a cura di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio"
Comunità di preti della diocesi di Modena-Nonantola
Vita Pastorale (n. 9/2019)
ANNO C – 20 ottobre 2019
XXIX Domenica del Tempo ordinario
Esodo 17,8-13 • Salmo 120 • 2 Timoteo 3,14-4,2 • Luca 18,1-8
(Visualizza i brani delle Letture)
XXIX Domenica del Tempo ordinario
Esodo 17,8-13 • Salmo 120 • 2 Timoteo 3,14-4,2 • Luca 18,1-8
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UN'INSISTENZA CARICA DI FIDUCIA
Evidentemente la giustizia al tempo di Gesù non funzionava con tempi celeri, se la parabola che racconta è quella di una vedova, vittima di un'ingiustizia, che deve reclamare con insistenza affinché l'iter processuale abbia inizio. Viene da chiedersi se il ritardo non sia connaturato alla natura stessa della giustizia: infatti, se tutti nel nostro privato sentenziamo con facilità, chi se la sente di emettere verdetti pubblici, in faccia ai diretti interessati? E, allora, aspettare e far aspettare può anche essere un modo per attutire l'impatto doloroso di questo onere. A ogni buon conto, Gesù racconta una storia per far comprendere l'importanza della preghiera. Il contesto è un'anonima cittadina, dove vivono un giudice e una vedova: l'una reclama giustizia, l'altro "non guarda in faccia a nessuno". Che potrà anche essere una virtù per un giudice, ma in questo caso si trasforma in indifferenza per un contenzioso che non gli appare di alcun interesse.
La donna chiede al giudice di essere se stesso, di non nascondersi dietro a facili scuse. Lei guarda bene in faccia chi ha davanti e gli rammenta i suoi doveri. Se è giudice, perché non compie giustizia? Ma non è solo la coerenza del giudice a essere chiamata in causa: è anche quella della donna stessa. La quale potrebbe lasciar cadere la sua domanda, dal momento che non viene ascoltata: ma così rinuncerebbe a una sua dimensione profonda, solo a causa del ritardo altrui. Perché mai dovrebbe arrendersi e rinunciare a ciò che le spetta? Chiede al giudice il rispetto delle regole deontologiche, ma contemporaneamente rispetta anche le proprie esigenza.
Se proseguiamo l'analogia, ci rendiamo conto di come ciò possa valere anche per la preghiera: mentre ci si aggrappa a un Padre che crediamo buono, allo stesso tempo rammentiamo a noi stessi chi siamo. Una preghiera che sale incessante non ha le caratteristiche dell'aggressione, non è invocazione rabbiosa o pretenziosa: è un'insistenza carica di fiducia. So che Dio mi ascolterà: è la stessa convinzione che ha spinto Giobbe a non arrendersi fino a che non ha ottenuto risposta: Nel suo caso giunge persino una riabilitazione nel corpo, che alla fine però non era necessaria, perché comunque ha ottenuto una risposta da Dio.
Forse Dio è sordo d'orecchi, forse attende affinché la nostra domanda evolva e si raffini, forse il problema siamo noi che neppure sappiamo che cosa stiamo domandando. In ogni caso, la preghiera richiede un'attesa, non risponde a una logica di efficienza. E, soprattutto non sta dentro alla cornice del "tutto e subito". Per pregare ci vuole la costanza di insistere, mentre viene messa alla proava la convinzione di ciò che stiamo domandando. Viene limitata la presunzione in base alla quale reclamiamo un Dio a nostra disposizione.
Non a caso la frase finale è sulla fede: il peso dell'insuccesso frustra il nostro impegno. L'insistenza della vedova è insufficiente senza l'intervento del giudice. Il nostro sforzo ha un valore, ma il rimando alla fede ci mostra come solo per via di fiducia possiamo sperare di ottenete qualche cosa. Il risultato non arriva solo in virtù delle nostre capacità, ma attraverso la fiducia nelle persone e in Dio.
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