Omelie - Il Vangelo della domenica
a cura di Antonio Savone, presbitero della diocesi di Potenza-Muro Lucano-Marsico Nuovo
Vita Pastorale (n. 9/2021)
ANNO B – 10 ottobre 2021
XXVIII Domenica del Tempo ordinario
Sapienza 7,7-11 • Salmo 89 • Ebrei 4,12-13 • Marco 10,17-30
(Visualizza i brani delle Letture)
XXVIII Domenica del Tempo ordinario
Sapienza 7,7-11 • Salmo 89 • Ebrei 4,12-13 • Marco 10,17-30
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AVERE O ESSERE?
Un incontro che aveva tutti i presupposti per diventare relazione, si trasforma, invece, in un'occasione mancata. Che cosa devo fare per avere la vita eterna? Chi pone una simile domanda, si dà un obiettivo alto. Avverte l'urgenza di dare una svolta alla sua esistenza, proprio come accade, talvolta, anche a noi. Quel tale ha bisogno di un Maestro e di un Maestro buono, di uno che gli insegni cosa fare.
Perché mi chiami buono? Strana come risposta da parte di Gesù, ma quanto mai appropriata. Prova a dar ragione del tuo cammino interiore. Sei davvero sicuro che al tuo affrettarti esteriore corrisponda un eguale movimento del cuore? Cosa cerchi davvero?
Osserva i comandamenti. Quelle parole sono le uniche in grado di custodire la condizione di libertà che desideri.
Non uccidere... Chi è l'altro per te? Sei in grado di non mortificarne la crescita?
Non commettere adulterio... Sei capace di una relazione stabile, fedele?
Non rubare... Non vivere con l'animo di chi pretende quanto l'altro non è in grado di dare.
Onora il padre e la madre... Sei capace di dire sì al tuo passato e alle tue origini ben precise, fatte di quel padre e di quella madre che hai?
Quel tale riconosce di essere pienamente su questa lunghezza d'onda già da tempo, ma sente che non gli basta. La svolta potrebbe essere solo un amore gratuito, ma è estremamente impegnativo accettare di entrare in una relazione d'amore. Infatti, lo sguardo d'amore di Gesù gli manifesta, senza umiliarlo, ciò di cui è mancante. Quel tale, però, ha paura di stare a contatto con la mancanza, con la vulnerabilità, con ciò di cui non dispone.
Dirà Agostino che amare significa dire a uno: «Amo, volo ut sis». Amare è volere che l'altro sia. A questo tale, Gesù fa il dono di uno sguardo ma, si sa, ci sono sguardi da cui prendiamo volentieri le distanze quando percepiamo che potrebbero segnare un prima e un poi nel rapporto. Per questo, se da una parte si fa discepolo di quell'uomo riconosciuto come Maestro buono, dall'altra non è disposto a fidarsi di lui fino in fondo.
Gli sarebbe bastata una sorta di sequela generica, come una sorta di giustapposizione, mentre Gesù gli propone un vero e proprio esodo, iniziando a prendere le distanze da tutto ciò che, in qualche modo, costituiva la sua sicurezza. Per quanto la sua religiosità era vera, rischiava di essere formale, ferma all'apparenza. Non basta voler il bene, bisogna poi operarlo.
Era andato da Gesù per comprendere la sua identità, il suo essere. Se ne torna, invece, come uno che "ha" molti beni. Preferisce essere definito da ciò che ha non da ciò che è. Se ne va triste perché ha paura di scoprire la sua identità più vera, ossia una persona amata e bisognosa di amore.
Accade più spesso di quanto crediamo che ciò che abbiamo finisce per possederci e condizionarci, privandoci di una vera esperienza di libertà. È rischioso fidarsi di uno sguardo d'amore per quanto promettente. Rassicura, invece, molto di più, qualcosa di concreto di cui si dispone. La sicurezza dei beni è preferita all'insicurezza della relazione.
Quel tale, sottraendosi a uno sguardo d'amore, preferisce il passato precludendosi ogni possibilità di futuro.
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