Omelie - Il Vangelo della domenica
a cura di Antonio Savone, presbitero della diocesi di Potenza-Muro Lucano-Marsico Nuovo
Vita Pastorale (n. 9/2022)
ANNO C – 9 ottobre 2022
XXVIII Domenica del Tempo ordinario
2Re 5,14-17 • Salmo 97 • 2 Timoteo 2,8-13 • Luca 17,11-19
(Visualizza i brani delle Letture)
XXVIII Domenica del Tempo ordinario
2Re 5,14-17 • Salmo 97 • 2 Timoteo 2,8-13 • Luca 17,11-19
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L'INCONTRO CHE SALVA
Non ci sono luoghi che il figlio di Dio non attraversi e non ci sono situazioni che egli non incroci. Gesù sceglie di attraversare tanto i luoghi della nostra indecisione quanto quelli del nostro aprirci all'azione di Dio. Un continuo superamento di confini quello attuato da Gesù.
Proprio quel suo attraversare la strada accidentata dell'infedeltà, fa sì che un gruppo di uomini affretti i propri passi verso di lui. Si tratta di dieci uomini che non si rassegnano a come debbano andare le cose. E, perciò, contro ogni convenzione sociale decidono di osare il tutto per tutto.
A poco servirebbe il passaggio del medico celeste per chi continua a negare la sua malattia. Se una legge stabiliva l'esclusione da ogni contatto sociale, la grazia di quel passaggio di Gesù, invece, aveva permesso loro di desiderare quanto credevano perduto per sempre.
La fede è proprio la consapevolezza di vivere una situazione da cui, con le sole nostre forze, non è possibile venir fuori. Chi è consapevole di questo, osa anche ciò che a tutta prima sembrerebbe impossibile. Non è affatto scontato stare a contatto con l'esperienza della propria fragilità o del proprio limite senza cedere alla rassegnazione. La malattia, non poche volte, finisce per farci vivere ripiegati. È proprio a questo che i dieci lebbrosi si ribellano e si assumono la fatica del rischio unitamente a quella di un eventuale rifiuto.
Uniti come sono nella sofferenza, lo sono anche nella supplica. Un vero e proprio atto penitenziale il loro: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi». Quell'uomo che hanno davanti a sé ha un'autorità che nessun altro possiede. E quando Gesù chiede loro di recarsi dai sacerdoti, pur registrando ancora i segni della lebbra sul loro corpo, si fidano della sua parola: infatti, è per l'obbedienza a quella parola che il loro corpo è risanato.
Tutti vengono sanati, eppure uno solo ne vive la consapevolezza. Sembra una messa a metà, ferma all'atto penitenziale e alla liturgia della parola; manca,infatti l'eucaristia, il rendimento di grazie.
I primi vedono in Gesù la soluzione, il samaritano riconosce in lui la salvezza, tanto che gli si prostra ai piedi. Se è vero che Dio può guarire dieci persone in un istante, non può far nulla per rendere grato il cuore indurito di uno solo. Il grazie, infatti, sgorga spontaneo là dove il cuore è in pace. Il tornare indietro del samaritano indica il non fermarsi al dono ricevuto ma la capacità di risalire al donatore: importante il segno che porta nel suo corpo ma ancor di più chi glielo ha elargito.
A tornare indietro è il più lontano, l'escluso. Tutti si vedono guariti, uno solo comprende che cosa è accaduto davvero. Per questo torna indietro, per non smarrire la memoria di ciò che ha ricevuto. La fede, infatti, si nutre della memoria che si apre alla riconoscenza.
L'approdo non è ottenere un beneficio bensì esprimere un'appartenenza, far sì che l'incontro divenga relazione così da diventare egli stesso il prolungamento di quanto ha ricevuto: «Alzati e va'».
Il compimento dell'esistenza non è l'integrità della vita fisica, ma il non smarrire le ragioni del vivere. La sua fortuna non è stato l'essere guarito, ma l'aver incontrato il Signore.
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