XXXII Domenica del Tempo ordinario (C)




Omelie - Il Vangelo della domenica
a cura di Antonio Savone, presbitero della diocesi di Potenza-Muro Lucano-Marsico Nuovo
Vita Pastorale (n. 10/2022)


ANNO C – 6 novembre 2022
XXXII Domenica del Tempo ordinario

2 Maccabei 7,1-2.9-14 • Salmo 16 • 2 Tessalonicesi 2,6-3,5 • Luca 20,27-38
(Visualizza i brani delle Letture)


PIÙ FORTE DELLA MORTE È L'AMORE

Avessero potuto, i sadducei si sarebbero fatti una gran risata a fronte della pretesa di credere che qualcuno possa risuscitare: sarebbe come ammettere che una donna che sulla terra ha avuto sette mariti, nella risurrezione possa appartenere con egual diritto a tutti e sette. Che storia d'amore potrebbe conoscere mai quella donna? L'unica cosa possibile a un uomo è assicurarsi un dopo mediante la trasmissione del patrimonio genetico di famiglia.
Sebbene non siamo sadducei, forse, apparteniamo anche noi alla categoria di chi professa un cristianesimo senza risurrezione, una fede che ha come unico orizzonte i giorni dell'uomo, nulla più. Un cristianesimo che persegue la giustizia, che vive determinati valori ma tutto secondo una logica intramondana. Il dopo è escluso, l'oltre non è frequentato, ritenuto com'è solo un'invenzione. Al massimo si può pensare a un dopo come premio per il bene compiuto o come punizione per il male fatto. Credere, però, che la fede nella risurrezione possa avere qualcosa da dire qui e ora, è pressoché impensabile.
Noi non riusciamo a pensare nulla secondo categorie nuove: forse arriviamo a ipotizzare una riedizione riveduta delle cose, ma credere che la realtà possa conoscere un nuovo andamento è inammissibile. Fosse dipeso da noi, Zaccheo sarebbe rimasto sul sicomoro, la Samaritana al pozzo, Matteo al banco delle imposte, Tommaso nel suo dubbio, Paolo sulla sua via di Damasco. E, invece, già qui già ora Dio suscita figli di risurrezione.
Proprio la vicenda di quegli uomini attesta che il dopo di Zaccheo, della Samaritana e di tutti gli altri è altro rispetto a prima. E che cos'è quel loro "dopo" se non una primizia di ciò che il Padre vorrebbe farci vivere in eterno?
Per i sadducei la morte è l'unica cosa certa e, invece, Gesù affronta l'argomento attingendo a una citazione che presenta Dio non come chi lascia nell'oblio chi confida in lui bensì come il Dio di persone concrete tuttora viventi sebbene in altra forma: Abramo, Isacco e Giacobbe non sono solo nomi di un passato che non è più. Dio non è neppure soltanto il Signore della vita che assicura l'esistenza sulla terra sostituendo una generazione all'altra. Il nostro è un Dio di persone concrete, conosciute ciascuna per nome.
La preoccupazione, perciò, non può essere in che modo esprimere in Paradiso i legami intrattenuti sulla terra, ma anticipare sulla terra quello che vivremo nel Paradiso. È quello che fanno i sette ragazzi Maccabei che accettano di morire d'amore sapendo che questa è la vita vera. Continuare, invece, un'esistenza fisica senza amore sarebbe stato morire comunque anzitempo. Quando manca la prospettiva dell'eterno, infatti, tutto si consuma in una logica di possesso che garantisce solo la mia sussistenza.
L'unica cosa che resta non è la discendenza che siamo riusciti ad assicurarci ma l'amore che ha animato il nostro essere al mondo, tanto per chi si è sposato quanto per chi non ha ricevuto tale vocazione.
Più forte della morte è l'amore: ad avere la meglio sulla morte non è la vita come forse desidereremmo ma l'amore, quello che non avrà mai fine perché permarrà anche quando la vita terrena sarà conclusa.


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