Omelie - Il Vangelo della domenica
a cura di Antonio Savone, presbitero della diocesi di Potenza-Muro Lucano-Marsico Nuovo
Vita Pastorale (n. 10/2023)
ANNO A – 5 novembre 2023
XXXI Domenica del Tempo ordinario
Malachia 1,14b-2,2b.8-10 • Salmo 130 • 1 Tessalonicesi 2,7b-9.13 • Matteo 23,1-12
(Visualizza i brani delle Letture)
XXXI Domenica del Tempo ordinario
Malachia 1,14b-2,2b.8-10 • Salmo 130 • 1 Tessalonicesi 2,7b-9.13 • Matteo 23,1-12
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APPARIRE O ESSERE
Quando il ruolo ha nulla a che spartire con la propria esistenza e il personaggio ha la meglio sulla persona, si finisce per diventare mercanti di parole che inalberano orgogliosamente insegne e titoli. Il Vangelo ci invita a prendere in considerazione i fatti, non le apparenze, le scelte, non i discorsi, i gesti, non i proclami. Si diventa grotteschi quando, per un piccolo ritaglio di potere, si crede di poter spadroneggiare su tutto e su tutti. Purtroppo, nessuna forma di potere – neanche quello religioso – è esente da questo rischio.
Forse dovremmo tradurre così il secondo comandamento: non utilizzare il nome di Dio invano. Ci condiziona uno spasmodico bisogno di doverci distinguere a tutti i costi; siamo fagocitati dalla sete di dominio; ci seduce la voglia di esibirci pur di ricevere plauso e stima altrui, ci illudiamo di poter fare a meno di assumere il peso della partita che abbiamo scelto di giocare; ci attraversa una sorta di nevrosi quando ci rifugiamo in piccole o grandi manie rituali; diventiamo intransigenti nei giudizi sugli altri mentre a noi concediamo larghi sconti. Ma tutto questo è una strada senza uscita, strada delle nostre inconsistenze, strada che scambia l'essere con l'apparire.
Altra è la strada che la comunità cristiana è chiamata a imboccare: quella di una presenza che non ricerca posti prestigiosi ma ruoli umili, nascosti; quella di una presenza che non ambisce riconoscimenti ma è capace di assumere ciò che spesso risulta sgradito ad altri.
Non poche volte siamo attraversati dalla convinzione che l'autorità delle nostre parole passi attraverso quel ruolo che ciascuno di noi riveste nei confronti di qualcun altro. Tuttavia, non è una cattedra o un qualsiasi ruolo istituzionale a conferire peso a ciò che possiamo trasmettere, quanto l'autorevolezza che passa attraverso uno stile che, prima ancora che dire, già incarna quanto poi potrà essere enunciato con la bocca.
Non fate come loro... Se almeno riuscissimo a cogliere l'affetto che parole come queste lasciano trasparire. Non fare così, ripete chi ha a cuore la vicenda delle persone a cui si sente legato. Non fate come loro... Dire e non fare tradisce un comportamento ipocrita.
Legare fardelli e non portarli, equivale a compiere uno sfruttamento: quanto diverso il clima là dove è dato di respirare dal proprio stile lo sforzo di vivere almeno con un dito quanto si annuncia agli altri!
Operare il bene per suscitare ammirazione e adulazione, significa essere persone superbe: la vita ridotta a spettacolo. Amare posti di onore e ossequi, attesta tutta la nostra stupida boria mentre siamo incapaci di un sano realismo su noi stessi.
Un modo distorto di intendersi genera un modo distorto di operare.
Trapela dalle parole evangeliche un invito a essere umili che equivale, poi, a essere veri.
«La comunità cristiana non ha bisogno di personalità brillanti, ma di fedeli servitori di Gesù e dei fratelli. Non le mancano elementi del primo tipo, ma del secondo. Si può riconoscere autorità nella cura pastorale solo al servitore di Gesù Cristo, che non cerca autorità per sé, ma che si inchina all'autorità della Parola, come un fratello tra i fratelli» (D. Bonhoeffer).
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