XXVIII Domenica del Tempo Ordinario (C)

Omelie - Il Vangelo della domenica
a cura di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio"
Comunità di preti della diocesi di Modena-Nonantola
Vita Pastorale (n. 9/2019)



ANNO C – 13 ottobre 2019
XXVIII Domenica del Tempo ordinario

2Re 5,14-17 • Salmo 97 • 2 Timoteo 2,8-13 • Luca 17,11-19
(Visualizza i brani delle Letture)

LA GRATITUDINE APRE ALL'ALTRO

Capita spesso a Gesù, nei suoi insegnamenti, di dare prova non solo di essere preparato in matematica, ma anche così attento nell'incontrare le persone, di rendersi conto di quanti siano i componenti di un gruppo. Dieci lebbrosi si avvicinavano a lui, invocando all'unisono una guarigione attesa da diverso tempo. Il gruppo si presenta compatto non solo nell'accostarsi a Gesù, ma anche nel recarsi dai sacerdoti per ottenere la guarigione. Infatti, al modo di alcuni grandi profeti dell'Antico testamento, Gesù li guarisce tutti senza alcun segno eclatante, addirittura senza che si possa attribuirgliene il merito. Dice loro, infatti, di andare dagli ufficiali sanitari del tempo, per ottenere il certificato di guarigione: cosa che essi, prontamente, fanno. Sennonché, giunti dai sacerdoti, i membri si separano e uno solo torna a ringraziare Gesù, a fronte dei nove che non lo fanno. Il punto di vista del narratore non si sposta da Gesù, che li vede prima arrivare e poi ripartire; che ha certezza di aver donato loro la guarigione, fatto che nessuno dei presenti può avere consapevolezza; che vede alla fine un unico ex-lebbroso fare ritorno per ringraziarlo.
Triste comportamento, eppure non così infrequente, quello di chi, pur ricevendo un gran beneficio, sembra scordarsi del benefattore. La gratitudine è cosa difficile da coltivare. E, non a caso, i genitori si sforzano di insegnarla ai figli fin da piccoli. Già, perché poi l'insegnamento pare evaporare con il crescere dell'età: proprio quando si diventa ancora più debitori nei confronti di un sempre maggior numero di persone: Ringraziare è riconoscere che non si è fatti da soli. È schiaffo alla propria presunzione e all'auto-incensazione di chi si pensa artefice unico della vita. La gratitudine apre all'altro e fa superare l'isolamento in cui si ritira il narcisista, emblema dell'ingrato. Un "grazie" decentra chi lo pronuncia e lo costringe a riconoscere che quanto ha ricevuto è un dono che gli è stato fatto.
Per questo Gesù si lamenta dei nove che non tornano. E non si limita al rammarico, ma sottolinea pure il fatto che il solitario è un samaritano. Lo straniero è così tanto abituato alla diversità che se ne accorge sempre: il colore della pelle o il taglio degli occhi, la parlata, il cibo, il vestito vengono ritenuti dallo straniero come dissimili da sé e lo fanno costantemente sentire diverso. Lo straniero è sempre attento a ogni più piccolo cambiamento, se ne accorge al volo e questo lo facilita ad aprirsi al divenire.

L'atteggiamento opposto a questa attenzione è l'indifferenza, che è un modo di negare l'altro: non importa la diversità altrui perché neppure ci si accorge di lui. Meglio non guardare negli occhi i poveri e gli stranieri, perché altrimenti si coglie la loro peculiarità, si è costretti a fare i conti con ciò che sono e rappresentano. Se l'altro è diverso, inevitabilmente lo sono anch'io. E così emerge, prepotentemente, che siamo tutti stranieri, tutti siamo estranei. Alla base dell'ingratitudine c'è l'indifferenza: non vedendosi diversi da prima, perché mai si dovrebbe ringraziare? Se "mi sono fatto da me", se quanto gli altri mi danno è dovuto, se sono gli altri a essere sbagliati ed io l'unico giusto… quale spazio può esserci per la gratitudine


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