XXII Domenica del Tempo ordinario (A)

Omelie - Il Vangelo della domenica
a cura di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio"
Comunità di preti della diocesi di Modena-Nonantola
Vita Pastorale (n. 8-9/2020)



ANNO A – 30 agosto 2020
XXII Domenica del Tempo ordinario

Geremia 20,7-9 • Salmo 62 • Romani 12,1-2 • Matteo 16,21-27
(Visualizza i brani delle Letture)

UN RISCHIO DA ACCETTARE

Gesù ha suscitato molto scandalo, soprattutto tra i benpensanti e i detentori del potere religioso: sovverte le tradizioni, proclama la fine del tempio, profana il sabato... È il motivo per cui han fatto di tutto per eliminarlo. Ma lo scandalo più grande è quello prodotto nei suoi stessi discepoli dalla sua morte in croce. Non servirà il triplice annuncio a spianare la strada alla comprensione di questo mistero. La reazione di rifiuto di Pietro è solo la prima di una lunga serie.
La croce è intollerabile non solo per la sofferenza che procura e per la solitudine in cui lascia i discepoli. È soprattutto uno scandalo perché mette in questione Dio stesso, la sua bontà e la sua sapienza. Per questo Paolo definisce la croce scandalo per i giudei, stoltezza per i pagani. Scandalo significa che è inaccettabile: un Dio crocifisso è il contrario della fede in un Dio che salva. Stoltezza significa che è priva di senso e inutile per l'umano compito di rendere bella la vita.
Gesù lo sa e lo dice ai discepoli. Per di più, dichiara che non è un evento accidentale, ma necessario: il Cristo deve soffrire molto, anzi dev'essere crocifisso, cioè respinto come nemico di Dio. L'attesa dei discepoli è spazzata via. Questo Cristo non risponde alle loro attese, le sovverte tutte: questo non ti accadrà mai! Pietro è scandalizzato da Gesù e così diventa a sua volta scandalo per Gesù. Si oppone apertamente al Maestro e lui, per tutta risposta, gli volta le spalle. Pietro lo rimprovera e lui lo chiama Satana. C'è un botta e risposta fortissimo, acceso, vibrante... Ma almeno Pietro reagisce, ingaggia una lotta con Gesù, manifesta il suo sentire.
E a noi che reazione suscita l'annuncio che il Cristo deve soffrire molto, venire ucciso e risorgere il terzo giorno? Diciamolo francamente: nessuna reazione degna di nota. La reazione emotiva davanti all'immagine di un crocifisso per noi è di tipo estetico: ci appare bello oppure brutto...
Nei giorni scorsi, però, mi sono imbattuto nelle foto delle donne armene crocifisse dai turchi nel genocidio del secolo scorso: le croci erano tutte allineate, le giovani donne nude, coperte solo dai loro lunghi capelli. Davanti a quelle donne crocifisse, sì, ho avuto una reazione allo stomaco. Mi faceva orrore la brutalità della strage, e la compiacenza dei carnefici. E il silenzio opportunista del mondo intero. Ho pensato: né l'immagine del crocifisso, né l'annuncio della crocifissione mi toccano allo stesso modo. Non mettono in discussione la mia fede. Non mi provocano scandalo né turbamento. Queste donne sì.

Gesù voleva suscitare nei discepoli e in noi una reazione simile. La croce capovolge e trasforma i nostri pensieri. Credere significa cambiare il nostro modo di pensare e di sentire. La fede, la verità e il bene ci vengono indicati con un'apparenza contraria, e creano un urto emotivo. È proprio questo urto che ci trasforma rendendoci simili a Gesù. Per questo, parlando a Pietro, Gesù usa il verbo phronèin, lo stesso che usa Paolo per parlare della croce di Gesù: abbiate in voi gli stessi sentimenti come Cristo Gesù (Fil 2,5). La fede è il rischio che noi accettiamo di correre per Dio. Una scommessa in cui la posta è la più alta possibile: la vita stessa. E nella quale si vince o si perde tutto: chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà.


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