Omelie - Il Vangelo della domenica
a cura di Antonio Savone, presbitero della diocesi di Potenza-Muro Lucano-Marsico Nuovo
Vita Pastorale (n. 4/2023)
ANNO A – 30 aprile 2023
IV Domenica di Pasqua
Atti 2,14a. 36-41 • Salmo 22 • 1 Pietro 2,20b-25 • Giovanni 10,1-10
(Visualizza i brani delle Letture)
IV Domenica di Pasqua
Atti 2,14a. 36-41 • Salmo 22 • 1 Pietro 2,20b-25 • Giovanni 10,1-10
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DIO CI CHIAMA PER NOME
Solo il Signore poteva operare simili accostamenti. Parla, infatti, del rapporto tra lui e l'uomo di ogni tempo proprio come quello che potrebbe esistere tra le pecore e il loro pastore, un rapporto fatto non di estraneità ma di incontro, di comunione di vita e di reciproco riconoscersi, un rapporto in cui il ritorno dell'uno è motivo di gioia per l'altro, una relazione in cui il ritorno è atteso e preparato.
Il pastore, ovvero chiunque abbia autorità su altri, afferma Gesù, lo riconosci dalla voce: non ha bisogno di urlare ma di coinvolgere. Il pastore non picchia ma indica, non agita ma rassicura, non costringe ma sollecita, non bistratta ma promuove. La voce, infatti, è molto più di un insieme di suoni. Il timbro che usi dice già in che modo ti poni di fronte all'altro.
Quante parole urlate nella convinzione che in questo modo si è sicuri di venire ascoltati, dimenticando che se il bastone è il segno dell'autorità, solo la voce è indice della tua autorevolezza!
La voce di Gesù doveva essere, senz'altro, particolare se è vero che la samaritana non potrà non riconoscere che mai un uomo le aveva parlato come quell'uomo; doveva essere autorevole se la folla non tarderà a riconoscere che mai nessuno aveva parlato come parlava Gesù; doveva essere riconoscibilissima se alla Maddalena basterà sentire pronunciare il suo nome per riconoscere in quell'uomo che le parlava il Maestro; doveva essere unica per far ardere il cuore nel petto ai due discepoli di Emmaus mentre conversava con loro lungo il cammino; doveva essere affidabile se conquisterà l'amore di Pietro dopo il triplice rinnegamento.
La voce tradisce la passione che ti anima, l'intenzione che ti guida, la convinzione che ti muove. Quante volte dalla voce riconosciamo ciò che l'altro avrebbe voluto dirci davvero!
Tanti ci chiamano mettendo insieme le sillabe che compongono la nostra identità anagrafica, ma solo uno ci conosce per nome, ovvero sa di cosa è impastata la mia vita. Che qualcuno pronunci il mio nome significa che mi ha intravisto e riconosciuto fra altri: e chi di noi non risuona positivamente di fronte a una simile esperienza?
E quando chiama per nome la proposta non è mai quella di un intruppamento ma quella dell'essere portato fuori, ossia godere della libertà di chi sa di aver messo radici in un amore che non viene mai meno. A un patto, però: che egli vada avanti per indicare la strada e aprire la pista. Quando le posizioni si capovolgono, infatti, ci si smarrisce.
L'essere chiamati per nome ha un solo scopo: avere la vita in pienezza. Dio ha un solo desiderio che l'uomo viva da figlio e viva, perciò, della sua stessa vita.
La vita che promette e dona non è anzitutto quella necessaria, indispensabile, il minimo per sopravvivere. No, è la vita centuplicata. Se solo ripercorressimo la storia della salvezza a partire dalla categoria del di più, troveremmo che egli offre la manna per quarant'anni nel deserto, il pane per cinquemila uomini, le anfore riempite fino all'orlo, l'acqua trasformata nel vino eccellente, la pietra rotolata via per Lazzaro, cento fratelli per chi ne lascia uno, il vaso di nardo prezioso e la casa riempita di profumo.
Così fa Dio, questo è Dio.
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