Omelie - Il Vangelo della domenica
a cura di Antonio Savone, presbitero della diocesi di Potenza-Muro Lucano-Marsico Nuovo
Vita Pastorale (n. 11/2020)
ANNO B – 6 dicembre 2020
II Domenica di Avvento
Isaia 40,1-5.9-11 • Salmo 84 • 2Pietro 3,8-1 • Marco, 1-1-8
(Visualizza i brani delle Letture)
II Domenica di Avvento
Isaia 40,1-5.9-11 • Salmo 84 • 2Pietro 3,8-1 • Marco, 1-1-8
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CONFESSARE IL PROPRIO MALE
Una certa assuefazione a esperienze di disagio ci ha portato a credere che questo sia l'unico modo possibile di stare al mondo. Stando, però, a quanto ascoltato dall'apostolo Pietro, siamo chiamati ad affrettare il giorno in cui sorgeranno nuovi cieli e una terra nuova. Che cosa impedisce di realizzare il progetto di Dio sul mondo e sulla storia? Ho provato a chiederlo a quanti accorrevano da Gerusalemme al Giordano.
Cosa mai li avrà messi in movimento tanto da lasciare il luogo delle certezze ostentate (Gerusalemme) per incamminarsi verso quello della provocazione (il deserto)? Chi aveva compiuto quel viaggio per un serio desiderio di cambiamento, alla predicazione del Battista non ha avuto problema a riconoscere il proprio contributo di male nell'impedire la realizzazione del sogno di Dio.
Ciascuno riconosceva la sua personale dimensione di contraddizione (confessando i propri peccati) senza il bisogno di passare di negazione in negazione e senza nascondersi dietro un ruolo. Chiamare per nome il proprio limite è la via più umana per non ricadervi, ma è anche il modo per imparare a fare spazio a Dio.
A quanti avevano il coraggio e l'umiltà di riconoscere di aver mancato il bersaglio nella loro esistenza (peccare significa, infatti, mancare il bersaglio), il Battista chiedeva di non sedersi sul proprio presente e di convertirsi a un Dio che sempre riparte proprio mentre tentiamo di raggiungerlo. E noi sospinti sempre più oltre.
Non c'è Giordano che tenga: non basta sottoporsi a un rito religioso suppletivo per tacitare la coscienza attribuendo a fattori esterni la facoltà di dare un nuovo corso alle cose. È possibile stare a contatto con la propria esperienza del limite solo se si accetta una vita più sobria e se si è disposti a frequentare più spesso i luoghi dell'essenziale.
Qualcosa può cambiare se iniziamo a dare credito ai nostri personali percorsi dell'interiorità e se accettiamo di passare dalla presunzione di un'appartenenza alla responsabilità di una relazione.
Il Battista chiede a chiunque frutti degni di conversione attraverso parole che scompigliano al fine di ricomporre, disturbano al fine di concentrare. Per Giovanni la conversione non è tanto cambiare mestiere, ma "come" fare quello che già stai facendo.
Il processo che favorisce il nuovo conosce il suo grembo nei luoghi marginali, alla periferia, là dove la parola di Dio può ancora trovare un uomo non distratto che si lascia mettere in moto dalla parola ascoltata.
Non è da chissà quali strategie politiche che riparte la vita di un popolo; non è da chissà quali riforme dall'alto che conosciamo il rinnovamento della vita ecclesiale. I segni della novità di vita cominciano da un uomo - Giovanni, figlio di Zaccaria - che si lascia trasformare lui, personalmente, dalla parola di Dio.
Anche se la sua situazione storica ha un carattere deprimente e la politica ecclesiastica tocca il fondo dello squallore, Giovanni non si lascia distogliere dall'abitare il deserto come luogo di verità e di essenzialità.
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