II Domenica di Quaresima (B)




Omelie - Il Vangelo della domenica
a cura di Antonio Savone, presbitero della diocesi di Potenza-Muro Lucano-Marsico Nuovo
Vita Pastorale (n. 2/2021)


ANNO B – 28 febbraio 2021
II Domenica di Quaresima

Genesi 22, 1-2.9a.1 0-13.15-18 • Salmo 115 • Romani 8,31b-34 • Marco 9,2-10
(Visualizza i brani delle Letture)

LA BELLEZZA CHE SALVA

Quel giorno, sul Tabor, Gesù si lasciò andare a una confidenza senza precedenti davanti a Pietro, Giacomo e Giovanni. Sì, certo, avevano intuito che quell'uomo fosse unico, ma non potevano neppure lontanamente immaginare che potesse sprigionare da lui una luce da lasciarli quasi tramortiti. Pietro, infatti, non potrà trattenersi: «Quanto è bello!».
«Facciamo tre tende». Chi non vorrebbe finalmente acciuffare Dio? Chi non vorrebbe evitare le notti buie dell'anima? Quella che Pietro aveva davanti ai suoi occhi non era una favola, era realtà: gli pareva di toccare il cielo con un dito. Tutto era così bello da non capire più nulla e da non sapere neppure cosa dire. In men che non si creda era passato dall'approvazione più alta per aver proferito la risposta giusta a Cesarea di Filippo («Beato te, Simone...») alla riprovazione più terribile («Lungi da me, Satana...»). Aveva trascorso sei giorni d'inferno, è il caso di dirlo. Ma non poteva certo immaginare di ritrovarsi all'improvviso in Paradiso.
Sul Tabor, il Maestro non stava giocando a fare il super eroe della situazione: stava solo offrendo ai discepoli in difficoltà una primizia che potesse far ritrovare le motivazioni e rigenerare le forze.
Scegliere di seguire il Signore non ha come esito la sofferenza ma l'essere rivestiti di luce e di splendore e questo, però, non saltando il passaggio dell'essere recisi. Quello che sembra un terribile destino è invece un percorso di grazia. Tutti aneliamo alla felicità e alla gioia e solitamente pensiamo a queste come una sorta di zona franca da raggiungere con una certa spensieratezza: felicità e gioia, invece, sono tessute col filo del dolore vissuto con fede.
Sul Tabor si realizza quello che un giorno Picasso attesterà: «C'è un solo modo di vedere le cose finché qualcuno non ci mostra come guardare con altri occhi». Ed è proprio ciò che ci manca. Non riusciamo a fare memoria della bellezza già intravista mentre ci arrabattiamo con ciò che sembra essere il suo opposto. La trasfigurazione ha questa finalità: attraversare la passione senza perdere di vista la gloria, vivere il tradimento e l'abbandono senza dimenticare l'amore, stare a contatto con la desolazione senza perdere di vista la consolazione.
Non a caso la voce dal cielo richiama alla necessità dell'ascolto: solo l'udito rende lo sguardo capace di vedere.
Anche noi abbiamo vissuto occasioni in cui per una forza che quasi non sapevamo di avere, ci siamo come trasfigurati tanto da far dire a chi ci conosceva: «Ma sei proprio tu?». Certo che eravamo noi, ma avevamo sprigionato energie nascoste e inesplorate. Come Pietro, anche noi daremmo chissà che cosa per non rompere quell'incanto. Ma noi non siamo fatti per gli incanti, siamo fatti, semmai, per riportare nel quotidiano quello che, per grazia, abbiamo intravisto. Per questo il Tabor è un momento in vista di ciò che Pietro e gli altri avrebbero dovuto fare con gli altri: quella bellezza intravista era a conferma che davvero valeva la pena credere a Gesù di Nazaret.
Ecco il compito che ci attende: essere segni della bellezza intravista e gustata. Ciascuno per la sua parte.


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