Omelie - Il Vangelo della domenica
a cura di Antonio Savone, presbitero della diocesi di Potenza-Muro Lucano-Marsico Nuovo
Vita Pastorale (n. 9/2022)
XXIX Domenica del Tempo ordinario
Esodo 17,8-13 • Salmo 120 • 2 Timoteo 3,14-4,2 • Luca 18,1-8
(Visualizza i brani delle Letture)
Esodo 17,8-13 • Salmo 120 • 2 Timoteo 3,14-4,2 • Luca 18,1-8
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DIO ASCOLTA IL NOSTRO GRIDO
Viene per tutti il momento in cui ti attraversa una sorta di tarlo che vorrebbe convincerti che è meglio mollare tutto: a che serve, infatti, continuare a guardare un cielo che sembra assistere spettatore sordo e muto al tuo lamento e alla tua invocazione?
Che beneficio ne ricavi a portare avanti alcuni impegni quando questo non è riconosciuto da alcuno?
Il Signore stesso quel giorno, con allarmante disincanto, si chiederà: «Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?». Non è affatto scontato il non venir meno della fiducia quando all'orizzonte si profila l'Amalek di turno che ti porta via quanto hai di più caro. Vale sempre la pena restare integri nella professione della fede e perseveranti nella preghiera?
La vedova avrebbe avuto tutti i motivi per lasciar perdere eppure, proprio per la sua insistenza, ottenne giustizia.
La donna non ottiene anzitutto ciò che chiede ma ciò in cui non ha mai smesso di credere, tant'è vero che ad averla vinta sul giudice è proprio la sua fede, neppure di fronte a chi le opponeva solo resistenza. Il punto, infatti, è proprio non smettere di credere anche a fronte di una eventuale smentita.
La vera sconfitta non è quella che deriva da un qualche elemento esterno che sembra giocare contro di noi. «In tutte queste cose noi siamo più che vincitori», ripete Paolo. No, la vera sconfitta è mollare tutto nella convinzione di non essere ascoltati. Ecco cosa fa l'Amalek o il giudice di turno: convincerti che la tua vicenda non stia a cuore a nessuno, tantomeno a Dio.
Per questo la domanda di Gesù ha un che di rammarico. Ci sarà ancora qualcuno che, anche a fronte delle delusioni che la vita riserva, non smetterà di lavorarsi Dio ai fianchi proprio come la vedova il giudice? No, non si tratta di un Dio sordo al nostro grido: l'insistere non è perché egli, finalmente, si convinca ma perché io continui a credere e a sperare in qualsiasi circostanza, nella buona e nella cattiva sorte, appunto.
A far la differenza tra di noi non sono i traguardi raggiunti o gli obiettivi perseguiti. A far la differenza è la fede, ossia la certezza che Dio non può mai abdicare al suo essere Padre di misericordia. Che ruolo svolge la figura del giudice nel nostro caso? Quello di chi vorrebbe convincerti che è inutile insistere, inutile restare fedeli: meglio ripiegare.
Invece, attesta Gesù, anche se non avessimo più alcuna motivazione umana che tenga desta la nostra speranza, fedele è Dio. Questa consapevolezza è ciò che mette in grado persino di ospitare il dolore, senza mai smarrire la fiducia. Possiamo ospitare il dolore nella nostra vita solo quando il nostro cuore ospita la certezza di essere figli amati, accompagnati dalla cura e dalla misericordia del Padre il quale sa già ciò di cui abbiamo davvero bisogno. Un cuore capace di amare riesce anche a sopportare i silenzi e a integrare le lontananze: proprio dell'amore, infatti, è attendere, accogliere, mai strumentalizzare l'altro, neanche a fin di bene.
Troverà ancora fede? La domanda non può che restare aperta. E, come sempre, Gesù la rovescia: il problema, infatti, non è se Dio farà giustizia ma se io saprò reggere il suo ritardo.
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