XXVII Domenica del Tempo Ordinario (C)
Letture Patristiche

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Letture Patristiche della Domenica
Le letture patristiche sono tratte dal CD-Rom "La Bibbia e i Padri della Chiesa", Ed. Messaggero - Padova, distribuito da Unitelm, 1995.


ANNO C - XXVII Domenica del Tempo Ordinario

DOMENICA «DEI SERVI INUTILI»

Abacuc 1,2-3;2,2-4 • Salmo 94 • 2 Timoteo 1,6-8.13-14 • Luca 17,10-10
(Visualizza i brani delle Letture)


1. Avere la stessa fede è grande grazia (Giovanni Cassiano, Collationes 3,16-19)
2. Fede nei dogmi e fede carismatica (Cirillo di Gerus., Catech. 5, 9-11)
3. Il superbo che si fa creditore di Dio (Bruno di Segni, In Luc. 2,39)
4. Sveglia la tua fede: guarda con gli occhi della fede la vita eterna (Agostino, dal «Commento sui salmi»)


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1. Avere la stessa fede è grande grazia

Gli apostoli avevano ben compreso che tutto ciò che riguarda la salvezza viene da Dio come un dono, perciò domandarono al Signore anche la fede: "Signore, aumenta la nostra fede" (Lc 17,5). Non si aspettavano questa virtù dal loro libero arbitrio; credevano, invece, di poterla ricevere esclusivamente dalla magnificenza di Dio. Inoltre, lo stesso autore della nostra salvezza insegna a riconoscere quanto sia fragile, malata e non bastevole a se stessa la nostra fede, senza l'aiuto divino: "Simone, Simone, ecco Satana ha chiesto di vagliarvi come si vaglia il grano; ma io ho pregato per te, affinché la tua fede non venga meno" (Lc 22,31-32). Un altro, sentendo in sé la propria fede come sospinta dai flutti dell'incredulità verso sicuro naufragio, si rivolse al Signore, dicendo: "Signore, aiuta la mia incredulità" (Mc 9,23).
Gli apostoli e gli altri uomini che figurano nel Vangelo avevano capito che nessun bene si compie in noi senza il divino aiuto; erano persino convinti di non poter conservare la fede, affidandosi alle sole forze della ragione, o alla libertà dell'arbitrio, da chiedere che questa fede venisse posta e conservata in loro. Se la fede di Pietro, infatti, aveva bisogno di Dio per non venir meno, chi sarà cosi presuntuoso e cieco da credere di poterla serbare senza quell'aiuto? Non è forse il Signore stesso a dichiarare la nostra insufficienza quando afferma: "Come il tralcio non può produrre frutto se non resta unito alla vite, così nessuno può portare frutto se non rimane in me" (Gv 15,4)? E ancora: "Senza di me non potete far nulla" (Gv 15,5)? Quanto insulso e sacrilego sia, dunque, attribuire alcunché delle nostre azioni al nostro saper fare, e non alla grazia di Dio e al suo aiuto, appare provato da una sentenza accusatoria del Signore, che afferma che nessuno può senza la sua ispirazione e il suo aiuto cogliere frutti spirituali: "Ogni buon regalo e ogni dono perfetto viene dall'alto e discende dal Padre della luce" (Gc 1,17). E del pari Zaccaria: "Cosa c'è di buono o di bello che non gli appartenga" (Zc 9, 17)? Per Paolo, poi, è una nota costante: "Che cos'hai che tu non abbia ricevuto? E se l'hai ricevuto, perché te ne glori come se non l'avessi ricevuto?" (1Cor 4,7).
Persino le possibilità di tolleranza che possiamo dispiegare nel sostenere le tentazioni, non dipendono dalla nostra virtù quanto piuttosto dalla misericordia di Dio e dalla sua moderazione, come si esprime in proposito il beato Apostolo: "Nessuna tentazione vi ha finora sorpresi se non umana; infatti, Dio è fedele e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze, ma con la tentazione vi darà anche la via d'uscita e la forza per sopportarla" (1Cor 10,13). Il medesimo Apostolo insegna che Dio adatta e consolida i nostri spiriti per ogni buon operare, ed opera in noi quelle cose che sono secondo il suo beneplacito: "Il Dio della pace che ha fatto tornare dai morti il Pastore grande delle pecore, in virtù del sangue di un'alleanza eterna, il Signore nostro Gesù, vi renda perfetti in ogni bene, perché possiate compiere la sua volontà, operando in voi ciò che è a lui gradito per mezzo di Gesù Cristo" (Eb 13,20-21). Perché poi lo stesso avvenga per i Tessalonicesi, così prega, dicendo: "E lo stesso Signore nostro Gesù Cristo e Dio Padre nostro, che ci ha amati e ci ha dato, per sua grazia, una consolazione eterna e una buona speranza, conforti i vostri cuori e li confermi in ogni opera e parola di bene" (2Ts 2,16-17).
Il profeta Geremia, da persona di Dio, afferma senza mezzi termini che anche il timore di Dio ci è infuso dal Signore. Cosi egli dice, infatti: "Darò loro un solo cuore e un solo modo di comportarsi perché mi temano tutti i giorni per il loro bene e per quello dei loro figli dopo di essi. Concluderò con essi un'alleanza eterna e non mi allontanerò piú da loro per beneficarli; metterò nei loro cuori il mio timore perché non si distacchino da me" (Ger 32,39-40). Del pari Ezechiele: "Darò loro un cuore nuovo e uno spirito nuovo metterò dentro di loro; toglierò dal loro petto il cuore di pietra e darò loro un cuore di carne, perché seguano i miei decreti e osservino le mie leggi e li mettano in pratica; saranno il mio popolo e io sarò il loro Dio" (Ez 11,19-20).
Da tutto ciò siamo più che edotti che l'inizio della buona volontà in noi si ha per ispirazione di Dio, vuoi perché egli stesso ci attrae verso la via della salvezza, vuoi perché si serve delle esortazioni di una persona qualsiasi o della necessità o della perfezione delle virtù o di cose simili. La nostra parte sta in questo: noi possiamo, con piú fervore o con piú tiepidità eseguire l'esortazione di Dio e appoggiare il suo aiuto, e qui risiede la nostra possibilità di merito o di castigo appropriato. Quindi, ciò che per sua elargizione e provvidenza è stato a noi dato con benignissima degnazione, sarà per noi causa di premio o di castigo in dipendenza di quanto lo avremo trascurato o ci saremo studiati di aderirvi con la nostra devota obbedienza.

(Giovanni Cassiano, Collationes 3,16-19)

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2. Fede nei dogmi e fede carismatica

Lazzaro morì e trascorsero uno, due e tre giorni: i suoi tendini si dissolvevano e la putrefazione divorava il corpo. Uno che era morto già da quattro giorni come poteva credere e invocare in proprio favore un liberatore? Ma quanto mancava al morto, fu supplito dalle sorelle. Quando venne il Signore, la sorella si prostrò ai suoi piedi e, alla richiesta di lui: «Dove l'avete messo?», rispose: «Signore, già puzza, perché è di quattro giorni». Dice allora il Signore: "Se crederai, vedrai la gloria di Dio" (Gv 11,14ss), come se dicesse: Supplisci tu alla fede che manca al morto. E la fede delle sorelle fu tanto valida da richiamare il morto dalle porte dell'Averno. Se alcuni, credendo per altri, riuscirono a risuscitarli dai morti, non ne avrai tu profitto ancor maggiore credendo sinceramente per te stesso? Qualora poi tu fossi infedele o povero di fede, il misericordioso Iddio ti seguirà nella via del pentimento. Di' solamente con semplicità: "Credo, Signore; aiuta la mia infedeltà" (Mc 9,23).Che se invece ti credi fedele, non hai ancora la perfezione della fede, ma ti è necessario dire, come gli apostoli: "Signore, aumenta in noi la fede" (Lc 17,5), poiché essa in piccola parte proviene da te stesso, ma la parte più grande la ricevi da lui.
Il termine «fede» è unico come vocabolo, ma la realtà che esso significa è duplice. V'è una specie di fede, quella dei dogmi, che consiste nell'assenso dell'anima a una verità, essa è utile all'anima, secondo la parola del Signore: "Chi ascolta le mie parole e crede in colui che mi ha mandato ha la vita eterna e non viene alla condanna" (Gv 5,24); e ancora: "Chi crede in lui non è condannato" (Gv 3,18): "ma è passato da morte a vita" (Gv 5,24). Oh, il grande amore di Dio per gli uomini! Gesù ti dona gratuitamente, nel corso di una sola ora, quello che essi guadagnarono meritandosi per molti anni le sue compiacenze, operando rettamente. Se tu crederai che Gesù Cristo è il Signore e che Dio lo risuscitò dai morti, sarai salvo (Rm 10,9) e verrai trasportato in paradiso da colui che vi ha introdotto il buon ladrone. Non credere che sia cosa impossibile. Colui che, su questo santo Golgota, ha salvato il ladrone (Lc 23,43) che credeva da una sola ora, salverà te pure, se credi.
V'è una seconda specie di fede, quella che ci è donata da Cristo come puro dono gratuito. "Dallo Spirito a uno è dato il linguaggio della sapienza, a un altro il linguaggio della scienza secondo il medesimo Spirito; a uno la fede, nel medesimo Spirito; a un altro il dono delle guarigioni" (1Cor 12,8-9). Questa fede, che è dono gratuito dello Spirito, non riguarda solamente i dogmi, ma anche l'efficacia di operare cose che superano le umane possibilità. Chi possiede questa fede, dirà a questo monte: «Trasferisciti da qui a lì»; ed esso si trasferirà (cf. Mt 17,20). Quando uno dice questo, mosso dalla fede, e crede che ciò avvenga e non ne dubita in cuor suo (Mc 11,23), riceve la grazia. È a questa fede che si riferisce la frase: "Se avete fede come un chicco di senape" (Mt 17,20). Un grano di senape è piccolo di mole, ma ha la forza di bruciare; seminato in un piccolo recinto, emette grandi rami e, una volta cresciuto, è capace di fornire ombra agli uccelli (Mt 13,32). Così anche la fede ha la forza di operare grandissime cose buone in pochissimo tempo. Essa rappresenta Iddio con immagini e lo intuisce, per quanto le è concesso, illuminata dalla fede dei dogmi. Essa gira attorno ai confini del mondo e, prima ancora della fine del secolo presente, vede il giudizio e la retribuzione dei beni promessi. Abbi quella fede che è in tuo potere e conduce a lui, per ricevere da lui anche quella che supera le possibilità dell'uomo.

(Cirillo di Gerus., Catech. 5,9-11)

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3. Il superbo che si fa creditore di Dio

Quanto è bene adatta questa similitudine per colui che diceva: "Dio, ti ringrazio, perché non sono come tutti gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri o come questo pubblicano. Digiuno due volte la settimana, pago le decime di tutti i miei beni" (Lc 18,11). Quanto sarebbe stato meglio se avesse detto umilmente: Signore, sono un servo inutile, ho fatto solo ciò che dovevo fare. Infatti, poiché il servo fa il suo ufficio per dovere e per necessità, il padrone non gli deve nessuna gratitudine, se egli fa ciò che gli vien comandato. Così noi quando osserviamo i comandamenti; via, dunque, la superbia, la vanagloria, il fumo della mente, e inginocchiamoci tra gli umili servi inutili, come quello che diceva: "La mia anima è innanzi a te come terra senz'acqua" (Sal 142,6). È terra senza acqua, secca, infeconda, sterile, inutile. Ma è uno che aveva fatto tutto ciò che gli era stato comandato, com'è detto: "Non mi sono allontanato dai tuoi precetti" (Sal 118,51) e: "Non ho dimenticato la tua giustizia" (Sal 118,141).

(Bruno di Segni, In Luc. 2,39)

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4. Il superbo che si fa creditore di Dio

«Se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini» (1Cor 15,19). C'è dunque un'altra vita. Ciascuno interroghi il Cristo riguardo alla propria fede. Ma la fede dorme. È logico che sia fluttuante, perché il Cristo sta dormendo nella barca. Gesù infatti dormiva nella barca ed essa era sballottata sulle acque tra molte tempeste. Si agita dunque il cuore quando il Cristo dorme. Ma Cristo è sempre desto; che significa allora che il Cristo dorme? È la tua fede che dorme. Perché sei ancora agitato dalle tempeste del dubbio? Sveglia Gesù,sveglia la tua fede: guarda con gli occhi della fede la vita futura in vista della quale hai creduto, per la quale sei stato segnato col sigillo di lui. Egli ha vissuto questa vita per mostrarti quanto sia disprezzabile quella che tu amavi e quanto sia da sperare quella che tu non speravi. Se dunque avrai risvegliato la fede e fissato il tuo sguardo sulle realtà ultime, sulle gioie del secolo futuro che godremo dopo la seconda venuta del Signore e il suo giudizio, quando sarà stato consegnato ai santi il regno dei cieli; se avrai diretto il tuo pensiero verso quella vita e verso la pacifica attività che vi si svolge; allora, o carissimi, non sarà agitata la nostra fatica, il nostro lavoro sarà traboccante di una dolcezza unica, non molestato da nulla, non danneggiato da alcuna stanchezza, non turbato da nessuna nube.
Quale sarà allora la nostra occupazione? Lodare Dio, amare e lodare, lodare amando e amare lodando.
«Beato chi abita la tua casa: sempre canta le tue lodi!» (Sal 83,5) Per quale ragione, se non perché ti ameranno per sempre? Per quale ragione, se non perché ti vedranno per sempre? Quale spettacolo sarà dunque mai, fratelli miei, la contemplazione di Dio! Noi, fratelli, se viviamo col continuo desiderio di appartenere a lui e perseveriamo in esso fino alla fine, giungeremo alla visione e saremo ricolmi di gioia. Saranno tutti puri i cittadini di quella città e non vi sarà ammesso nessun sedizioso o turbolento. Quello stesso nemico che qui ci ostacola per non farci giungere a quella patria, là non può più insidiare nessuno, perché non gli è neppure permesso di entrarvi. Se già ora infatti è escluso dal cuore dei credenti, come non lo sarà dalla città dei viventi? Cosa non sarà mai, o fratelli, cosa non sarà, chiedo a voi, abitare in quella città, se già il parlarne dà tanta gioia?
Dobbiamo preparare il cuore a questa vita futura; chi prepara il cuore ad essa, disprezza del tutto questa; il disprezzo di questa, poi, gli fa aspettare con sicurezza quel giorno che il Signore ci invita ad attendere nel timore.

(Agostino, dal «Commento sui salmi»)




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