VI Domenica di Pasqua (A)




Omelie - Il Vangelo della domenica
a cura di Antonio Savone, presbitero della diocesi di Potenza-Muro Lucano-Marsico Nuovo
Vita Pastorale (n. 5/2023)


ANNO A – 14 maggio 2023
VI Domenica di Pasqua

Atti 8,5-8.14-17 • Salmo 65 • 1 Pietro 3,15-18 • Giovanni 14,15-21
(Visualizza i brani delle Letture)


«NON VI LASCERÒ ORFANI»

Era l'ultima sera di Gesù con i suoi. Si trattava del momento più delicato della sua condivisione con loro. Doveva prepararli al distacco, ad elaborare la separazione e, perciò, li invitava ad abitare la solitudine. Anche se non avrebbero più goduto della sua presenza fisica, egli sarebbe stato non meno presente, ma in un altro modo.
Come a volerli rassicurare, eccolo ad affermare: «Non vi lascerò orfani». E poi, come a voler consegnare ciò che conta davvero, aveva aggiunto: «Se mi amate osserverete i miei comandamenti». A voler significare che ciò che conta è solo il motivo per cui fai determinate cose, se le fai per amore.
Chi non desidererebbe un'esistenza a cui venga risparmiata la possibilità di sbagliare? Eppure, resta solo un sogno una simile realtà. La perfezione evangelica, infatti, il compimento dell'esistenza è tendere continuamente ad amare, è fare nostri gli stessi obiettivi di Gesù. È questo il senso di quella parola che traduciamo con comandamenti. Il comandamento è ciò che ci permette di non mancare il bersaglio, di non fallire: significa avere uno scopo, un progetto. Osservarlo significa rendere manifesto lo scopo per cui vivi, palesare il progetto che guida il tuo fare e il tuo dire.
Se tu ami qualcuno non puoi non vivere in modo conforme alla custodia di quella relazione. E lo fai non per dovere ma perché senti che non potresti farne a meno. Se tu ami qualcuno, vivere nella fedeltà la relazione e adempiere con passione i tuoi impegni, non è qualcosa che vivi come costrizione ma solo come il modo più consono per non infrangere quel rapporto.
Abbiamo sempre pensato al comandamento come a una legge che dall'esterno mi dice che cosa fare e cosa evitare. Gesù rovescia questa concezione quando afferma: «Chi ha dentro i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama». La questione, perciò, è capire cosa ho dentro di me, quale parola custodisco, quale visione delle cose nutro, quale sguardo mi guida. E da dove nasce questa parola che custodisco dentro di me? Dal riconoscere che io sono stato amato di un amore che non ha eguale sulla terra. La mia esistenza, il mio camminare verso il compimento, altro non è se non per mettere a quell'amore di manifestarsi in tutta la sua pienezza.
Sappiamo bene cosa fa di noi l'innamoramento: fa vivere in un continuo decentrarsi, come a riconoscere che il centro di noi stessi è altrove. Quando percepisci di essere amato, ti scopri nella tua verità, riconosci quello che sei davvero. Non abbiamo mai detto a qualcuno: «Non sono mai stato così bene come con te»? Perché mai se non perché l'altro è stato il tramite perché io prendessi coscienza della mia identità più vera?
Questo significa rendere ragione della speranza che è in noi, come ci ricorda oggi l'apostolo Pietro. La speranza si radica nella certezza dell'amore di Dio per noi. La speranza è la capacità di affidare la tua vita a Dio che hai imparato a conoscere come fedele alla promessa. È lo Spirito santo a tenere viva la speranza dentro di noi, per cui i giorni che passano non sono contati da quando Gesù ci ha lasciato ma da quelli che mancano perché lo si possa finalmente incontrare.
Io ho una speranza? E quale?


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