù. Ricordare le cose buone, e quando qualcuno parla male dell'altro, dire: "Ma sì, forse… ma ha questo di buono…". Rovesciare il discorso. Questa è la rivoluzione della misericordia.

(Francesco, Angelus, 24 febbraio 2019)


Testimonianza di Parola vissuta

"DATE E VISARÀ DATO"

Tutto è successo grazie ad un cappotto ricevuto in dono, che mi aveva dato tanta gioia perchè ne avevo veramente bisogno. Passano solo alcuni giorni, quando ricevo la visita di una persona che più di me ne avrebbe bisogno. Mio marito mi suggerisce di non starci a pensare due volte e di fare dono del cappotto a quella donna più povera di noi, in un periodo tanto freddo.
Non mi è facile staccarmi, ma con un atto di grande generosità glielo offro. La gioia indescrivibile apparsa sul volto di quella persona è per me la ricompensa più bella. E non penso più al cappotto.
Durante la settimana mi chiama al telefono un'altra amica per chieremi se per caso mi serve un cappotto di cui lei non ha bisogno. È per me una risposta evidente del Vangelo, che dice: "Date e vi sarà dato". Lo sapevo che Dio non si lascia vincere in generosità, ma è sempre una sorpresa constatarlo.

F.N. - Cile

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8a domenica del Tempo ordinario (C) (2 marzo 2025)
Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto (Lc 6,44)

L'odierna pagina evangelica presenta brevi parabole, con le quali Gesù vuole indicare ai suoi discepoli la strada da percorrere per vivere con saggezza. Con l'interrogativo: «Può forse un cieco guidare un altro cieco?», Egli vuole sottolineare che una guida non può essere cieca, ma deve vedere bene, cioè deve possedere la saggezza per guidare con saggezza, altrimenti rischia di causare dei danni alle persone che a lei si affidano. Gesù richiama così l'attenzione di quanti hanno responsabilità educative o di comando: i pastori d'anime, le autorità pubbliche, i legislatori, i maestri, i genitori, esortandoli ad essere consapevoli del loro ruolo delicato e a discernere sempre la strada giusta sulla quale condurre le persone.
E Gesù prende in prestito una espressione sapienziale per indicare se stesso come modello di maestro e guida da seguire: «Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro». È un invito a seguire il suo esempio e il suo insegnamento per essere guide sicure e sagge. E tale insegnamento è racchiuso soprattutto nel discorso della montagna, che da tre domeniche la liturgia ci propone nel Vangelo, indicando l'atteggiamento della mitezza e della misericordia per essere persone sincere, umili e giuste. Nel brano di oggi troviamo un'altra frase significativa, quella che esorta a non essere presuntuosi e ipocriti. Dice così: «Perché guardi la pagliuzza che è nell'occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?». Tante volte, lo sappiamo tutti, è più facile o comodo scorgere e condannare i difetti e i peccati altrui, senza riuscire a vedere i propri con altrettanta lucidità. Noi sempre nascondiamo i nostri difetti, li nascondiamo anche a noi stessi; invece, è facile vedere i difetti altrui. La tentazione è quella di essere indulgenti con se stessi e duri con gli altri. È sempre utile aiutare il prossimo con saggi consigli, ma mentre osserviamo e correggiamo i difetti del nostro prossimo, dobbiamo essere consapevoli anche noi di avere dei difetti. Se io credo di non averne, non posso condannare o correggere gli altri. Tutti abbiamo difetti: tutti. Dobbiamo esserne consapevoli e, prima di condannare gli altri, dobbiamo guardare noi stessi dentro. Possiamo così agire in modo credibile, con umiltà, testimoniando la carità.
Come possiamo capire se il nostro occhio è libero o se è impedito da una trave? È ancora Gesù che ce lo dice: «Non vi è albero buono che produca frutto cattivo, né vi è d'altronde albero cattivo che produca un frutto buono. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto». Il frutto sono le azioni, ma anche le parole. Anche dalle parole si conosce la qualità dell'albero. Infatti, chi è buono trae fuori dal suo cuore e dalla sua bocca il bene e chi è cattivo trae fuori il male, praticando l'esercizio più deleterio fra noi, che è la mormorazione, il chiacchiericcio, parlare male degli altri. Questo distrugge; distrugge la famiglia, distrugge la scuola, distrugge il posto di lavoro, distrugge il quartiere. Dalla lingua incominciano le guerre. Pensiamo un po', noi, a questo insegnamento di Gesù e facciamoci la domanda: io parlo male degli altri? Io cerco sempre di sporcare gli altri? Per me è più facile vedere i difetti altrui che i miei? E cerchiamo di correggerci almeno un po': ci farà bene a tutti.

(Francesco, Angelus, 3 marzo 2019)



Testimonianza di Parola vissuta

"L'AVETE FATTO A ME"

C'è un bambino nel mio quartiere che studia in una scuola lontana, l'ho visto sempre camminare con ciabatte molto consumate. Mi sono ricordato che io avevo ancora un paio delle scarpe che per me sono piccole, ma ancora nuove, perché io non lo uso.
Sono stato da lui e gli ho consegnato le scarpe. quando sono uscito da casa sua ho sentito nel mio cuore una grande pace come se avessi dato le scarpe a Gesù.

(Michael - Filippine)

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