Omelie - Il Vangelo della domenica
a cura di Antonio Savone, presbitero della diocesi di Potenza-Muro Lucano-Marsico Nuovo
Vita Pastorale (n. 10/2022)
ANNO C – 1° novembre 2022
Tutti i Santi
Apocalisse 7,2-4.9-14 • Salmo 23 • 1 Giovanni 3,1-3 • Matteo 5,l-12
(Visualizza i brani delle Letture)
Tutti i Santi
Apocalisse 7,2-4.9-14 • Salmo 23 • 1 Giovanni 3,1-3 • Matteo 5,l-12
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L'UNICA TRISTEZZA? NON ESSERE SANTI
Un autore francese afferma che l'unica tristezza per un uomo è quella di non essere santo. Perché mai? Cosa evoca la santità? Il desiderio del vero, del bello, del bene come splende agli occhi di Dio. Non si tratta di prendere le distanze dai crucci della terra quanto, piuttosto, di vivere le cose di ogni giorno abitati dallo stesso sguardo di Dio.
È la capacità di coniugare, senza confonderli, Dio e l'uomo, il cielo e la terra.
Il desiderio del cielo ci permette di trascorrere i giorni non facendo navigazione a vista, bensì secondo la grazia di una traiettoria ben precisa: quella indicata a noi dal figlio di Dio.
Desiderio del cielo equivale a fare proprio il mandato consegnato da Gesù ai discepoli: far indietreggiare il male mediante un cuore che si lascia purificare dalla parola del Vangelo stanando ogni forma di alienazione umana; esprimersi mediante il linguaggio della comprensione e del dialogo bandendo il vecchio idioma che si declina come aggressività, spirito di vendetta, odio; essere limpidi e sinceri così da far sgonfiare il veleno della cattiveria e il morso della menzogna; restituire speranza a chi è piagato nel corpo e nello spirito.
Quando questo accade, il cielo è sceso in terra.
I santi ci ricordano che la disponibilità a farsi carico della terra è direttamente proporzionale alla capacità di non smarrire la consapevolezza della meta e il senso di quello che facciamo.
Essi ci insegnano che la nostra esistenza sulla terra è come una sorta di vigilia la cui durata varia per ciascuno: il compimento vero lo stiamo attendendo e preparando. Quello che viviamo sulla terra è primizia di ciò che ci attende nel compimento finale. Per tanti la vita nel cielo non è altro che un'appendice, una sorta di supplemento, il post- scriptum di quel libro che è la vita terrena, considerata il vero testo. In realtà, è il contrario: la vita sulla terra è solo la prefazione di quel libro il cui testo è la vita che ci attende.
C'è in tutti noi una segreta nostalgia di eternità.
Che cos'è quel senso di insoddisfazione che proviamo allorquando abbiamo appagato un nostro bisogno o l'anelito a cercare altro, altrove che attraversa il nostro cuore?
Che cos'è quell'angoscia che provi quando ti ritrovi con un risultato impari rispetto a ciò che hai profuso o quel senso di smarrimento che sembra accompagnare tante nostre giornate?
«A che serve vivere bene», ripeteva sant'Agostino, «se non ci è dato di vivere per sempre?».
Siamo fatti per il cielo, siamo fatti per Dio. Il cielo, infatti, non è un luogo geografico, il cielo è Qualcuno, il cielo è la piena comunione con il Signore!
Siamo fatti per il cielo, è vero, ma ci si arriva solo percorrendo i sentieri polverosi della terra. Il problema è decidere se vogliamo stare sulla terra da spettatori o da testimoni: lo spettatore assiste senza lasciarsi coinvolgere e prendere parte, il testimone sente come interpellanza rivolta a sé tutto ciò con cui si misura. Se il primo rischia di essere un codardo, il secondo vive il senso dell'appartenenza e del mettersi in gioco fino in fondo.
Per usare un'immagine, è come se fossimo alberi a rovescio, con le radici in cielo e i frutti nella storia.
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