Tutti i Santi

Omelie - Il Vangelo della domenica
a cura di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio"
Comunità di preti della diocesi di Modena-Nonantola
Vita Pastorale (n. 10/2019)



ANNO C – 1 novembre 2019
Tutti i Santi

Apocalisse 7,2-4.9-14 • Salmo 23 • 1 Giovanni 3,1-3 • Matteo 5,1-12a
(Visualizza i brani delle Letture)

LA FINESTRA SUL MONDO E SUL CIELO

Una montagna è il luogo del primo discorso di Gesù; uno dei cinque che, come colonne di un edificio, sostengono il vangelo di Matteo e ne contrassegnano l'itinerario. Il primo discorso si tiene già a una folla che circonda Gesù, forse costituitasi al modo in cui sono stati chiamati i primi discepoli, cioè inaspettatamente. O, forse, si tratta solo di un espediente letterario, per cui questo discorso è stato preceduto da altri che hanno già attratto molte persone, ma viene inserito come primo per far capire anche a quei lettori che non hanno incontrato Gesù di persona il tenore della sua predicazione. Resta il fatto che la prima parola che esce dalla bocca di Gesù è "beati": dunque fortunati, destinatari della ricompensa di Dio. Una parola plurale, che abbraccio non degli individui, ma un numero ampio di persone.
Su quel monte, l'esordio è fulminante: non perché noi non sappiamo cosa voglia dire piangere, essere poveri, subire angherie e ingiustizie… È l'orizzonte di fondo a essere tutto opposto a quello che sogniamo per la nostra esistenza. Come si può essere beati in quella condizione? Che speranza ci può essere per chi frequenta stabilmente il lato disadorno della vita? Ma è proprio da qui che scaturisce la forza del discorso della montagna, questo suo essere così celeste e così terreno, con promesse tanto grandi e condizioni di vita così modeste.
I fortunati che quel giorno ascoltarono le parole di Gesù non hanno su di sé la patina del tempo e dell'abitudine. È lo sforzo che la parola di Dio richiede ogni volta che la si legge: ascoltarla come se fosse la prima volta. E continuare a credervi, senza derubricarla a una delle tante utopie della storia. Gesù apre la finestra sia sul mondo che sul cielo: la sua stessa incarnazione racconta di come uomini e Dio siano straordinariamente congiunti in una persona concreta. L'unica, tra l'altro, che queste beatitudini non solo le ha annunciate, ma le ha vissute tutte.
Non che noi uomini possiamo attenderci di essere esentati da alcuna di queste condizioni: di solito le avversità colpiscono tutti. Quel che a noi succede, piuttosto, è che non abbiamo fede nel compimento delle promesse. Non siamo convinti dell'esistenza di un regno che si eredita, perché ne siamo legittimati dalla nostra condizione di figli.

Immaginiamo la misericordia come un segno di debolezza, un atto che gli altri ci devono. Crediamo nella forza della vendetta più che nella mitezza. Siamo convinti che per certi eventi non ci sia consolazione possibile. E che la ricerca della pace e della giustizia sia mera illusione. E poi pensiamo che questi traguardi vadano tagliati solo al singolare, trascurando una dimensione comunitaria. Gesù ha sempre pensato a una comunità: non solo i dodici, non solo le folle, ma un modo di pensare secondo una mentalità comunitaria, capace di abbracciare anche chi ha già raggiunto il traguardo. Ed è all'interno di una comunità che si può credere nella verità delle beatitudini e nella resistenza alle difficoltà della vita. La vita di Gesù è stata sistematicamente "plurale": per la costanza del rapporto con il Padre, per i discepoli sempre con lui, per le folle verso cui non si risparmiava.


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