XXXII Domenica del Tempo ordinario (C)

Omelie - Il Vangelo della domenica
a cura di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio"
Comunità di preti della diocesi di Modena-Nonantola
Vita Pastorale (n. 10/2019)



ANNO C – 10 novembre 2019
XXXII Domenica del Tempo ordinario

2 Maccabei 7,1-2.9-14 • Salmo 16 • 2 Tessalonicesi 2,6-3,5 • Luca 20,27-38
(Visualizza i brani delle Letture)

PRENDERE O ACCOGLIERE?

«La donna, dunque, alla risurrezione di chi sarà moglie?»: a una prima lettura, la questione posta da Gesù appare assurda. Se, però, riflettiamo con attenzione, dobbiamo riconoscere che la questione paradossale posta dai sadducei contiene in sé una domanda estremamente seria, che potremmo tradurre in questo modo: «Maestro, che senso ha vivere se non è possibile sconfiggere la morte?». Interrogativo che abita anche il nostro cuore, e che spesso ci toglie il sonno e non ci lascia tranquilli.
I sadducei sanno bene che il grande nemico di noi uomini è la morte: la regina delle nostre paure che si annida nel profondo del nostro inconscio e delle nostre fibre. I sadducei, che come ci ricorda il Vangelo non credono alla risurrezione, vedevano un unico, parziale rimedio: per loro la morte non poteva essere sconfitta, però avere una discendenza permetteva almeno di lasciare un segno dopo di sé. In questo modo pensavano, se non proprio di sconfiggere, almeno di contrastare il nemico tremendo di ogni uomo.
La storia raccontata dai sadducei di questa pagina del Vangelo suona come molto riduttiva, come se la vita fosse un dare e un avere, in cui moglie e il marito "si prendono" quasi fossero degli oggetti, uno dopo l'altro, e tutto si riduce all'alternativa "figli sì" o "figli no". Gesù smaschera questa concezione della vita, che in realtà conduce alla morte. Per Gesù la vita non è un dare e un avere, ma un donare e un ricevere. Per cui l'uomo e la donna non si prendono ma si accolgono con fedeltà. E ciò che dà senso alla vita non è l'assicurazione della discendenza, ma è vivere nell'amore.
Infatti, per Gesù ciò che dà senso alla vita non è prendere, produrre o usare gli altri, ma la capacità di amare e di lasciarsi amare. Gesù ci rivela che l'unica forza capace di distruggere la morte è l'amore. Come ci ricorda la prima lettura (2Mac 7), solo se amiamo al punto da essere pronti a dare la vita per le persone che amiamo e per i valori in cui crediamo, abbiamo un buon motivo per vivere. Solo chi ha un buon motivo per morire, ha anche un buon motivo per vivere.

Per Gesù ciò che dà senso e salva la nostra vita sono le relazioni autentiche e profonde. Del resto, Dio stesso è la relazione: lui è il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe (e potremmo continuare con i nostri nomi…). È un Dio che non si dimentica di noi, che ci ama. Ed è proprio all'interno di questa relazione d'amore che Dio ci salva, perché per Dio noi siamo figli, non prodotti biologici usa e getta. Per questo non dobbiamo temere: noi siamo nelle mani di Dio e nulla e nessuno, nemmeno la morte può strapparci dalla sua mano.
Certo, Gesù non ci salva dalla morte, anche lui ha conosciuto la morte; Gesù ci salva nella morte. Noi cristiani non crediamo, come i filosofi antichi, nell'immortalità dell'anima, ma nella risurrezione. Crediamo in un Dio che è sovrabbondanza d'amore e che proprio nella morte ci viene incontro e ci stringe nel suo abbraccio di vita piena. E quando anche noi siamo capaci di vivere questa sovrabbondanza d'amore nelle nostre relazioni, sperimentiamo già qui ed ora l'anticipo della risurrezione; sperimentiamo un amore capace di affrontare e vincere la morte.


--------------------
torna su
torna all'indice
home