Trasfigurazione del Signore (XVIII Dom. del T. ord. - A)




Omelie - Il Vangelo della domenica
a cura di Antonio Savone, presbitero della diocesi di Potenza-Muro Lucano-Marsico Nuovo
Vita Pastorale (n. 8/2023)


ANNO A – 6 agosto 2023
Trasfigurazione del Signore (XVIII Dom. del T. ord.)

Daniele 7,9-10.13-14 • Salmo 96 • 2Pietro 1,16-19 • Matteo 17,1-9
(Visualizza i brani delle Letture)


IL CRISTO TRASFIGURATO

Pietro aveva intuito che quel Gesù che seguiva da un po', non era solo un grande rabbí, tant'è che glielo aveva detto: «Tu sei il Cristo!». Però, era come se non avesse ancora colto cosa volesse dire fino in fondo quello che, con tanta sincerità, aveva proferito.
Chissà quante volte Pietro, Giacomo e Giovanni si saranno sorpresi a fantasticare su quell'uomo! Conoscevano già da un po' il Signore, eppure intuivano che tanto sfuggiva alla loro comprensione. Fu così che si manifestò in tutto il suo splendore tanto da far esclamare stupito il povero Pietro: «Quant'è bello!». Anzi: «Troppo bello!».
Abbiamo sempre letto queste parole di Pietro come una tentazione. Eppure, quell'affermazione traduce proprio il senso di ogni cosa. Non si va avanti nella vita se non per un credito dato alla bellezza di un incontro o di un'intuizione. È perché qualcosa, qualcuno ha sedotto il nostro sguardo e il nostro cuore che ci siamo avventurati per la strada che poi abbiamo intrapreso.
Magari all'inizio non avevamo neppure le parole per spiegare cosa ci stava succedendo. Capivamo, però, che si trattava di qualcosa che segnava un prima e un poi. D'altronde, noi siamo fatti per la continua uscita da noi stessi, siamo fatti per essere felici e per mettere le tende dove questa esperienza è resa possibile.
Il problema, semmai, inizia quando si smarrisce la memoria di quel momento e prevale la lettura cronachistica degli eventi senza riuscire a conferire diritto di parola a ciò che sembra in apparente contraddizione con quanto sperimentato. Pietro farà fatica a tenere insieme il Cristo trasfigurato e il Cristo sfigurato: il secondo verrà letto come la smentita del primo e il primo solo come una sorta di inganno, di illusione, tanto che nella notte delle consegne non tarderà a dire: «Non lo conosco», ossia, «Non lo riconosco».
La sfida, infatti, sarà coniugare la visione dell'inizio con la fatica del prosieguo. Per noi la validità di un'esperienza è assicurata dal volerla eternare dimenticando che essa si invera proprio quando l'entusiasmo passa: l'innamoramento deve diventare amore, volontà di legare la tua vita all'altro, per sempre. Il compito è proprio riuscire a informare ogni cosa di ciò che ha toccato il cuore: trasfigurare vuol dire non già cambiare la realtà ma permettere a ciò che di più vero sei portatore, di venire alla luce.
L'immagine del Gesù glorioso sarà continuamente da rispolverare nei momenti in cui tutto sembrerà remare contro: quando Giuda lo tradirà come quando nel Getsemani lo vedranno in preda all'angoscia, ai piedi della croce come nel silenzio del Sabato santo. Sarà proprio quell'immagine ricordo impressa nel cuore prima che nello sguardo, a far sì che la storia non prenda una piega diversa. Non a caso il Padre continuerà a sancire la continuità dell'identità del Figlio: «Proprio questo Figlio» è lo stesso che ora contemplate glorioso e che poc'anzi vi ha prospettato ciò che l'attende a Gerusalemme. A noi manca la grazia di questa continuità: le cose ci sembrano giustapposte e sconnesse. Per questo è necessario ascoltare lui: se è vero che la fede nasce da una bellezza intravista, è altrettanto vero che la si conserva solo mediante l'ascolto.


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