XVIII Domenica del Tempo ordinario (C)




Omelie - Il Vangelo della domenica
a cura di Antonio Savone, presbitero della diocesi di Potenza-Muro Lucano-Marsico Nuovo
Vita Pastorale (n. 7/2022)


ANNO C – 31 luglio 2022
XVIII Domenica del Tempo ordinario

Qoèlet 1,2;2,21-23 • Salmo 89 • Colossesi 3,1-5.9-11 • Luca 12,13-21
(Visualizza i brani delle Letture)


L'IPERTROFIA DELL'IO

Una vertenza giudiziaria a proposito di eredità. Qualcuno aveva ricevuto più di un altro: una vera ingiustizia da pareggiare. Insieme al latte materno abbiamo ciucciato pure la convinzione che chi ha ricevuto di più è amato di più e, perciò, vale di più. Abbiamo sempre visto come un torto il fatto che qualcuno abbia ricevuto un'attenzione diversa rispetto a noi perché, in fondo, abbiamo finito per equiparare l'amore con le cose messe a disposizione. Storia di ieri, storia di sempre. Il problema è che non siamo tutti uguali: il bisogno dell'uno non è il bisogno dell'altro. Per questo dirà don Milani: «Non c'è nulla che sia più ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali».
Cosa c'era di sbagliato nel voler aumentare il proprio capitale? In fondo, quel tale era uno che ci aveva saputo fare. Inoltre, quel patrimonio non era stato estorto a nessuno, se l'era sudato. In un'altra circostanza il Signore ebbe a biasimare chi, per paura di mettersi in gioco, aveva sotterrato il talento.
Cos'è, allora, che non funzionava in questo caso? L'aver attaccato il cuore alle cose: «Alla ricchezza anche se abbonda non attaccate il cuore» (Sal 61,11). Guai a credere che il proprio punto di appoggio possa essere qualcosa che non ha alcuna consistenza. Il cuore è fatto per le persone non per oggetti o traguardi, non per interessi o obiettivi.
Nella vita dell'uomo ricco erano le cose a dettare passioni, progetti e analisi. La roba, di malavogliana memoria: era convinto che, così come poteva mettere al riparo dei ladri la sua roba, potesse mettere al riparo da quel ladro imprevedibile che è la morte, i giorni della vita: «Hai a disposizione molti beni per molti anni».
Ricco ma non libero, possidente e, tuttavia, schiavo. Non c'era la possibilità del confronto con nessun altro, tant'è che quando non sa come fare per mettere al sicuro tutto quel ben di Dio, è lui a farsi la domanda e a darsi la risposta. Abitato da suoi princìpi che finiscono per divorarlo anzitempo: il "sempre di più" e il "solo io".
«Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia». Che cos'è la cupidigia? È il non accettare di darsi un limite: non riuscendo a riconoscere il bene di cui già si dispone e patendo una eterna insoddisfazione, ci si convince che la soluzione sia nell'aggiungere altro, e poi altro ancora, sempre di più, appunto, smodatamente e senza guardare più in faccia a nessuno. Paradossalmente, chi non riesce a tenersi lontano dalla cupidigia si ritrova a vivere proprio ciò che più vorrebbe evitare: per non conoscere l'amara esperienza della miseria sceglie di farla sua come stile.
L'uomo del Vangelo era esperto di due operazioni matematiche soltanto: aggiungere per moltiplicare. Non conosceva affatto cosa volesse dire sottrarre per condividere. Il possessivo si era tramutato in ossessivo («mio... mio... mio...»), così da diventare vittima di quella malattia tanto asintomatica quanto nociva, a prima vista: l'ipertrofia dell'io. È terribilmente solo e autoreferenziale l'uomo del racconto evangelico. Unica la sua prospettiva: il suo piccolo-grande mondo. Nient'altro. Non aveva capito, che quel piccolo-grande mondo era solo vanità, ossia un nulla evanescente.


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