Omelie - Il Vangelo della domenica
a cura di Antonio Savone, presbitero della diocesi di Potenza-Muro Lucano-Marsico Nuovo
Vita Pastorale (n. 10/2023)
ANNO A – 2 novembre 2023
Commemorazione dei fedeli defunti
Giobbe 19,1-23-27a • Salmo 26 • Romani 5,5-11 • Giovanni 6,37-40
(Visualizza i brani delle Letture)
Commemorazione dei fedeli defunti
Giobbe 19,1-23-27a • Salmo 26 • Romani 5,5-11 • Giovanni 6,37-40
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IL CAMMINO DELL'UOMO HA UNA META
Questo è il giorno degli affetti e del ricordo grato. È il giorno in cui le ombre cedono il posto alle luci, al bene, al bello. È un giorno in cui recuperiamo una dimensione di umanità non poche volte sopita. Questo giorno, tuttavia, riporta davanti ai nostri occhi lo scandalo della morte: irragionevole e senza senso ci appare quel taglio che viene a interrompere una vita, dei legami.
Scriveva il filosofo greco Epicuro: «Contro tutte le altre cose è possibile procurarsi una sicurezza, ma a causa della morte, noi uomini abitiamo una città senza mura». La morte introduce nella vicenda umana l'esperienza della precarietà e dell'insicurezza. Frutto dell'insicurezza è la paura che, come ricorderà Eb 2,15, riduce gli uomini in schiavitù per tutta la vita. L'esperienza del sentirci città senza mura induce a costruirci protezioni e difese che mentre ci restituiscono la parvenza di preservarci dalla morte, in realtà finiscono per allontanarci dalla vita.
Come suonano diverse invece le parole di Gesù! Egli, infatti, fa appello proprio al contrario della paura, la fede: chi crede, fosse anche morto, vivrà. La fede in Gesù e nelle sue parole, è ciò che ci fa fare esperienza della risurrezione già ora, già qui anche se non siamo esenti dalla morte fisica. Affidato com'è al Padre, non respinge nessuno che venga a lui, non rigetta mai, non si difende dagli altri ma tutti accoglie. Vivendo così riesce a integrare persino la morte perché la trasforma in quell'amore che è forza di risurrezione: chi ascolta la mia parola è passato dalla morte alla vita. E più tardi lo stesso Giovanni ricorderà: noi sappiamo di essere passati dalla morte alla vita se amiamo i fratelli.
Nelle parole di Gesù una certezza, quella che anche noi condivideremo la sua gloria. Tale certezza radica nel fatto che l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori proprio mentre eravamo ancora peccatori. Questo amore rimane incancellabile. Da questo amore nulla potrà mai separarci: né morte, né vita... né presente né avvenire... Questo è ciò che fonda per noi la possibilità di sperare. Eppure non poche volte, quando la morte ci visita, la nostra speranza conosce traballamenti. Per questo abbiamo pregato il Signore chiedendogli: conferma in noi la beata speranza. Sperare non viene da sé: ha sempre bisogno di essere confermato, sostenuto, ravvivato. A sostenere la speranza è la memoria dell'amore ricevuto.
Ce lo attesta anche Giobbe: ormai solo, senza più patrimonio né discendenza, ridotto in fin di vita, egli non maledice il giorno in cui era venuto al mondo. Io so che il mio redentore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere! Questa certezza permette a lui e a tanti altri come lui di attraversare la vita e di entrare nell'esperienza della morte affidàti. Dio non viene meno alla parola data anche quando tutto sembra smentire la sua promessa. Giobbe ci ricorda che il cammino dell'uomo non si conclude con la morte intesa come fine. Il cammino dell'uomo ha una meta: vedere Dio. Crede che, nonostante tutto, c'è uno che è ancora disposto a mettersi dalla sua parte pronto a prendere in mano la sua vita facendosi carico persino della suaesistenza ormai perduta e disfatta. E io cosa credo?
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