Omelie - Il Vangelo della domenica
a cura di Antonio Savone, presbitero della diocesi di Potenza-Muro Lucano-Marsico Nuovo
Vita Pastorale (n. 3/2022)
ANNO C – 13 marzo 2022
II Domenica di Quaresima
Genesi 15,5-12.17-18 • Salmo 26 • Filippesi 3,17-4,1 • Luca 9,28b-36
(Visualizza i brani delle Letture)
II Domenica di Quaresima
Genesi 15,5-12.17-18 • Salmo 26 • Filippesi 3,17-4,1 • Luca 9,28b-36
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A IMMAGINE E SOMIGLIANZA DI DIO
A immagine e somiglianza di Dio Interpellati da Gesù su cosa pensassero di lui, i discepoli avevano abbozzato una risposta vera - il Cristo - ma non immaginavano cosa potesse significare. Aveva raccontato loro in che modo egli sarebbe stato il Cristo: lo attendeva, infatti, una prospettiva di sofferenza e di morte. Sì, aveva anche parlato di risurrezione, ma cos'era e chi ne aveva mai fatto esperienza? Sapevano bene, invece, cos'è la passione e cos'è la morte. Inoltre, quello che attendeva il Cristo era, in realtà, la stessa sorte del discepolo.
Per otto giorni questi discorsi devono aver lasciato il segno gettando nello sconforto coloro che, con tanta generosità, avevano accettato di fidarsi della parola del Maestro.
Per questo Gesù li porta con sé sul monte, per comprendere la bellezza dell'amore vero, la grandezza del falsi dono in modo incondizionato e la fecondità dell'offrirsi senza sperarne il contraccambio. Per quanto ognuno misuri sulla sua pelle la propria piccolezza e il proprio peccato e sia forte la tentazione di prendere le distanze da certi argomenti, Dio non cessa di farci comprendere a cosa siamo chiamati se solo accettiamo di fidarci.
C'è altro. Siamo altro.
Sul monte, infatti, accade qualcosa di unico. Il volto di Gesù diventò altro, non già perché non fosse più lui, ma perché l'essenza di ogni volto, anche il nostro, è altro. Per un momento, Gesù apparve nel suo aspetto più vero, quello che gli occhi dei presenti erano in grado di sostenere. La gloria che i discepoli intravedono è quella propria del figlio di Dio che, tuttavia, ha assunto una modalità terrena che non la fa apparire in tutto il suo splendore. Accade anche a noi: usi come siamo a vederci in un certo modo, non riusciamo nemmeno a sospettare il nostro vero volto, quello pensato a immagine e somiglianza di Dio.
La voce del Padre stabilisce una connessione di identità tra il Gesù che sarà rifiutato e sconfitto e il figlio amato. Gesù appare in tutta la sua bellezza, la bellezza propria di chi non è preoccupato di apparire ma di prendersi cura del dolore altrui. La bellezza che salva il mondo è l'amore che con- i divide il dolore. Proprio la bellezza che promana da Gesù è ciò che . permette a tutti quanti noi di giocare la partita della vita a qualsiasi prezzo, nonostante le sue imperfezioni e le sue fatiche. Quando gli occhi custodiscono la memoria della bellezza intravista e gustata, non si ha paura di sporcarsi con il fango.
Il volto di Gesù diventa altro perché i suoi amici, nella notte della paura e dello smarrimento, non perdano di vista che Gesù è altro, che essi stessi sono altro e, perciò, non cessino di fidarsi e di affidarsi.
Se è vero che la notte potrà impedire a noi di vedere il sole, non potrà mai spegnerlo. Ecco il senso di questa pagina a cui dobbiamo tornare continuamente. Abbiamo tutti bisogno di riappropriarci della nostra bellezza sorgiva se non vogliamo abituarci al brutto, al decadente, al degrado. Chi non conosce la sua innata bellezza si accontenterà sempre del piccolo cabotaggio. A nulla serve sciogliere le catene se uno non è in grado di gustare la bellezza della libertà: vivrebbe da schiavo anche qualora si ritrovasse libero.
C'è altro. Siamo altro.
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