"Aperuit Illis": la diaconia della Parola




Il diaconato in Italia n° 220
(gennaio/febbraio 2020)

ANALISI


"Aperuit Illis": la diaconia della Parola
di Enzo Petrolino

La Domenica della Parola di Dio
Nella festività di san Girolamo con la Lettera apostolica in forma di Motu proprio "Aperuit Illis" papa Francesco ha istituito la Domenica della Parola di Dio, da celebrare la III Domenica del Tempo Ordinario. Il titolo prende le mosse da un versetto del Vangelo di Luca: «Aprì loro la mente per comprendere le Scritture», mentre la decisione di far nascere un appuntamento apposito risponde alle tante richieste in tal senso maturate dopo il Giubileo straordinario della misericordia.
Nel documento Misericordia et misera il Papa aveva invitato a pensare a una «domenica dedicata interamente alla Parola di Dio, per comprendere l'inesauribile ricchezza che proviene da quel dialogo costante di Dio con il suo popolo» (Misericordia et Misera, 7).
Lo scrittore partenopeo Erri De Luca - nel suo libro Una nuvola come tappeto - impegnato da anni in un coraggioso lavoro di scavo nel testo biblico afferma: «studio l'ebraico, leggo la Bibbia. Alcune pagine, alcune parole mi hanno rivelato qualcosa della loro verità e mi hanno istigato a darne notizia. Non ho adattato il testo a una interpretazione, ne sono stato invece piegato. La Bibbia è almeno una letteratura e il Dio di Israele è se non altro il più grande personaggio dei tempi». Difficile dire meglio di De Luca che cerca di restituire il più fedelmente possibile il linguaggio originale, quasi un calco dall'ebraico. Del resto, per capirci, e per comprendere qualcosa della cultura nella quale siamo stati formati non possiamo che guardare alla Bibbia.
Eppure è un rapporto decisamente singolare, quello fra i "cattolici italiani" e la Bibbia, stando a quanto emergeva, qualche anno fa, in un'indagine presentata in un libro omonimo (Gli italiani e la Bibbia, Edb 2014) dal sociologo Ilvo Diamanti. Il Libro non è più assente, almeno fisicamente, se otto connazionali su dieci sostengono di possederne in famiglia almeno una copia: anche se averla in casa non significa automaticamente leggerla, né tantomeno conoscerla. Con qualche sorpresa, peraltro, rispetto alle tradizionali ricerche che ci hanno regolarmente consegnato l'idea di un analfabetismo biblico più o meno di ritorno, se due italiani su tre dichiarano di averla letta, almeno parzialmente; o almeno consultata, o sentita recitare o citare. Pertanto, è importante cogliere il valore storico dell'iniziativa del Papa per la maturazione del popolo cristiano, cioè «un'opportunità pastorale» per rinvigorire l'annuncio in questo frangente storico carico di sfide. Il Papa ha scelto di celebrare questa domenica nella terza domenica del tempo ordinario, quando tutte le letture che vengono proclamate nel Vangelo presentano la figura di Gesù come l'annunciatore del Regno di Dio. Non dimentichiamo che ciò avviene anche in un momento temporale in cui si celebra, alcuni giorni prima, la Giornata del dialogo con gli ebrei e, si subito dopo, la Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani.

Il percorso dei discepoli di ogni tempo
Deve essere chiaro che questa ricorrenza non è alla stessa stregua delle Giornate mondiali come normalmente si è abituati a pensare, bensì è una domenica che, anche se celebrata una volta, vale per tutto l'anno. Il Papa lo dice esplicitamente: il giorno dedicato alla Bibbia vuole essere non una volta l'anno ma è una volta per tutto l'anno, in modo da diventare più familiari con il testo sacro.
Nell'introdurre in tutta la Chiesa la Domenica della Parola di Dio, papa Francesco si inserisce nel mistero proprio del Giorno del Signore, riallacciandosi al racconto della Risurrezione secondo Luca. Il Risorto «aprì la mente dei discepoli alla comprensione delle Scritture» - l'episodio è quello dei discepoli di Emmaus - svelando un circolo virtuoso nel quale progrediscono i discepoli di tutti i tempi: le Scritture svelano il Mistero di Cristo, Cristo svela il senso delle Scritture.
«La relazione tra il Risorto, la comunità dei credenti e la Sacra Scrittura è estremamente vitale per la nostra identità. Senza il Signore che ci introduce è impossibile comprendere in profondità la Sacra Scrittura, ma è altrettanto vero il contrario: senza la Sacra Scrittura restano indecifrabili gli eventi della missione di Gesù e della sua Chiesa nel mondo. Giustamente San Girolamo poteva scrivere: «L'ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo» (In Is., Prologo: PL 24,17)» (Aperuit Illis, 1).

Tutte le Scritture parlano di Lui
Sul rapporto tra Cristo e Scritture il Papa ritorna anche in seguito per qualche riferimento più approfondito. «Prima di raggiungere i discepoli, chiusi in casa, e aprirli all'intelligenza della Sacra Scrittura (cf. Lc 24,44-45), il Risorto appare a due di loro lungo la via che porta da Gerusalemme a Emmaus (cf. Lc 24,13-35). Il racconto dell'evangelista Luca nota che è il giorno stesso della Risurrezione, cioè la domenica. Quei due discepoli discutono sugli ultimi avvenimenti della passione e morte di Gesù. Il loro cammino è segnato dalla tristezza e dalla delusione per la tragica fine di Gesù. Avevano sperato in Lui come Messia liberatore, e si trovano di fronte allo scandalo del Crocifisso. Con discrezione, il Risorto stesso si avvicina e cammina con i discepoli, ma quelli non lo riconoscono (cf. v. 16). Lungo la strada, il Signore li interroga, rendendosi conto che non hanno compreso il senso della sua passione e morte; li chiama "stolti e lenti di cuore" (v. 25) e "cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui" (v. 27)».
«Cristo è il primo esegeta! Non solo le Scritture antiche hanno anticipato quanto Egli avrebbe realizzato, ma Lui stesso ha voluto essere fedele a quella Parola per rendere evidente l'unica storia della salvezza che trova in Cristo il suo compimento».
«La Bibbia, pertanto, in quanto Sacra Scrittura, parla di Cristo e lo ,annuncia come colui che deve attraversare le sofferenze per entrare nella gloria (cf. v. 26). Non una sola parte, ma tutte le Scritture parlano ti lui. La sua morte e risurrezione sono indecifrabili senza di esse. Per questo una delle confessioni di fede più antiche sottolinea che Cristo "morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa" (1Cor 15,3-5). Poiché le Scritture parlano di Cristo, permettono di credere che la sua morte e risurrezione non appartengono alla mitologia, ma alla storia e si trovano al centro della fede dei suoi discepoli».

La fede proviene dall'ascolto
«È profondo il vincolo tra la Sacra Scrittura e la fede dei credenti. Poiché la fede proviene dall'ascolto e l'ascolto è incentrato sulla parola di Cristo (cf. Rm 10,17), l'invito che ne scaturisce è l'urgenza e l'importanza che i credenti devono riservare all'ascolto della Parola del Signore sia nell'azione liturgica, sia nella preghiera e riflessione personali» (Aperuit Illis, 6-7).
La Domenica della Parola di Dio non è pertanto una celebrazione che distoglie dal Giorno del Signore, festa primordiale dell'anno liturgico (SC, 106), ma una sottolineatura dello stesso mistero pasquale. Il Verbo, che annuncia al mondo il cuore e la disposizione del Padre celeste, che nella sua incarnazione, morte e risurrezione ha ricongiunto la terra al cielo, è annunciato e proposto ai fedeli attraverso le sante Scritture, che profetizzano e svelano questo mistero di Salvezza. Questa iniziativa di una Domenica della Parola di Dio non è estemporanea, ma è il frutto di una pianta che ha radici profonde, e che papa Francesco richiama in questo documento. Si comincia dalla Dei Verbum, ovvero dalla considerazione che il Concilio Ecumenico Vaticano Il offre alla Parola di Dio nella vita della Chiesa. In quella costituzione dogmatica si legge che la Chiesa ha sempre avuto in uguale considerazione l'Eucaristia e la Parola di Dio, come due mense a cui sono invitati e da cui attingono i figli di Dio (cf. DV 21, citato in Aperuit Illis, 8).

Le due mense
Questa costituzione ha così offerto il riferimento ad un parallelismo tra l'Eucaristia e la Parola di Dio, che era sembrato fino a quel momento trascurato. Non sono mancati lodevoli insistenze su questo equilibrio, a partire dalla Costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium che ha invitato a vedere le due parti della Messa, che ruotano attorno alla Parola di Dio e all'Eucaristia, come due parti di un unico atto di culto (SC 56).

C'è una sola importante citazione magistrale
L'importanza della Parola di Dio, che tutti i fedeli sono chiamati a riprendere in mano per entrare in dialogo con Dio, riaffermata con forza dalla Dei Verbum, ha vissuto un importante punto di rilancio nel magistero di papa Benedetto XVI, che dopo il Sinodo dei vescovi sulla Parola di Dio, nel 2008 ha offerto una esortazione apostolica post sinodale, la Verbum Domini, che si riaggancia alla costituzione conciliare per raccoglierne i frutti e per offrire un rilancio della Parola di Dio nella vita della Chiesa. Papa Benedetto, tra gli altri meriti del documento, ha indicato una rinnovata attenzione e fiducia alla Parola di Dio annunciata nella celebrazione liturgica, per quella riconosciuta efficacia con cui la si può chiamare quasi un Sacramento. Papa Francesco lo cita esplicitamente, ed è l'unica citazione magisteri aie esplicita che colloca nel suo motu proprio.
«La sacramentalità della Parola si lascia così comprendere in analogia alla presenza reale di Cristo sotto le specie del pane e del vino consacrati. Accostandoci all'altare e prendendo parte al banchetto eucaristico noi comunichiamo realmente al corpo e al sangue di Cristo. La proclamazione della Parola di Dio nella celebrazione comporta il riconoscere che sia Cristo stesso ad essere presente e a rivolgersi a noi per essere accolto» (Verbum Domini, 56). Nel motu proprio "Aperuit Illis", il Papa offre alcuni spunti per la vita liturgica delle diocesi e delle parrocchie, da valorizzare in questa domenica: privilegiare il lettorato, la consegne della sacra Scrittura, rilanciare percorsi di lectio divina nella comunità cristiana (Aperuit Illis, 3).

Dimensione popolare della Parola di Dio
Tra gli scopi di questa Domenica, Papa Francesco incoraggia a vincere una certa diffidenza verso il testo sacro, come se la Bibbia fosse competenza solo di esperti e di professionisti del settore. Papa Francesco desidera che tutti si riapproprino della sacra Scrittura, come parola personale e comunitaria che Dio vuole offrire al suo popolo. Questa dimensione popolare della Bibbia è in continuità con altri sguardi all'evangelizzazione e alla liturgia che ha offerto finora nel suo magistero.
«La Bibbia è il libro del popolo del Signore che nel suo ascolto passa dalla dispersione e dalla divisione all'unità. La Parola di Dio unisce i credenti e li rende un solo popolo» (Aperuit Illis, 4). Il servizio a questo dialogo tra Dio e l'umanità è richiamato nelle esigenze della preparazione dell'omelia, sulla quale Papa Francesco si è dilungato ne Il'Evangelii Gaudium.
L'aspetto popolare della vita cristiana non è un tratto sociologico o una rivendicazione di classe. È invece il dato teologico identitario dei credenti, che da non-popolo, non-amati, non-scelti, si sono sentiti in Cristo Gesù amati, scelti, radunati, convocati, attesi, uniti: il popolo di Dio (cf. Is 62,1-2; 1Pt 2,9-10). L'azione con cui Cristo oggi permette di realizzare e confermare questa condizione popolare del credente, avviene attraverso la Scrittura e i Sacramenti.
«La frequentazione costante della Sacra Scrittura e la celebrazione dell'Eucaristia rendono possibile il riconoscimento fra persone che si appartengono. Come cristiani siamo un solo popolo che cammina nella storia, forte della presenza del Signore in mezzo a noi che ci parla e ci nutre. Il giorno dedicato alla Bibbia vuole essere non "una volta all'anno", ma una volta per tutto l'anno, perché abbiamo urgente necessità di diventare familiari e intimi della Sacra Scrittura e del Risorto, che non cessa di spezzare la Parola e il Pane nella comunità dei credenti. Per questo abbiamo bisogno di entrare in confidenza costante con la Sacra Scrittura, altrimenti il cuore resta freddo e gli occhi rimangono chiusi, colpiti come siamo da innumerevoli forme di cecità» (Aperuit Illis, 8).

Dimensione antropologica
L'uomo è fatto per stare alla presenza di Dio, dinnanzi al suo volto, per un dialogo che promosso e iniziato da Dio, attende di riuscire anche nel cuore dell'uomo. La Parola di Dio non è pertanto estranea alla vita dell'uomo, ma egli la riconosce come l'impulso originario da cui è stato creato, con la nostalgia che da Adamo in poi spera di ritornare a quel dialogo intimo con il suo creatore. Dunque Dio Parla ancora e la sua parola non è un suono impersonale, ma è il suo desiderio di essere ascoltato e corrisposto. Per questo c'è una portata antropologica nella Parola che Dio rivolge agli uomini, perché questa non passa mai senza lasciare traccia. Il Papa richiama questa efficacia come la capacità di lasciarsi smuovere da questa Parola, che conosce l'intimo del cuore umano e che lo illumina, portando alla luce anche le sue "ombre".

La Parola scende nell'intimo dei nostri cuori
«La dolcezza della Parola di Dio ci spinge a parteciparla a quanti incontriamo nella nostra vita per esprimere la certezza della speranza che essa contiene (cf. 1Pt 3,15-16). L'amarezza, a sua volta, è spesso offerta dal verificare quanto difficile diventi per noi doverla vivere con coerenza, o toccare con mano che essa viene rifiutata perché non ritenuta valida per dare senso alla vita. È necessario, pertanto, non assuefarsi mai alla Parola di Dio, ma nutrirsi di essa per scoprire e vivere in profondità la nostra relazione con Dio e i fratelli» (Aperuit Illis, 12). Escluso ogni utilizzo superstizioso e magico, la sacra Scrittura supporta un dialogo autentico tra Dio e l'uomo e tra l'uomo e i suoi fratelli, e nella autenticità di questo dialogo non manca di lasciare il segno, di provocare una reazione, prima ancora che una risposta di vita.

La risposta avrà il timbro della carità
La risposta al Dio che parla, va da sé, avrà poi il timbro della carità. «Ascoltare le Sacre Scritture per praticare la misericordia: questa è una grande sfida posta dinanzi alla nostra vita. La Parola di Dio è in grado di aprire, i nostri occhi per permetterei di uscire dall'individualismo che conduce all'asfissia e alla sterilità mentre spalanca la strada della condivisione e della solidarietà» (Aperuit Illis, 13). «È necessario, pertanto, non assuefarsi mai alla Parola di Dio, ma nutrirsi di essa per scoprire e vivere in profondità la nostra relazione con Dio e i fratelli» (Aperuit Illis, 12).
Pertanto, per il Papa la Parola di Dio è una parola di carità: "Un'ulteriore provocazione che proviene dalla Sacra Scrittura è quella che riguarda la carità. Costantemente la Parola di Dio richiama all'amore misericordioso del Padre che chiede ai figli di vivere nella carità. La vita di Gesù è l'espressione piena e perfetta di questo amore divino che non trattiene nulla per sé, ma a tutti offre sé stesso senza riserve...

Il diacono ministro della Parola
Se dalla diaconia eucaristica deriva, per naturale dilatazione sacramentale, il servizio alle mense reso ai fratelli prima e a tutti i poveri dopo; allo stesso modo, anche, anche dalla diaconia verbi viene un ministero della parola vero e proprio che ha nell'opera di evangelizzazione degli ultimi e dei marginali la sua sorgente biblica e la sua precisa identità ecclesiale. «IN questa domenica, in modo particolare, sarà utile evidenziare la sua proclamazione e adattare l'omelia per mettere in risalto il servizio [la diaconia] che si rende alla Parola del Signore» (Aperuit Illis, 3).

Insegnare, santificare, guidare
Il diacono infatti «è maestro, in quanto proclama e illustra la parola di Dio; è santifìcatore, in quanto amministra il sacramento del battesimo, dell'eucaristia e i sacramentali; è guida, in quanto è animatore di comunità o di settori della vita ecclesiale». Insegnare, santificare e guidare costituiscono quel servizio diaconale che ha ambiti comuni a tutto l'ordine sacerdotale e, in certi casi, propriamente diaconali, sicché i nostri vescovi hanno sempre ritenuto parte integrante della diaconia ordinata che al diacono venga riconosciuta l'attitudine concreta ad essere animatore del servizio della Parola, e non solo della liturgia e della carità, nella comunità cristiana in cui è inserito. Parlando della diaconia della Parola, la formula per l'ordinazione del diacono per la consegna del libro del Vangelo cerca di rendere evidente il legame che corre tra il posto che occuperà il neo diacono nella chiesa ed il modo di esercitare il suo ministero: «Ricevi il Vangelo di Cristo del quale sei divenuto annunziatore, annuncia sempre ciò che proclami, insegna ciò che hai appreso nella fede, vivi ciò che insegni».

Il senso profondo della parola proclamata
Annunciare il Vangelo, vivere ciò che esso insegna: è in questi termini dinamici che la chiesa affida la diaconia della Parola al nuovo ordinato. Solo una pratica prolungata e varia rivelerà il significato profondo di una parola proclamata da una persona consacrata sacramentalmente ma che non è, ciò nonostante, tolta alla sua famiglia né al suo ambiente culturale né al suo lavoro profano.
La condizione di ordinato - per trovare il modello dovremmo risalire al IV secolo - rappresenta una realtà nuova per la Chiesa di oggi. La restaurazione del diaconato permanente può aiutare a ricostruire il tessuto all'interno della chiesa affinché sia vissuta in tutta la sua ampiezza l'ottica del Vaticano II in base alla quale il Popolo di Dio è la realtà ecclesiale fondamentale.

Come assicurare l'efficacia della Parola?
Il diacono, «preso in una comunità di uomini e ordinato per il servizio di quella comunità», si pone come il ministro ordinato più vicino ai fedeli, umanamente parlando. È possibile che questa vicinanza possa essere ulteriormente accentuata, se esso è sposato e/o impegnato nel mondo del lavoro. È per questo che «nella sua predicazione, si dovrebbe sentire come l'effetto di una comunità di vita lungamente vissuta con gli uomini, sul piano dell'esperienza e delle condizioni comuni». È proprio qui che viene rivelata tutta l'importanza del fatto che il diacono è «una parola in atto» non solo sul piano morale, ma sul piano sacramentale: quanto più la vita del diacono è espressione fedele della parola che annuncia, tanto più lui stesso diventa segno dell'efficacia di questa Parola, che è sempre viva nel cuore degli uomini. Pertanto non è la semplice presenza del diacono nella vita quotidiana degli uomini che assicura l'efficacia della Parola, ma piuttosto il contrario. È proprio quando il diacono si corrobora nella e della Parola che la sua presenza diventa segno efficace, segno capace di evocare uno «più grande di lui».
È precisamente l'inserimento del diacono nel ministero apostolico che rende possibile questo significato. Esercitando un ministero che è proprio dell'episcopato, cioè la predicazione evangelica, il diacono rende presente una realtà ecclesiale di primaria importanza: il Vescovo stesso, nella Parola che predica in forza del suo ruolo, è al servizio del Corpo di Cristo. Proprio perché la sua predicazione della Parola deve fare risalire al carattere diaconale della predicazione episcopale, il diacono eviterà tutto ciò che potrebbe allontanarlo dal popolo, al servizio del quale è ordinato.

Per una Parola credibile
Oggi il diacono fa un'opera di riavvicinamento: rende non soltanto più credibile la Parola che egli stesso annuncia, ma riavvicina al popolo di Dio i primi e principali responsabili della Parola che sono i Vescovi, chiarendo così che la predicazione episcopale è al servizio del Vangelo per gli uomini.
Le concrete modalità di esercizio di questo ministero della Parola del diacono passano attraverso la via maestra della lectio divina per ribadire il primato della Parola, presentato come luogo ordinario e occasione reale di ministerialità diaconale. È significativo che in molti documenti, a più riprese, venga sottolineato che alla proclamazione del Vangelo debba corrispondere nei diaconi non solo un sincero e fedele amore alla Parola ma anche una effettiva attività di evangelizzazione. Questa si può esplicare nelle diverse forme di catechesi (dalla preparazione ai sacramenti, alla cosiddetta catechesi degli adulti, agli incontri con le coppie in difficoltà, ai colloqui con i non credenti o i non cristiani), ma non si può ridurre alla sola proclamazione liturgica del Vangelo.
Il primato della Scrittura, quando è reale, tende a lievitare, dà ascolto docile e assiduo a partecipazione personale nel tempo liturgico della preghiera, per trovare finalmente nella diaconia della Parola il suo normale punto di approdo. Un posto particolare in questa pedagogia di ascolto-annuncio della parola, viene assegnato in molti interventi, alla preparazione comunitaria della liturgia domenicale e allo studio-preghiera delle letture festive.
Si mette così in evidenza che, oltre a essere un luogo naturale di diaconia verbi, questa antica forma di santificazione del giorno del Signore, potrebbe anche essere l'occasione per discernere in concreto la stessa attitudine del candidato a svolgere un effettivo ministero della Parola.

La liturgia vigilare
Questa forma di diaconia della parola può prendere l'aspetto di una vera liturgia vigilare, organizzandola in chiesa il sabato sera coinvolgendo tutta la comunità, o può svolgersi in modo più semplice nelle case, specie quando si vuoi favorire la partecipazione delle singole persone, lontane o marginali, e degli stessi familiari e amici.
Dunque, «la domenica dedicata alla Parola possa far crescere nel popolo di Dio la religiosa e assidua familiarità con le Sacre Scritture, così come l'autore sacro insegnava già nei tempi antichi: "Questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica" [Dt 30,14]» (Aperuit Illis, 15).



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