V Domenica di Pasqua (B)




Omelie - Il Vangelo della domenica
a cura di Antonio Savone, presbitero della diocesi di Potenza-Muro Lucano-Marsico Nuovo
Vita Pastorale (n. 5/2021)


ANNO B – 2 maggio 2021
V Domenica di Pasqua

Atti 9,26-31 • Salmo 21 • 1 Giovanni 3,18-24 • Giovanni 15,1-8
(Visualizza i brani delle Letture)

L'ALLEANZA E L'INTIMITÀ COL SIGNORE

Gesù ci aveva già parlato della sua relazione con noi come di quella tra il pastore e le pecore, un rapporto, cioè, fatto di condivisione, di ricerca, di intesa, di attenzione per i tempi di ognuno. Quella sera, tuttavia, in un momento tanto drammatico il Figlio di Dio continuava a rivelare qualcosa del mistero santo di Dio e del mistero dell'uomo.
Noi, al più, riusciamo a vivere l'intesa con qualcuno in termini di comunione: io e te, io con te, io per te. Gesù, invece, si era spinto oltre: io in te. Il suo rapporto con i suoi non era solo di condivisione ma di innesto, non solo di alleanza (io con voi) ma di inabitazione (io in voi). E questo in un frangente che avrebbe consigliato rivalsa, separazione, taglio. Ferma la decisione da parte sua di non rescindere il rapporto con i suoi.
Parlava di sé come della vite, del Padre come dell'agricoltore e dello Spirito santo come dell'unica linfa capace di garantire la vita. Il tralcio non è altra cosa dalla vite. In esso scorre la stessa capacità di agire e di amare, lo stesso Spirito del Figlio di Dio. Così ci ha pensati: capaci, per grazia, di portare frutti degni.
La vita cristiana, allora, veniva concepita non soltanto come un provare a fare il bene o vivere in un certo modo, ma come il permettere ai sentimenti del Figlio di Dio di scorrere dentro di noi. E se questo non dovesse accadere significherebbe diventare ramo secco che non ha mai conosciuto il motivo del suo essere al mondo.
Ben a ragione Gesù poteva dire di essere la vite vera perché l'unico in grado di compiere sempre ciò che ha visto fare dal Padre.
Questo rapporto che, immediatamente, ha dell'esclusivo perché quello tra il Padre e il Figlio è unico, viene partecipato per grazia a tutti coloro che come tralci si lasciano innestare nella vera vite. Senza di me non potete far nulla. Non era immodestia la sua ma consapevolezza che, rescisso il rapporto con lui, nessuno conosce la grazia della fecondità.
Restare unito alla vite è la condizione perché il ramo possa portare frutti ricevendo la linfa necessaria. Non è sufficiente una presenza qualunque: è necessario che il rapporto con il Figlio non sia sporadico ma stabile, con una residenza non mobile ma fissa. La stabilità del rapporto dice amicizia, confidenza, fiducia, condivisione.
Il tralcio può restare unito alla vite a unica condizione: «Se le mie parole rimangono in voi». È la custodia di ciò che il Figlio ha trasmesso la garanzia perché i frutti siano conformi alla linfa ricevuta.
Per ben sette volte ci viene rivolto l'invito a rimanere: è necessaria, cioè, la perseveranza che mi induce a rimanere attaccato al Signore anche quando arriva il tempo doloroso della potatura e non solo durante la festa del raccolto.
Se in natura, infatti, la vite produce spontaneamente i tralci che, se niente o nessuno li spezza danno grappoli d'uva, per quanto riguarda l'uomo è escluso ogni automatismo: è necessario che la mia libera volontà decida di rimanere ancorata alla vite. Se, infatti, è vero che la libera volontà del Signore trasmette la linfa a ogni tralcio, non è affatto scontato che esso accetti di lasciarla scorrere in sé.


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