XXX Domenica del Tempo ordinario (C)




Omelie - Il Vangelo della domenica
a cura di Antonio Savone, presbitero della diocesi di Potenza-Muro Lucano-Marsico Nuovo
Vita Pastorale (n. 9/2022)


ANNO C – 23 ottobre 2022
XXX Domenica del Tempo ordinario

Siracide 35,15-17.20-22 • Salmo 33 • 2 Timoteo 4,6-8.16-18 • Luca 18,9-14
(Visualizza i brani delle Letture)


LA PREGHIERA GRADITA A DIO

Era salito al tempio per consacrare una situazione di resa, il pubblicano. Non aveva neppure la forza di assumere un impegno di conversione. Si sarà ritrovato puntualmente a riconoscere il bene e ad apprezzarlo, salvo poi perpetuare un male che non avrebbe voluto.
Riesce a malapena a superare la soglia e a biascicare la sua incapacità a essere diverso. La postazione scelta traduce tutta la sua indegnità e tutta la sua incapacità a trovare da solo una via d'uscita. Non è in grado di vivere nella giusta relazione con Dio.
Tanto diversa, invece, la condizione dell'uomo devoto che misura il grado della sua vicinanza con Dio dai suoi modi e dal suo linguaggio ineccepibile. Il digiuno settimanale adempiuto addirittura più del previsto, la decima del suo guadagno puntualmente consegnata più di quanto la legge esigesse. Ma poi, soprattutto, nulla da spartire con tutto il resto degli uomini che invece rubano, commettono ingiustizie, tradiscono. Per non parlare di quell'uomo in fondo al tempio che manco sa il motivo del suo essere lì e che ha osato già troppo occupando l'ultima mattonella del tempio. Chi entra al cospetto di Dio deve starci come si conviene.
Il guaio del fariseo è proprio il suo "sé". Si ascoltava pregando: un vero e proprio atto di compiacimento con sé stesso. Lì, in quel tempio, Dio era stato estromesso e il suo posto lo aveva preso egli stesso. La presenza del pubblicano strideva con quella sua immagine tutta compìta che risultava quasi insozzata da quella intrusione.
Quando la norma, foss'anche quella religiosa, diventa il criterio per stabilire appartenenze ed esclusioni, siamo ben lontani dal cuore di Dio. La legge, infatti, è un pedagogo che dovrebbe portarci oltre la sua stessa osservanza per divenire capaci, invece, di avere in noi gli stessi sentimenti del cuore del Padre. Bastasse una legge! Luca ci ha già edotti con il figlio maggiore rimasto a casa asservito a un padre di cui non ha mai condiviso i sentimenti.
Quella del fariseo è una preghiera tutta attraversata dall'ipertrofia dell'ego: io digiuno, io pago, io non sono come gli altri. Invece che aiutarlo, la sua preghiera finisce per farlo cadere in una condizione peggiore: diventa addirittura l'occasione per macchiarsi di una colpa tanto grave.
Stranamente, però, Gesù sostiene che quel modo di porsi del fariseo non risulta gradito a Dio perché le sue ferme convinzioni nascondono soltanto la paura di chiamare per nome la sua nudità. Più spessa è la corazza, maggiori sono le fragilità da nascondere. Davvero "il re è nudo" (come ricorda la favola di Andersen), ma non vuole ammetterlo.
Non è la giusta posizione nella preghiera o il linguaggio appropriato a preservarci circa la nostra personale porzione di male. Proprio lì, davanti a Dio, sta commettendo lo stesso peccato di satana: la superbia e, perciò, il conseguente disprezzo degli altri. Davanti a Dio bisogna andarci non perché finalmente giusti ma perché bisognosi di perdono e di misericordia, nessuno escluso.
Quando la fede è vera, non è mai arrogante, mal si sposa con la vanagloria, ossia con il bisogno di un perpetuo riconoscimento che finalmente marchi la nostra distanza da tutti, ahimè, persino da Dio.


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