III Domenica di Avvento (B)




Omelie - Il Vangelo della domenica
a cura di Antonio Savone, presbitero della diocesi di Potenza-Muro Lucano-Marsico Nuovo
Vita Pastorale (n. 11/2020)


ANNO B – 13 dicembre 2020
III Domenica di Avvento

Isaia 61,1-2.10-11 • Salmo Lc 1,46-50.53-54 • 1Tessalonicesi 5,16-24• Giovanni 1,6-8.19-2
(Visualizza i brani delle Letture)

IL GIUSTO SENTIRE DI SÉ

Doveva incuriosire non poco il Battista se tanti accorrevano per farsi battezzare e alcuni per scrutare una figura non immediatamente circoscrivibile in categorie comuni.
Chi sei?
Giovanni avrebbe potuto approfittare dell'aspettativa del momento: non poteva essere colui che la storia attendeva da secoli? L'accorrere delle folle poteva farlo sentire Dio, invece no. Egli conserva quello che Paolo definirà «il giusto sentire di sé».
«Non sono».
A volte basta nulla per tirare lo sgambetto e ritrovarsi in posizioni che non ci appartengono. Giovanni, però, non appartiene a tale categoria: per quanto rude nei modi ed essenziale nel cibo e nell'abbigliamento, non svende la signorilità di chi sa qual è il suo posto e per questo non si pone sopra le righe delle sue potenzialità effettive. Giovanni non svende la sua personalità così da diventare personaggio sull'onda di aspettative altrui. Non bisogna mica essere equiparabili a un modello - foss'anche Elia o un altro profeta - per essere sé stessi al mondo.
Per nulla al mondo Giovanni avrebbe rinunciato ad avere la giusta considerazione di sé, quella di essere un apripista, uno capace di gioire solo del fatto di essere stato ritenuto utile alla realizzazione di ciò che Dio pensa per la sorte di ogni uomo. Ti sembra poco? Essere l'anello di quella catena che permette a tanti di attingere all'unico che può svelare pienamente chi siamo se è vero che «solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo» (GS 22).
Chi sei?
Voce... qualcosa che necessita di essere riconosciuto e accolto nel caos di mille interferenze. Voce, qualcosa che mentre esercita ciò che è già è passata, esile quindi, a rischio di affievolirsi e di essere addirittura impercettibile. Voce, un compito a termine.

A Giovanni bastava questo: essere voce di un altro che è invece la parola. Per quanto la voce sia destinata a passare, non è forse vero che molte volte certe parole restano solo grazie alla voce che le ha pronunciate? Credereste alla parola dell'amore detta da una voce che incute timore o che tradisce rancore?
Più avanti, l'evangelista Gv non tarderà a riportare che «due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù» (Gv 1,37). C'è voce e voce: c'è quella che è solo un insieme di suoni e c'è quella che riesce a restituire toni e colori alla parola. La voce fa la differenza: molto spesso, infatti, lascia intendere più di quello che la parola indicherà. L'uomo mandato da Dio lo riconosci dalla voce, anzitutto, quella che ti aiuta a scoprire il modo in cui Dio si manifesta nella tua esistenza.
Chi sei?
È la domanda che è posta a me, a ciascuno di noi. Cosa pensi di te stesso? A partire da chi, da cosa ti definisci e ti identifichi? Un ruolo? Un titolo? Un grado? Non ti accada di sentirti chissà chi mentre sai quello che sei in realtà. A noi tentati di aggiungere al nostro nome un titolo che esalti la nostra identità tanto da identificarci con il ruolo, Giovanni, l'antinarciso, insegna l'arte della sottrazione: «io non sono».


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