a cura di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio"
Comunità di preti della diocesi di Modena-Nonantola
Vita Pastorale (n. 1/2020)
ANNO A - 5 gennaio 2020
II Domenica dopo Natale
Siracide 24,1-4.12-16 (NV) • Salmo 147 • Efesini 1,3-6.15-18 • Giovanni 1,1-18
(Visualizza i brani delle Letture)
II Domenica dopo Natale
Siracide 24,1-4.12-16 (NV) • Salmo 147 • Efesini 1,3-6.15-18 • Giovanni 1,1-18
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DIVENTARE FIGLI
La prima parola della Bibbia è "in principio". Proprio come nel vangelo di Giovanni. Con una variazione importante: l'evangelista si permette di ampliare la Scrittura di Israele affermando che l'inizio vero non fu nel momento in cui Dio creò il cielo e la terra, ma prima ancora. Prima che Dio creasse il mondo con la sua parola, esisteva un progetto che doveva guidare l'azione creatrice; c'era la parola di Dio, viva, operante, per mezzo della quale Dio ha creato l'universo.
Questa parola che era suo Figlio è il modello dal quale Dio ha plasmato l'uomo: l'immagine del Figlio all'interno della Trinità ha definito l'immagine dell'uomo nella creazione. Questa parola di Dio eterna, celeste, immortale, «molte volte e in diversi modi» (Eb 1,1) ha cercato di entrare in dialogo con l'umanità: prima di tutto attraverso le opere del creato; poi, da Abramo fino a Mosè e ai profeti, la parola di Dio è diventata parola umana, detta, ridetta e predicata da tutti gli amici di Dio che proponevano un dialogo, che volevano instaurare la comunione di vita tra Dio e gli uomini.
È vero, però, che tutti questi dialoghi sono stati alquanto fallimentari. Tuttavia, «venuta la pienezza del tempo», Dio «ha parlato a noi per mezzo del Figlio», cioè ha voluto farsi carne, diventare uomo in Gesù di Nazaret. Venendo in terra Gesù si è messo alla pari di qualsiasi altro uomo. Nei Vangeli non viene mai messa in risalto nessuna posizione privilegiata: mangia e beve come tutti anzi, a volte anche nei giorni di digiuno; gioisce e si indigna, si stanca, si riposa... è un uomo! Uno come tutti, non indossa nessun distintivo religioso, non abita in luoghi religiosi, semplicemente «passò beneficando e risanando molti». Proprio per questa sua normalità spesso è difficile riconoscerlo e accettarlo.
Eppure, qualcuno è riuscito! Il cuore del prologo di Giovanni riguarda questo tema dell'accoglierlo. Si dice che gli uomini non lo hanno accolto, però in realtà c'è stata una risposta positiva al progetto di Dio, una parte di popolo si è liberata dal potere delle tenebre, specialmente le donne, gli emarginati, qualche samaritano e alcuni pagani. Tutti questi sono i primi a comprendere e accogliere Gesù. È il paradosso del Vangelo: il più inadeguato è in realtà il più abile nel riconoscere la presenza di Dio, un Dio che non è da cercare ma da accogliere. Non un Dio lontano, ma un Dio che lascia la sua divinità per entrare nella provvisorietà della realtà umana. Accoglierlo è il vero movimento della fede.
Accogliere significa fare spazio all'altro nella mia vita, non semplicemente cedergli dello spazio, ma farlo entrare nella mia realtà. Fare spazio a Dio significa accogliere tutto ciò che è portatore di Dio. Giovanni afferma che nessuno mai ha visto Dio, solo il Figlio unigenito lo ha raccontato, e lo ha fatto attraverso la sua umanità, rendendo l'uomo l'immagine più vera di Dio. È dunque l'uomo che porta la parola di Dio, che permette alla salvezza di entrare nel mondo. Accogliendoci possiamo realizzare l'incontro tra la verità di Dio e la fragilità di ciascuno, compiamo l'incontro fra la parola eterna e i nostri gesti quotidiani sperimentando così quella salvezza che il Vangelo ci annuncia.
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