II Domenica dopo Natale (C)




Omelie - Il Vangelo della domenica
a cura di Antonio Savone, presbitero della diocesi di Potenza-Muro Lucano-Marsico Nuovo
Vita Pastorale (n. 1/2022)


ANNO C – 2 gennaio 2022
II Domenica dopo Natale

Siracide 24,1-4.12-16 • Salmo 147 • Efesini 1,3-6.15-18 • Giovanni 1,1-18
(Visualizza i brani delle Letture)

NATALE È STARE NELLA STORIA

«Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo». Sara capitato a tutti di ritrovarsi all'improvviso in una stanza buia all'interno della quale ci siamo mossi a fatica come vedendo delle ombre, poi dissolte appena la luce è tornata.
Che differenza c'è tra l'essere al buio e godere della luce, conoscere Gesù o non averlo mai incontrato? La differenza deve essere proprio la stessa. La luce non ha il potere di cambiare la realtà ma il modo di guardare le cose: riconosci gli oggetti, distingui le persone, dai il giusto peso a un evento.
Cosa fa in noi la luce vera che è Gesù Non muta il corso degli eventi come magari pretenderemmo, ma la nostra capacita di affrontare una determinata situazione, permettendoci di comprenderla per quella che è. Ci dona la luce per un nuovo orientamento e ci permette di affrontare ogni cosa con la forza che viene da lui. La luce vera che è Gesù permette a ciascuno di scoprire la profondità del proprio essere, di trovare il suo compimento, di scoprire ciò a cui è chiamato. La sua presenza non offre soluzioni ma gli elementi necessari per discernere. La luce vera permette a ciascuno di noi di rivelare ciò per cui è stato pensato e voluto: il suo volto si accende della luce stessa di Dio.
A ragione don Tonino Bello affermava che «Natale non è un punto di arrivo ma di partenza. Natale non è un "punto a capo". Natale è "due punti": si apre, si deve aprire poi tutto un discorso». Quale discorso siamo chiamati ad aprire? La risposta non è univoca ma personale, non è data una volta per tutte, ma è sempre di nuovo da inverare.
Accogliere la luce vera che illumina la nostra vita vuol dire stare nella storia compromettendoci e apportando il nostro modesto, forse, ma unico contributo.
Stare nella storia: ecco la nostra vocazione. È cosi che celebriamo il nostro Natale. In gioco, infatti, non c'è più il Natale del Signore ma il mio Natale, il mio venire alla luce. Nella storia un atteggiamento non vale l'altro: ci si può stare da rassegnati o da appassionati, da sfiduciati o da uomini di speranza, da sconfitti o da profeti, da consumatori acritici o da uomini che si lasciano interpellare.
Stare nella storia da credenti vuol dire sperare, essere vigili, certi che l'ultima parola non spetta a una emergenza sanitaria che, se può attaccare la salute e l'economia, non può far smarrire le ragioni del vivere.
Stare nella storia con lo sguardo di chi mette in luce i timidi germogli che intravvede senza nulla mortificare e con l'atteggiamento di chi non spegne le domande piùvere.
Stare nella storia con i piedi di chi ogni giorno intraprende passi d'incontro che creano ponti di dialogo e fanno si che l'altro si senta accolto.
Stare nella storia con le mani di chi sa tenderle all'amico e al nemico, mani libere da compromessi e capaci di coinvolgersi in ogni vicenda. Stare nella storia, infatti, si declina come capacità di "stare nelle storie" di chi incrociamo, ridando valore a volti e nomi. Solo cosi si realizzerà l'antica parola del profeta: «La tua luce sorgerà come l'aurora, la tua ferita si rimarginerà presto» (Is 58,8).
Le nostre ferite si rimarginano nella misura in cui curiamo quelle altrui.


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