a cura di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio"
Comunità di preti della diocesi di Modena-Nonantola
Vita Pastorale (n. 9/2019)
ANNO C – 6 ottobre 2019
XXVII Domenica del Tempo ordinario
Abacuc 1,2-3;2,2-4 • Salmo 94 • 2 Timoteo 1,6-8.13-14 • Luca 17,5-10
(Visualizza i brani delle Letture)
XXVII Domenica del Tempo ordinario
Abacuc 1,2-3;2,2-4 • Salmo 94 • 2 Timoteo 1,6-8.13-14 • Luca 17,5-10
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LA FEDE E L'ESPERIENZA DELL'INUTILITÀ
Il breve eppur composito testo evangelico di questa domenica risulta ancor più incomprensibile se non lo si collega a quanto precede. Gesù ha appena chiesto ai suoi la disponibilità al perdono, fino a settanta volte sette. Il grido successivo dei discepoli è come un'esplosione: «Signore, aumenta la nostra fede!». Destinatario è il "Signore", ossia Gesù risorto: il grido dei dodici somiglia tanto al nostro grido al Signore ogni volta che ci troviamo alle prese con un peccato che ci ha fatto molto male, o per la sua gravità o per la sua reiterazione.
Il tema dell'esser inutile fa da filo conduttore nel testo e, prima di tutto, indica il sentimento che la propria vita ha perso di senso a causa di una colpa troppo grave. Gesù, infatti, aveva detto che chi scandalizza i piccoli dovrebbe gettarsi in acqua con un peso al collo. In effetti, chi è consapevole di un male compiuto verso gli innocenti o avverte la macchia di un peccato imperdonabile può avere questa idea: che nella sua vita non c'è più niente da fare, sarebbe meglio essere morti sul fondo del mare.
Ma anche chi siede accanto ad un fratello che continuamente ricade nelle stesse colpe fa esperienza di inutilità. È la frustrazione del vedere che l'altro non cambia nonostante i propri sforzi (ammesso che li faccia) e di chi lo perdona. Anche in quel momento viene voglia di rinunciare a uno spirituale accanimento terapeutico verso un malato inguaribile. Ci si sente inutili anche questa volta.
E, infine, la terza esperienza di inutilità: quella di chi lavora tanto e sembra gli si chieda di lavorare ancor di più. È il servo che ha lavorato tutto il giorno nei campi e che, una volta rientrato a casa, deve ulteriormente mettersi al servizio del proprio padrone. Anche in quel caso non fa altro che quello che "deve" fare, stante la sua condizione di schiavitù. Ma l'esperienza dell'inutilità è pervasiva e nell'animo di molti. Le colorazioni di questo senso di inutilità hanno svariate sfumature: dal "che senso ha la mia vita?" al "mi sento invisibile".
È proprio nella percezione di questa inutilità che scopriamo come Gesù abbia uno sguardo radicalmente diverso, di fede. Non è questione di molta o di poca fede: è questione di averla o no. Nello sguardo di fede l'inutilità non c'è, perché al centro non sta la produttività, ma il legame. Dio è un Padre, che non rinnega il figlio, mai. Per questo continuerà a perdonarlo. Non lo darà mai per perso, anche quando lo vedrà vagante in deserti aridi. Quello di Dio non è un conteggio, né un calcolo: lui non si rassegna mai.
Il nostro sguardo, invece, si sofferma o sprezzante sulla piccolezza del seme od orgogliosamente sulla grandezza dell'albero: da un lato, la la tristezza di vedere un inizio stentato; dall'altro, l'attesa di esultare per un grande risultato. Dio guarda il percorso. Ce lo dichiara Francesco: «Dare priorità al tempo significa occuparsi di iniziare processi più che di possedere spazi. Si tratta di privilegiare le azioni che generano nuovi dinamismi nella società e coinvolgono altre persone e gruppi che le porteranno avanti, finché fruttifichino in importanti avvenimenti storici. A volte mi domando chi sono quelli che nel mondo attuale si preoccupano realmente di dar vita a processi che costruiscano un popolo, più che ottenere risultati immediati che producano una rendita politica facile, rapida ed effimera, ma che non costruiscono la pienezza umana» (EG 223-224).
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