Omelie - Il Vangelo della domenica
a cura di Antonio Savone, presbitero della diocesi di Potenza-Muro Lucano-Marsico Nuovo
Vita Pastorale (n. 8/2022)
ANNO C – 25 settembre 2022
XXVI Domenica del Tempo ordinario
Amos 6,1.4-7 • Salmo 145 • 1 Timoteo 6,11-16 • Luca 16,19-31
(Visualizza i brani delle Letture)
XXVI Domenica del Tempo ordinario
Amos 6,1.4-7 • Salmo 145 • 1 Timoteo 6,11-16 • Luca 16,19-31
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LA BANALITÀ DEL MALE
Quella che rischia di essere letta come la teorizzazione della legge del contrappasso e quasi una descrizione della vita dopo la morte, è in realtà una vicenda di uomini e del loro modo di stare al mondo.
L'attenzione è subito attirata da un ricco la cui identità è data dal fasto che lo circonda e dal vuoto che lo abita. Esiste solo lui e la brama di rendere sempre più lussuosa la sua esistenza: non è in grado di guardare in alto e tantomeno di guardare accanto. Forse, una vittima della "banalità del male" (Arendt). Il male, infatti, tanto spesso ha a che fare con la stupidità dell'ignoranza, il conformismo dei luoghi comuni, la superficialità di chi perde il contatto con ciò che lo circonda.
«Indossava vestiti di porpora e di lino finissimo »: cioè, io sono ciò che indosso.
È dietro l'angolo il rischio di usare un abito per nascondere la propria debolezza e, talvolta, anche la propria inconsistenza, come se il valore non sia la mia persona ma il modo in cui mi presento. Si tratta di un vero e proprio meccanismo di difesa che finisce per preferire la maschera alla persona, il ruolo all'identità. Il ricco della parabola ha come anestetizzato il suo cuore e non riesce a contemplare un oltre che non sia il suo ego smisurato.
«Ogni giorno si dava a lauti banchetti»: cioè, io sono ciò di cui mi nutro.
È dietro l'angolo pensare di spegnere la fame di senso e di verità, di amore e di riconoscimento, ingurgitando qualsiasi cosa che sebbene sazi non sempre nutre. Evidentemente quest'uomo ha serie difficoltà relazionali dal momento che non esiste alcuno all'infuori di sé.
Per quanto possa sembrare assurdo, esiste una ricchezza che rende poveri perché obnubila la mente e fa smarrire le ragioni del cuore. L'abisso dell'incomunicabilità è l'esito nefasto della gabbia di protezione in cui egli stesso ha scelto di rinchiudersi.
L'uomo vale quanto vale davanti a Dio, ripeterà san Francesco. La mia consistenza non è data da un abito o da un cibo, ma dall'essere stato pensato, voluto e amato da Dio. Non a caso, proprio colui che non aveva di che vestirsi e di che nutrirsi ha un nome ben preciso, Lazzaro, ossia Dio aiuta.
Lazzaro gettato alla porta della casa del ricco, rappresentava un'incessante invocazione perché quegli si muovesse a pietà, ma quando il cuore è rattrappito, anche gli occhi diventano incapaci di vedere. Di disamine che colgono con puntualità lo status quaestionis è pieno il mondo. Non basta sapere ciò che è giusto compiere, è necessario adoperarsi a farlo se non vogliamo creare una situazione infernale segnata dall'abisso dell'incomunicabilità.
Il ricco si accorgerà della necessità della relazione solo quando sarà troppo tardi, invocando una soluzione miracolistica. Non c'è Dio, infatti, non c'è uomo, non c'è morto che parla, in grado di distogliere chi vive ciecamente la spensierata e folle corsa della bramosia che conduce alla distruzione del mondo che ci si è costruiti. Chi non ama rimane nella morte (1Gv 3,14), per sempre.
Siamo chiamati a scegliere continuamente tra responsabilità e spensieratezza: la partita può essere vinta nel versante della responsabilità se cominciamo a guardare a chi sta alla porta di casa se non addirittura dentro.
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