XXIX Domenica del Tempo Ordinario (C)
Letture Patristiche

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Letture Patristiche della Domenica
Le letture patristiche sono tratte dal CD-Rom "La Bibbia e i Padri della Chiesa", Ed. Messaggero - Padova, distribuito da Unitelm, 1995.


ANNO C - XXIX Domenica del Tempo Ordinario

DOMENICA «DELLA PARABOLA DELLA VEDOVA IMPORTUNA E DEL GIUDICE INIQUO»

Esodo 17,8-13 • Salmo 120 • 2 Timoteo 3,14-4,2 • Luca 18,1-8
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1. Le aspirazioni del cuore, anima della preghiera (Agostino, dalla «Lettera a Proba», Lett. 130,8,15.17-9,18)
2. Sulle parole del Vangelo di Lc 18,1-17: "Bisogna pregare sempre senza stancarsi mai" ecc. Inoltre sui due ch'erano saliti al tempio per pregare, e sui bambini presentati a Cristo (Agostino, Discorso 115)


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1. Le aspirazioni del cuore, anima della preghiera

Quando preghiamo non dobbiamo mai perderci in tante considerazioni, cercando di sapere che cosa dobbiamo chiedere e temendo di non riuscire a pregare come si conviene. Perché non diciamo piuttosto col salmista: «Una cosa ho chiesto al Signore, questa sola io cerco: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita, per gustare la dolcezza del Signore e ammirare il suo, santuario»? (Sal 26, 4). Ivi infatti non c'è successione di giorni come se ogni giorno dovesse arrivare e poi passare. L'inizio dell'uno non segna la fine dell'altro, perché vi si trovano presenti tutti contemporaneamente. La vita, alla quale quei giorni appartengono, non conosce tramonto.
Per conseguire questa vita beata, la stessa vera Vita in persona ci ha insegnato a pregare, non con molte parole, come se fossimo tanto più facilmente esauditi, quanto più siamo prolissi. Nella preghiera infatti ci rivolgiamo a colui che, come dice il Signore medesimo, già sa quello che ci è necessario, prima ancora che glielo chiediamo (cfr. Mt 6, 7-8).
Potrebbe sembrare strano che Dio ci comandi di fargli delle richieste quando egli conosce, prima ancora che glielo domandiamo, quello che ci è necessario. Dobbiamo però riflettere che a lui non importa tanto la manifestazione del nostro desiderio, cosa che egli conosce molto bene, ma piuttosto che questo desiderio si ravvivi in noi mediante la domanda perché possiamo ottenere ciò che egli è già disposto a concederci. Questo dono, infatti, è assai grande, mentre noi siamo tanto piccoli e limitati per accoglierlo. Perciò ci vien detto: «Aprite anche voi il vostro cuore! Non lasciatevi legare al giogo estraneo degli infedeli» (2Cor 6,13-14).
Il dono è davvero grande, tanto che né occhio mai vide, perché non è colore; né orecchio mai udì, perché non è suono; né mai è entrato in cuore d'uomo (cfr. 1Cor 2,9), perché è là che il cuore dell'uomo deve entrare. Lo riceviamo con tanta maggiore capacità, quanto più salda sarà la nostra fede, più ferma la nostra speranza, più ardente il nostro desiderio.
Noi dunque preghiamo sempre in questa stessa fede, speranza e carità, con desiderio ininterrotto. Ma in certe ore e in determinate circostanze, ci rivolgiamo a Dio anche con le parole, perché, mediante questi segni, possiamo stimolare noi stessi e insieme renderci conto di quanto abbiamo progredito nelle sante aspirazioni, spronandoci con maggiore ardore a intensificarle. Quanto più vivo, infatti, sarà il desiderio, tanto più ricco sarà l'effetto. E perciò, che altro vogliono dire le parole dell'Apostolo: «Pregate incessantemente» (1Ts 5,17) se non questo: Desiderate, senza stancarvi, da colui che solo può concederla quella vita beata, che niente varrebbe se non fosse eterna?

(Agostino, dalla «Lettera a Proba», Lett. 130,8,15.17-9,18)

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2. Sulle parole del Vangelo di Lc 18,1-17: "Bisogna pregare sempre senza stancarsi mai" ecc. Inoltre sui due ch'erano saliti al tempio per pregare, e sui bambini presentati a Cristo

La fede necessaria alla preghiera e viceversa
1. Il passo del Vangelo ch'è stato letto ci sprona a pregare e a credere e a confidare non già in noi ma nel Signore. Quale esortazione a pregare poteva essere più efficace che la parabola del giudice ingiusto narrataci dal Signore? Il giudice iniquo infatti, che non aveva né il timore di Dio né rispetto per nessuno, diede tuttavia ascolto alla vedova ch'era ricorsa a lui, vinto dalla seccatura, non per la sua bontà. Se dunque esaudì la vedova colui che odiava d'essere pregato, quanto più ci esaudirà Colui che ci esorta a pregarlo? Allorché dunque il Signore con questa parabola a rovescio ci persuadeva ch'è necessario pregare sempre senza stancarsi (Lc 18,1), soggiunse e disse: Tuttavia quando il Figlio dell'uomo tornerà, troverà forse la fede sulla terra? (Lc 18,8). Se manca la fede, è impossibile la preghiera. Infatti chi mai prega ciò che non crede? Ecco perché anche il beato Apostolo, esortando alla preghiera, dice: Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvo (Rm 10,13). E per dimostrare che la fede è la sorgente della preghiera, e che il ruscello non può scorrere, quando la sorgente è secca, soggiunge e dice: Ma come potranno invocare il Signore, se non hanno creduto in lui? (Rm 10,14). Per pregare dobbiamo dunque credere e, perché non venga meno la fede con cui preghiamo, dobbiamo pregare. La fede fa sgorgare la preghiera, la preghiera sgorgata ottiene la stabilità della fede. La fede - ripeto - è la sorgente della preghiera la quale, quando si effonde, ottiene saldezza alla stessa fede. Proprio perché nelle tentazioni non venisse meno la fede, il Signore disse: Vegliate e pregate per non entrare nella tentazione (Lc 22,46). Vegliate - disse - e pregate, per non entrare nella tentazione. Che vuol dire: entrare nella tentazione, se non "uscire dalla fede"? La tentazione infatti progredisce nella misura che la fede regredisce e così viceversa. Orbene, affinché la Carità vostra comprenda più chiaramente che l'esortazione del Signore: Vegliate e pregate per non entrare in tentazione fu fatta a proposito della fede, perché non venisse meno e scomparisse, in quel passo del Vangelo disse: Satana ha ottenuta di passarvi al vaglio come il grano questa notte, ma io ho pregato per te, Pietro, perché non venga meno la tua fede (Lc 22,31-32). Prega Colui che ci difende, e non prega chi si trova nel pericolo? Ora, ciò che disse il Signore: Quando il Figlio dell'uomo tornerà, troverà forse la fede sulla terra? si riferiva alla fede ch'è perfetta. Una fede siffatta si trova a stento sulla terra. Ecco, la Chiesa di Dio è piena; chi vi si accosterebbe se non avesse affatto la fede? Chi non trasporterebbe i monti, se la fede fosse completa? Considerate gli stessi Apostoli: dopo aver abbandonato ogni loro avere, calpestato la speranza mondana, non si sarebbero messi alla sequela del Signore, se non avessero avuto una gran fede; eppure, se avessero avuto una fede completa, non avrebbero detto al Signore: Aumenta la nostra fede (Lc 17,5). Vedi anche quel tale che a proposito di se stesso fa questa duplice confessione: che ha sì la fede, ma non completa; egli aveva presentato suo figlio al Signore perché lo guarisse dal malvagio demonio. Il Signore gli aveva chiesto se aveva fede, ed egli rispose dicendo: Io ho fede, ma aiutami perché mi manca una fede profonda (Mc 9,23). Io ho fede - disse - ho fede, Signore; è dunque fede. Ma aiutami perché mi manca una fede profonda; la fede perciò non è completa.

La parabola del fariseo e del pubblicano
2. Ma poiché la fede l'hanno gli umili, non i superbi, per alcuni che si reputavano giusti e disprezzavano tutti gli altri narrò la seguente parabola: Due uomini salirono al tempio per pregare: uno era fariseo e l'altro pubblicano. Il fariseo diceva: Ti ringrazio, Dio, perché non sono come gli altri (Lc 18,9-11). Avesse almeno detto: "come molti". Che vuol dire: Come gli altri, se non "tutti" eccettuato lui? "Io - diceva - sono giusto, tutti gli altri sono peccatori". Non sono come gli altri uomini ingiusti, rapaci, adulteri. Ed eccoti, dalla vicinanza del pubblicano un'occasione d'un maggiore orgoglio: come questo pubblicano, dice. "Io - dice - sono unico, quest'altro invece è uno degli altri". "Io non sono - dice - tale qual è costui, grazie alle mie opere buone, per cui non sono ingiusto". Io digiuno due volte alla settimana e offro la decima parte di ciò che possiedo (Lc 18,12). Per che cosa pregava Dio? Cercalo nelle sue parole e non vi troverai nulla. Era salito per pregare; ma non volle pregare Dio, bensì lodare se stesso. Non gli bastava non pregare Dio ma lodava se stesso; oltre a ciò insultava chi pregava. Il pubblicano invece s'era fermato a distanza (Lc 18,13), ma tuttavia era vicino a Dio. Lo teneva lontano il rimorso, ma lo avvicinava lo spirito di fede. Il pubblicano invece s'era fermato a distanza, ma il Signore lo guardava da vicino. Poiché eccelso è il Signore ma guarda alle cose umili (Sal 137,6), gli eccelsi invece, com'era quel fariseo, li conosce da lontano. Dio conosce, è vero gli esseri sublimi da lontano, ma non li perdona. Ascolta ancora l'umiltà del pubblicano. Non basta che stesse a distanza: non osava neppure alzare lo sguardo al cielo. Per poter essere guardato da Dio, non osava alzare lo sguardo. Non osava volgere lo sguardo in alto: l'opprimeva il rimorso, lo sollevava la speranza. Ascolta ancora: Si batteva il petto. Esigeva il castigo nei propri confronti; per questo il Signore lo perdonava perché confessava. Si batteva il petto dicendo: O Dio, sii benigno con me peccatore. Ecco chi prega! Perché stupirsi che Dio perdona, dal momento che uno riconosce se stesso? Hai sentito il dibattito relativo alla causa del fariseo e del pubblicano: ascolta ora la sentenza. Hai sentito l'accusatore superbo, hai sentito l'umile confessione del colpevole: ascolta ora il giudice. Io vi dico in verità. Parla la Verità, parla Dio; il giudice afferma: Io vi dico in verità che il pubblicano dal tempio se ne tornò giustificato a casa sua, a differenza del fariseo. Di', o Signore, il motivo. Ecco, io vedo il pubblicano tornare giustificato a casa sua dal tempio a differenza del fariseo. Ti chiedo il perché. Mi chiedi il perché? Ascolta perché: Perché chi si esalta sarà umiliato, chi invece s'umilierà sarà esaltato (Lc 18,14). Hai udito la sentenza: evita una malattia funesta; in altre parole: Hai udito la sentenza, evita la superbia.

Contro i pelagiani.
3. Aprano adesso gli occhi, ascoltino queste considerazioni non so quali individui, avvezzi a cianciare empiamente, che confidano nelle proprie forze; aprano bene le orecchie coloro che vanno dicendo: "Dio mi ha fatto uomo, giusto mi faccio io". O individuo peggiore e più detestabile del fariseo! Il fariseo chiamava superbamente se stesso giusto, è vero, ma tuttavia ringraziava Dio. Diceva d'essere giusto, ma tuttavia rendeva grazie a Dio. Ti ringrazio, o Dio, perché non sono come gli altri. Ti ringrazio, o Dio; ringrazia Dio di non essere come gli altri; e tuttavia viene biasimato come superbo e tronfio, ma non perché rendeva grazie a Dio, bensì perché desiderava - per così dire - di non ricevere da Dio nient'altro oltre a quel ch'egli era. Ti ringrazio, o Dio, perché non sono come tutti gli altri, ingiusti. Tu dunque sei giusto, non chiedi dunque nulla; tu dunque sei già pieno; per te dunque non è una tentazione la vita dell'uomo sulla terra (Cf Gb 7,1); sei dunque già pieno; tu dunque sei già nell'abbondanza; non hai dunque più motivo di dire: Rimetti a noi i nostri debiti (Mt 6,12). Che cosa è dunque colui che combatte la grazia, se colui che rende grazie con superbia viene biasimato?

Ai bambini è necessario il battesimo di Cristo
4. Ecco, dopo l'esposizione del dibattito e la proclamazione della sentenza vengono avanti anche dei bambini, o meglio vengono portati e presentati perché vengano toccati. Toccati da chi, se non dal medico? Essi non hanno certamente alcun male. E allora a chi vengono presentati i bambini perché siano toccati? A chi? Al Salvatore. Se sono presentati al Salvatore, certamente devono essere salvati. A chi sono presentati, se non a Colui ch'è venuto a cercare e a salvare ciò che s'era perduto (Cf. Mt 18,11)? Ma in qual modo questi bambini s'erano perduti? Per quanto riguarda essi personalmente, li vedo innocenti, cerco la colpa [di cui si sarebbero macchiati]. E come la cercherò? Ascolto l'Apostolo: Per causa d'un sol uomo il peccato entrò nel mondo. Per causa d'un solo uomo - è detto - il peccato entrò nel mondo e attraverso il peccato la morte e così ha raggiunto tutti gli uomini, poiché in lui tutti hanno peccato (Rm 5,12). Vengano dunque i bambini, vengano; si ascolti il Signore: Lasciate che i bambini vengano a me (Lc 18,16). Vengano i bambini, vengano i malati dal medico, i perduti vengano dal Redentore; vengano, nessuno glielo impedisca. Nel ramo essi non hanno commesso ancora alcun male ma sono andati perduti nella radice. Il Signore benedica i piccoli con i più grandi (Cf. Sal 113,13). Il medico tocchi i piccoli e i grandi. Raccomandiamo ai più grandi la causa dei piccoli. Parlate per quelli che non hanno una voce, pregate per quelli che piangono. Se non siete invano maggiori, siate difensori; difendete coloro che non possono trattare ancora la propria causa. Come fu comune la perdizione, così sia comune il ritrovamento. Ci eravamo perduti insieme, facciamo sì d'esser ritrovati uniti a Cristo. Disuguale è ciò per cui si merita il castigo, ma comune è la grazia. I bambini non hanno alcun peccato se non quello che trassero dalla fonte; non hanno niente di male se non quello di cui si macchiarono nell'origine. Non impediscano loro la salvezza coloro che hanno aggiunto molti altri peccati a quello originale. Chi è più grande per età è anche più grande per l'iniquità. Ma la grazia di Dio cancella il peccato originale e anche quelli che hai aggiunti tu stesso. Poiché dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia (Rm 5,20).

(Agostino, Discorso 115)




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