XXVII Domenica del Tempo ordinario (C)




Omelie - Il Vangelo della domenica
a cura di Antonio Savone, presbitero della diocesi di Potenza-Muro Lucano-Marsico Nuovo
Vita Pastorale (n. 9/2022)


ANNO C – 2 ottobre 2022
XXVII Domenica del Tempo ordinario

Abacuc 1,2-3;2,2-4 • Salmo 94 • 2 Timoteo 1,6-8.13-14 • Luca 17,10-10
(Visualizza i brani delle Letture)


LA FEDE DA TENERE VIVA

Agli apostoli era parsa la cosa più spontanea chiedere un aumento della fede a fronte dello strano discorso appena concluso da Gesù. Sì, perché aveva appena finito di dire che il perdono non conosce parentesi né dilazioni: settanta volte sette, ogni minuto e mezzo. Aveva chiesto, cioè, di essere misericordiosi come il Padre: la vita dei discepoli ha proprio questo di specifico, diventare come il figlio Gesù trasparenza del Padre celeste. Per meno di questo non si dà vita cristiana anche se continuiamo a vivere di pratiche religiose, intraprendiamo percorsi di catechesi o accompagniamo itinerari di animazione.
Gli apostoli sono convinti che solo un accrescimento della fede potrebbe operare ciò che la ristrettezza del cuore e la meschinità dei pensieri sembra impedire. Sono disposti a fidarsi di ciò che il Signore chiede, ma non possono farlo se guardano alle loro forze.
La risposta di Gesù, però, sembra disattendere questa supplica. La misura della fede, infatti, non è la molteplicità delle cose che riesci a compiere ma la disponibilità a fare spazio a Dio fino in fondo anche quando, come ricorda Abacuc, tu continui a implorare qualcuno che sembra restare sordo al tuo grido.
La fede è uno slancio dell'anima che non si piega all'evidenza delle cose e all'umana mente prevedibile perché crede che Dio non ha mai smesso di agire nella storia dell'uomo. Il tempo che viviamo non è soltanto l'occasione per evitare che avvenga la morte ma il tempo in cui, attraverso una vita spesa a fare quello che dovevamo fare, attendere di entrare nella morte perché il nostro approdo è oltre la morte stessa.
La fede a cui Gesù fa appello è quella di chi si lascia spostare continuamente i confini per fare propria l'ampiezza dello sguardo di Dio sulla vita. Il segno della nostra fede è proprio l'essere sempre più in là rispetto alla grettezza e alla meschinità, sempre più in là rispetto alla parzialità e alla chiusura, sempre più in là rispetto a ogni forma di protagonismo, sempre più in là rispetto al buon senso che tutto riduce all'angustia delle proprie visioni e, perciò, non è in grado di conferire diritto di parola a ciò che eccede il normale misurarsi con la vita.
Prima che una credenza la fede è un modo nuovo di guardare la vita, quello pensato secondo Dio quando l'uomo usciva dalle sue mani.
Chi vive in questo modo sa che gli basta essere stato nel posto giusto al momento giusto, non ha bisogno di altre ricompense. Sa che quello che fa non è né inutile né irrilevante quando è compiuto secondo lo stile di chi bandisce l'ostentazione. La mia fede è proporzionale alla mia capacità di servire, al non cercare la mia affermazione.
A me spetta il compito, qui e ora, di plasmare della forza che viene da Dio, ogni situazione. Il paradigma di un tale modo di essere cristiani non è il proprio riconoscimento ma Gesù Cristo, il suo modo di pensare, di parlare, di vivere.
Per questo abbiamo bisogno di ravvivare il dono di Dio che è in noi. La fede che dobbiamo tenere viva è quella nella fedeltà di Dio e nella sua promessa, soprattutto quando verrebbe da vergognarsi per le situazioni che in nome suo attraversiamo.
Ce l'hai questa fede? Ne basta un granellino.


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