XXVI Domenica del Tempo Ordinario (C)
Letture Patristiche

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Letture Patristiche della Domenica
Le letture patristiche sono tratte dal CD-Rom "La Bibbia e i Padri della Chiesa", Ed. Messaggero - Padova, distribuito da Unitelm, 1995.


ANNO C - XXVI Domenica del Tempo Ordinario

DOMENICA «DI LAZZARO E DEL RICCO EPULONE»

Amos 6,1.4-7 • Salmo 145 • 1 Timoteo 6,11-16 • Luca 16,19-31
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1. Dal Vangelo ove si narra del ricco e del povero Lazzaro (Agostino, Discorso 113/A. Discorso tenuto a Ippona Diarrito nella basilica del santo martire Quadrato, la domenica 25 settembre, PL 46, 921-932)
2. Omelia sul povero Lazzaro e sul ricco che indossava abiti di porpora e di bisso (Agostino, Discorso 113/B, MA 1, 288-291)


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1. Dal Vangelo ove si narra del ricco e del povero Lazzaro

I giudei non vogliono ancora credere agli oracoli dei Profeti sul Cristo e sulla Chiesa
1. La fede dei cristiani, schernita dagli empi e dagl'infedeli, è la seguente: noi affermiamo che c'è un'altra vita dopo la presente e c'è la risurrezione dai morti e il giudizio alla fine del mondo. Poiché queste verità non erano credute a causa dei sentimenti umani, ma venivano predette e annunciate dai Profeti, servi di Dio, e dalla Legge data per mezzo di Mosè e sembravano ancora incredibili, venne Gesù Cristo nostro Signore e Salvatore per convincere di esse gli uomini. Egli è bensì il Figlio di Dio, nato dal Padre in modo invisibile e ineffabile, coeterno col Padre ed uguale al Padre e unico Dio col Padre; egli tuttavia, pur essendo il Verbo del Padre, per mezzo del quale tutte le cose sono state fatte (Cf. Gv 1,3), pur essendo la sapienza del Padre, per mezzo della quale è governato l'universo, prendendo un corpo e manifestandosi agli occhi degli uomini scendendo sulla terra depose tanta sua grandezza e l'incomprensibile sua maestà e potenza, che non poteva essere conosciuta dagli uomini. Poiché dunque in Cristo non si vedeva Dio cioè la Stessa divinità, veniva disprezzata la carne che si vedeva. Egli però dimostrava la propria intima divinità con i miracoli; e poiché appariva tale da poter essere disprezzato dagli occhi umani, faceva azioni tanto straordinarie da apparire Figlio di Dio mediante le stesse opere. Compiva dunque opere straordinarie, dava utili precetti, correggeva ed emendava i vizi, insegnava le virtù, compiva guarigioni anche dei corpi per guarire lo spirito degli increduli; ciononostante il popolo, tra il quale era nato e allevato e aveva compiuto tanti miracoli, lo uccise. Ma egli ch'era venuto a nascere, naturalmente era venuto anche a morire. Però la morte del suo corpo, che aveva preso per dare l'esempio e la dimostrazione della risurrezione, non volle che fosse infruttuosa ma la lasciò piuttosto in potere degli empi affinché, rifiutando essi di fare quel ch'egli comandava, patisse lui ciò che voleva. Così fu: Cristo fu ucciso, fu sepolto e risuscitò, come sappiamo, come viene attestato dal Vangelo, come già viene annunciato in tutto il mondo; e vedete che i giudei rifiutano ancora di credere in Cristo dopo che è già risorto dai morti e glorioso è asceso in cielo sotto lo sguardo degli Apostoli, mentre si adempiono in tutto il mondo le predizioni dei Profeti. Effettivamente tutti i Profeti, che preannunciarono la nascita, la morte, la risurrezione di Cristo e la sua ascensione al cielo preannunciarono anche che la sua Chiesa si sarebbe diffusa tra tutti i popoli. Se dunque i giudei non videro il Cristo risorto e ascendente al cielo, avrebbero dovuto vedere almeno la Chiesa diffusa su tutta la terra poiché, mentre ciò si stava avverando, si stavano certamente avverando le predizioni dei Profeti.

L'incredulità dei giudei è dimostrata colpevole con l'esempio del ricco epulone
2. A proposito di essi accade quanto abbiamo udito poco fa dal Vangelo: non ascoltano Cristo risorto dai morti poiché non ascoltarono Cristo mentre viveva sulla terra. Così infatti disse Abramo al ricco ch'era nell'inferno tra i tormenti e desiderava che fosse mandato qualcuno sulla terra affinché riferisse ai fratelli come si vive nell'inferno e li ammonisse a vivere bene prima di giungere in quei luoghi di tormenti, facendo penitenza dei loro peccati per meritare, piuttosto, d'andare nel seno d'Abramo e non già nei tormenti dov'era andato a finire lui ricco. Mentre dunque rivolgeva questa preghiera quel ricco divenuto misericordioso troppo tardi, lui che aveva disprezzato il povero che giaceva davanti alla sua porta e forse, poiché era arrogante verso di lui, sentiva bruciarsi proprio la lingua e desiderava una goccia d'acqua su di essa. Poiché dunque sulla terra non aveva fatto ciò che avrebbe dovuto fare, per non andare a finire laggiù, cominciò troppo tardi a essere compassionevole a favore di altri. Ma che cosa gli rispose Abramo? Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi nemmeno se uno risorgerà dai morti (Lc 16,31). È del tutto vero, fratelli: nemmeno oggi i giudei si lasciano convincere a credere nel Risorto perché non hanno ascoltato Mosè e i Profeti, poiché se avessero voluto ascoltarli, avrebbero trovato negli scritti di quelli che era stato predetto ciò che ora si è adempiuto e che rifiutano ancora di credere. Quello dunque che abbiamo detto dei giudei, diciamolo di noi per evitare che, mentre badiamo agli altri, cadiamo anche noi nella stessa empietà. Il Vangelo, carissimi, non viene letto dai giudei; da essi vengono letti solo gli scritti di Mosè e dei Profeti, ch'essi però non vogliono ascoltare; se invece volessero ascoltarli, crederebbero nel Cristo, poiché Mosè e i Profeti hanno preannunciato che sarebbe venuto il Cristo. Quando dunque si legge il Vangelo, cerchiamo di non essere come sono essi quando vengono loro letti gli scritti dei Profeti, poiché il Vangelo, come ho detto, non viene letto presso di loro, ma solo presso di noi.

È salutare per noi l'esempio del ricco epulone
3. Ecco, avete udito or ora dal Vangelo due specie di vita: l'una presente, l'altra futura; la presente la possediamo, la futura la crediamo: siamo nella presente, non siamo giunti alla futura. Mentre siamo nella presente, cerchiamo di procurarci la ricompensa di quella futura, poiché non siamo ancora morti. Si legge forse il Vangelo nell'inferno? Anche se laggiù venisse letto, quel ricco lo avrebbe udito inutilmente, poiché non poteva più essere fruttuoso il pentimento. A noi invece viene letto e da noi viene ascoltato qui sulla terra ove, finché viviamo, possiamo correggerci, per non andare a finire in quei tormenti. Crediamo o non crediamo ciò che si legge? Lontano da noi il pensare della Carità vostra che non crediate; poiché siete cristiani e non lo sareste, se non credeste al Vangelo di Dio. Poiché dunque siete cristiani, è evidente che credete al Vangelo. Abbiamo udito ciò ch'è stato letto poc'anzi: C'era un ricco, certamente superbo, che sicuramente si vantava delle ricchezze, il quale indossava abiti di porpora e di bisso e faceva ogni giorno festa con splendidi banchetti (Lc 16,19). C'era pero un mendicante chiamato Lazzaro, tutto coperto di piaghe, seduto presso la porta del suo palazzo; perfino i cani andavano a leccargli le piaghe, e desiderava di sfamarsi con gli avanzi che cadevano dalla mensa del ricco (Lc 16,21), ma non ci riusciva. Ecco il peccato del ricco, consistente proprio nel fatto che quel povero desiderava, senza riuscirci, di sfamarsi con gli avanzi, mentre si sarebbe dovuto fargli parte del cibo necessario a un uomo. Quel ricco dunque, se avesse avuto compassione di quel povero seduto davanti alla porta del suo palazzo e avesse voluto usargli misericordia con le sue ricchezze, sarebbe andato pure lui ov'era andato anche quel povero. Poiché non è vero che fu la povertà a condurre quel Lazzaro al riposo e non l'umiltà; o al contrario che fu la ricchezza a tener lontano da quel riposo tanto felice quel ricco e non la superbia e l'incredulità. Ora, perché sappiate che quel ricco sulla terra era stato incredulo, lo proviamo con le sue stesse parole da lui pronunciate nell'inferno. Fate attenzione. Voleva che uno dei morti andasse ad annunciare ai suoi fratelli come si sta nell'inferno; ma ciò non gli fu concesso poiché Abramo gli rispose: Hanno gli scritti di Mosè e dei Profeti, ascoltino quelli; egli allora: No, padre Abramo - disse - ma se andrà uno di qui dall'inferno, si lasceranno convincere (Lc 16,29-30). In tal modo dimostrò che anch'egli, quand'era sulla terra, non credeva a Mosè e ai Profeti, ma desiderava che uno risorgesse dai morti per lui. Considerate ora individui di tal genere e riflettete ove andranno a finire. L'esempio di questo ricco ci fa capire se avete fede. Quanti sono coloro che adesso dicono: "Trattiamoci bene, finché viviamo: mangiamo e beviamo e godiamo dei piaceri di questa vita. Che cos'è quello che ci si viene a dire che sarà dopo? Chi è tornato qua di lì? Chi di lì è tornato qua risuscitato?". Questi sono i discorsi che si fanno; così diceva quel ricco, ma ciò che non credeva da vivo lo sperimentò da morto. Sarebbe stato meglio che da vivo si fosse corretto utilmente, anziché da morto fosse tormentato senza profitto.

Essendo stati preavvisati a sufficienza sugli eventi futuri non abbiamo scusa di sorta
4. Ora dunque dobbiamo correggere quelle espressioni, se per caso c'è tra noi qualcuno ch'è solito parlare così. Poiché Dio non ci mostra adesso le realtà che ci comanda di credere; non ce le fa vedere perché ci sia il merito della fede. In effetti, se ce lo manifestasse, quale merito avremmo di credere? Ciò non sarebbe più credere ma vedere. È meglio per te che Dio non te lo faccia vedere, affinché tu creda. Ti comanda ciò che devi credere, ti riserba ciò che potrai vedere. Se però non crederai quando ti comanda d'aver fede, non ti serba la sua visione, ma ti è riserbata la sorte per la quale quel ricco soffriva i tormenti nell'inferno. Allorché dunque verrà Gesù Cristo, nostro Signore e Salvatore, il quale adesso viene annunciato essere venuto in modo che si spera che verrà ancora una seconda volta, verrà con la rimunerazione per i credenti e per gli increduli: darà il premio ai credenti e manderà gli increduli nel fuoco eterno. Egli inoltre così ha detto nel Vangelo, in qual modo cioè verrà a giudicare alla fine dei tempi: metterà alcuni alla destra, altri alla sinistra e farà la distinzione tra tutte le genti, come un pastore separa le pecore dai capri; i giusti staranno alla destra, gli empi alla sinistra; ai giusti dirà: Venite, benedetti dal Padre mio, prendete possesso del regno, preparato per voi dal principio del mondo (Mt 25,34); agli empi invece e agli increduli: Andate nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e i suoi angeli (Mt 25,41). In che cosa maggiormente avrebbe potuto giovarti il giudice, che dicendoti la sua sentenza definitiva, perché tu sia in grado di non incapparvi? Fratelli miei, chi minaccia non vuol colpire, poiché, se ti sorprendesse, ti colpirebbe anche. Chi dice: "Sta' in guardia " non vuol trovare uno per colpirlo. Sono gli uomini a procurarsi le ferite, a procacciarsi le pene, poiché non vogliono credere a Dio, che da tanto tempo dice loro: "State in guardia". E per vero quale castigo riceve sulla terra chi commette un fallo? Forse qualche afflizione, qualche grande avversità, che ha lo scopo di punirlo o di metterlo alla prova. Uno infatti viene punito a causa dei suoi peccati perché non cada in castighi più gravi qualora non fosse punito; oppure viene messa alla prova la fede di ciascuno, per vedere come sopporta o con quale pazienza rimane sotto la sferza del Padre, senza recriminare il Padre che lo castiga, e godendo delle sue carezze ma in modo da ringraziarlo anche quando lo castiga, poiché punisce tutti coloro ch'egli riconosce come figli (Eb 12,6). Quanti supplizi patirono i martiri, quanti dolori sopportarono! Quali catene, quali squallori, quali carceri, quali tormenti, quali fiamme, quali fiere, quali specie di morte! Ma riuscirono a superare tutte le prove. Vedevano infatti con lo spirito una visione così splendida, che non si curavano di ciò che vedevano con il corpo: avevano l'occhio della fede che si rivolgeva verso le realtà future, trascuravano quelle presenti. Se invece uno ha l'occhio della fede spento, si spaventa dei mali presenti e non arriva ai beni futuri.

La nostra fede dev'essere confermata dagli eventi già avveratisi e da quelli promessi da Dio
5. V'è dunque la fede che viene confermata in noi. Chi adesso non vuol credere che Cristo nacque dalla Vergine Maria, patì e fu crocifisso, dovrebbe credere ai giudei ch'egli esistette e fu ucciso, dovrebbe credere al Vangelo che nacque da Maria vergine ed è risuscitato. Ha motivi per credere. Neppure i nostri avversari, i giudei, osano affermare: "Cristo non visse tra il nostro popolo", oppure: "Non è mai esistito questo non so quale individuo adorato dai cristiani". "È esistito – affermano essi – e i nostri avi lo hanno ucciso ed è morto in quanto era solo un uomo". Se i fatti seguiti alla sua morte li troviamo predetti dai Profeti, che cioè tutto il mondo sarebbe diventato suo seguace, che lo avrebbero adorato tutti i popoli e tutte le stirpi dei popoli (Cf. Sal 21,28), che si sarebbero sottomessi al suo giogo anche tutti i re, e dopo la sua morte vediamo adempiuto tutto ciò ch'era stato predetto prima della nascita di Cristo, quanto c'inganneremo se ci rifiuteremo di credere tutto il resto, vedendo che molte profezie sono state adempiute a nostro riguardo! In effetti, fratelli, noi stessi, non solo noi cristiani che siamo qui, noi siamo adesso tutto il mondo. Non lo eravamo pochi anni fa; ed è un miracolo il fatto che ciò che non erano per tanti secoli, lo siano invece adesso. Il fatto si legge nei Profeti; troviamo ch'è stato predetto perché non pensassimo che sia avvenuto per caso. Con ciò infatti la nostra fede aumenta, è confermata, è rafforzata. Nessuno potrà dire: "È un avvenimento inaspettato". Perché? Un fatto simile non s'è mai avverato sulla terra. Talvolta nelle Scritture Dio si riteneva debitore rispetto a loro, ma avrebbe soddisfatto il debito a suo tempo. Ma di che cosa era debitore Dio? Aveva forse ricevuto un prestito da qualcuno, lui che a tutti dà tutto in misura sovrabbondante, lui che creò individui a cui potesse dare?
Non vi erano infatti neppure gli stessi uomini ai quali potessero esser dati alcuni benefici. Potrebbe forse uno dire: "Dio ha concesso questi beni ai miei meriti"? Secondo te Dio concesse queste grazie ai tuoi meriti. Ma perché tu esistessi a chi lo concesse? Che cosa ha concesso a te che non esistevi? Che tu esistessi per pura grazia, poiché non avevi acquistato alcun diritto all'esistenza prima di esistere. Credi a lui che s'è degnato di darti per pura grazia anche tutto il resto. Abbiamo dunque la grazia di Dio e tutto il mondo aveva in certo qual modo come debitore Dio, o meglio non lo aveva come debitore poiché ignorava l'impegno scritto ch'era stato preso. Dio s'era fatto debitore a causa della sua promessa, ma non per aver preso un prestito. Poiché in due modi uno è chiamato debitore: se deve restituire ciò che ha preso, oppure mantenere una promessa. Di ciò che Dio promise non può dirsi: "Devi restituirlo" – in quanto non ha preso nulla dall'uomo Colui che all'uomo ha dato tutto – per questo motivo resta ch'è debitore solo perché s'è degnato di promettere.

Le promesse di Dio riguardo al popolo ebraico discendente da Abramo, del quale viene esaltata la fede
6. Questa promessa si trova nelle Scritture, quelle Scritture ch'erano proprie del solo popolo giudaico, che Dio scelse per nascere dalla carne del suo servo, del suo fedele, che credeva in lui. Ma anche quel popolo, in che modo ebbe origine? Da Abramo già vecchio e da Sara ch'era sterile; perché fosse partorito, perché nascesse lo stesso Isacco, dal quale proviene il popolo dei giudei, si compie un miracolo. Il vecchio non sperava nulla dalle sue membra né osava augurarsi nulla dalla sterilità di sua moglie. Ciò su cui non faceva alcun assegnamento, glielo offrì Dio e prestò fede a Dio che glielo dava, mentre non aveva osato chiederlo a Dio. Prestò fede a Dio, gli nacque un figlio dal quale ebbe fede che sarebbe nata un'innumerevole discendenza, e tuttavia Dio gli chiese in sacrificio lo stesso figlio. Abramo però aveva tanta fede, che non esitò a offrire in sacrificio a Dio l'unico suo figlio, a proposito del quale aveva ricevuto la promessa. Forse che esitò e disse a Dio: "Signore, tu mi hai concesso come una grazia straordinaria un figlio nella mia vecchiaia; avuto riguardo a ferventi preghiere, in vista d'una grande gioia, m'è nato insperatamente un figlio, e tu esigi ch'io lo uccida? Non era forse meglio che non me lo avessi dato, anziché togliermelo una volta che me lo avevi dato?". Non disse così, ma ebbe fede ch'era utile qualunque cosa capiva che Dio voleva. Ecco la vera fede, fratelli miei. Certamente quel povero fu trasportato in cielo fino al seno d'Abramo, mentre quel ricco fu gettato nei tormenti dell'inferno. Perché sappiate che la ricchezza non è colpevole, ricco era Abramo, nel seno del quale riposava Lazzaro. Egli era ricco sulla terra, come c'informa la Scrittura: aveva in abbondanza oro, argento, bestiame e molti servi; era ricco ma non era superbo. Perché sappiate che quel ricco era tormentato per la sola superbia, era tormentato solo a causa dei suoi vizi. Erano stati proprio questi a meritargli il castigo, non le ricchezze concesse da Dio; poiché le ricchezze date da Dio sono buone a chiunque siano concesse; chi dunque se ne serve bene, guadagna il premio, chi al contrario se ne serve male, riceve il castigo. Riflettete però in qual modo Abramo possedeva le ricchezze. Le conservava forse per i suoi figli? Se al comando di Dio egli offrì lo stesso figlio, in qual modo disprezzò le ricchezze!

La fedeltà di Dio nel mantenere le promesse e la dissennatezza degli idolatri
7. Rimaneva dunque ignota ai giudei questa Scrittura in cui Dio si era fatto debitore con le sue promesse. Venne nostro Signore Gesù Cristo, nato secondo la stessa Scrittura, perché nato secondo la promessa della medesima Scrittura; patì secondo la stessa Scrittura, idolatri poiché da essa era stato predetto che avrebbe patito; risuscitò secondo la stessa Scrittura, poiché da essa era stato predetto che sarebbe risorto; ascese al cielo secondo la stessa Scrittura, poiché da essa era stato predetto che sarebbe asceso al cielo. Dopo essere asceso al cielo ignorato dai giudei, mandò i suoi Apostoli a tutti i popoli e in certo qual modo svegliò dal sonno coloro che dormivano, dicendo: "Alzatevi, prendete ciò che vi è dovuto e che un tempo vi è stato promesso". Chi è che sveglia il proprio creditore e gli dà ciò che gli deve? Non furono infatti i popoli ad alzarsi per il fatto d'avere Dio come debitore, ma furono essi a venire chiamati; cominciarono a esaminare attentamente la Scrittura e a trovarvi che ciò che ricevevano era già stato loro promesso. Ricevettero Cristo promesso e dato; ricevettero la grazia di Dio, lo Spirito Santo promesso e concesso; ricevettero la stessa Chiesa diffusa tra tutti i popoli, promessa e avverata. Dio aveva promesso che avrebbe abbattuto gl'idoli adorati dai pagani; ciò si legge nelle Scritture, si trova in esse. Voi costatate che Dio ha compiuto ai nostri tempi ciò che aveva promesso tante migliaia d'anni prima. In realtà gli uomini, da Colui che li aveva creati, s'erano rivolti a ciò che avevano fatto essi; ma poiché il Creatore è sempre superiore a ciò che crea, Dio è superiore non solo all'uomo da lui fatto, ma a tutti gli Angeli, Virtù, Potestà, Sedi, Troni, Dominazioni, poiché tutto è stato creato da lui; allo stesso modo è inferiore all'uomo stesso tutto ciò ch'è fatto dall'uomo. Gli uomini erano stati condotti a tanta pazzia da adorare un idolo, mentre avrebbero dovuto essere condannati se avessero adorato l'artefice che aveva fatto l'idolo. È evidente, fratelli, che l'artefice è superiore all'idolo fatto da lui; ora gli uomini, pur essendo da detestare se adorassero l'artefice, adorano l'idolo stesso fatto dall'artefice. Dovrebbero essere esecrati per il fatto che adorano un artefice, ma sarebbero migliori di quelli che adorano un idolo. Se dunque sono riprovati i migliori, quanto più dovrò biasimare i peggiori? Ma se ho affermato che deve riprovarsi chi adora l'artefice, quanto più dev'esser biasimato chi abbandona l'artefice e adora l'idolo, proprio perché abbandona colui ch'è superiore, e si volge a uno ch'è inferiore? Ma qual è il superiore ch'egli ha abbandonato dapprima? È Dio, dal quale egli è stato fatto. Va cercando l'immagine di Dio? La possiede in se stesso, poiché un artigiano non può fare l'immagine di Dio, mentre Dio ha potuto fare l'immagine propria. Egli poi non ha fatto un altro oggetto per te, ma ha fatto te stesso a immagine propria. Tu però adorando l'immagine d'un uomo fatta da un artigiano, fai a pezzi l'immagine di Dio che Dio ha impressa in te stesso. Quando perciò t'invita a tornare, ti vuol restituire quell'immagine che tu stesso hai guastato e offuscato stropicciandola in certo qual modo con le passioni terrene.

Dio ricerca la propria immagine nell'anima, come Cesare nella moneta
8. Ecco perché fratelli, Dio ci richiede la sua immagine: questo richiamò alla memoria di quei giudei quando gli presentarono la moneta (Cf. Mt 22,19). Infatti, quando gli chiesero: Signore, è lecito pagare le tasse a Cesare? (Mt 22,17) volevano anzitutto metterlo alla prova, in modo che, se avesse risposto ch'era lecito, l'avrebbero accusato a torto di volere che Israele fosse nella maledizione perché avrebbe voluto che fosse soggetto al tributo, fosse cioè sottomesso all'imperatore, affinché pagasse le imposte. Se invece avesse risposto che non era lecito pagare le tasse, lo avrebbero accusato falsamente di aver insegnato a contravvenire agli ordini di Cesare, di avere istigato a non pagare le tasse a chi erano dovute, poiché erano stati sottomessi. Vide che volevano metterlo alla prova ma essendo la verità, vide la falsità e in breve mise a nudo la menzogna con le parole stesse dei mentitori. Egli infatti non pronunciò contro di loro la sentenza con la sua bocca, ma fece sì che la pronunciassero loro contro se stessi, poiché sta scritto: Saranno le tue parole a farti riconoscere innocente o a farti condannare (Mt 12,37). Ipocriti! Perché mi tentate? disse. Mostratemi la moneta. Gliela mostrarono. Di chi è l'immagine e l'iscrizione [ch'essa porta impresse]? Gli risposero: Di Cesare. Ed egli: Date a Cesare quel ch'è di Cesare, e a Dio quel ch'è di Dio (Mt 22,18-21). Come Cesare esige la sua immagine sulla tua moneta, così Dio esige la propria immagine nell'anima tua. Da' a Cesare – dice – quello ch'è di Cesare. Che cosa esige da te Cesare? La propria immagine. Che cosa esige da te Dio? La propria immagine. Ma l'immagine di Cesare è sulla moneta, quella di Dio invece è in te. Se, quando perdi la moneta, piangi perché hai perso l'immagine di Cesare, quando adori l'idolo non dovresti piangere, perché fai ingiuria in te all'immagine di Dio?

Quante promesse di Dio sono state già mantenute
9. Tenete dunque ben a mente, fratelli, le promesse di Dio nostro Signore e in base al numero delle sue promesse calcolate quante ne ha già adempiute. Cristo non era ancora nato ma era già stato promesso nella Scrittura; la promessa riguardante lui fu adempiuta e nacque. Ancora non aveva patito, non era ancora risorto; ma anche ciò fu adempiuto; dopo aver patito ed essere stato crocifisso, risuscitò. La sua passione è il nostro guadagno, il suo sangue è il nostro riscatto. Ascese al cielo come aveva promesso: ed anche ciò lo adempì. Diffuse il Vangelo per tutto il mondo: volle che i Vangeli fossero quattro, perché mediante il numero quattro fosse indicato il mondo intero, dall'Oriente all'Occidente, dal Settentrione al Meridione. Volle avere dodici Apostoli perché apparissero distribuiti in certo qual modo a tre a tre per [ciascuna delle] quattro [parti del mondo]; poiché il mondo è stato chiamato nella Trinità, nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo. Adempì questa promessa; inviò il Vangelo, come aveva predetto: Quanto sono belli i piedi di coloro che annunciano il Vangelo e la pace, che annunciano buone notizie (Rm 10,15), come aveva predetto: Non vi sono parole né discorsi dei quali non si oda la voce. Il loro suono si è diffuso per tutta la terra e le loro parole sino ai confini della terra (Sal 18,4-5). Come aveva detto, così lo inviò: il Vangelo viene raccontato per tutto il mondo. Anche la Chiesa soffrì da principio la persecuzione; Dio adempì la predizione che ci sarebbero stati dei martiri. Leggi l'impegno scritto: Preziosa agli occhi del Signore la morte dei suoi servi fedeli (Sal 115,15). Suscitò anche i martiri poiché anch'essi egli aveva predetto. Che cosa di poi doveva adempirsi? Lo adoreranno tutti i re della terra (Sal 71,11). Abbracciarono la fede cristiana anche i re, i quali in principio avevano fatto i martiri con la persecuzione; vediamo dunque anche adesso che i re son diventati credenti. Adempì anche un'altra predizione, che cioè sarebbero stati fatti a pezzi gl'idoli per ordine dei capi di Stato, per ordine dei quali in principio i cristiani venivano uccisi. Ha eliminato anche gl'idoli poiché l'aveva predetto: Anche degl'idoli dei pagani sarà fatta giustizia (Sap 14,11). Poiché dunque, fratelli, Dio ha mantenuto tante promesse, perché non gli crediamo? È forse Dio un debitore incapace? Se non ci avesse ancora mantenuto affatto alcuna promessa, avremmo dovuto crederlo un debitore idoneo dal momento che ha fatto il cielo e la terra; egli infatti non era destinato a diventar povero per cui non avrebbe avuto il mezzo per pagare il debito, né può ingannare essendo la Verità in persona. Oppure è forse Dio una potenza così limitata che gli possa capitare di non avere il tempo di mantenere le promesse?

L'eroica fede di Abramo esempio per noi
10. È giusto, fratelli, che si presti fede a Dio prima che ci dia qualcosa da lui promesso, poiché egli non può certamente né mentire pio per noi né ingannare: egli è Dio. Così credettero a lui i nostri padri. Così credette a lui Abramo. Ecco la fede veramente lodevole e degna d'essere proclamata altamente. Abramo non aveva ricevuto nulla da Dio, eppure credette a lui che gli faceva la promessa; noi invece, che abbiamo ricevuto tanti benefici, non gli crediamo ancora. Gli poteva forse dire Abramo: "Credo perché mi hai promesso quel tal dono o me lo hai dato"? Egli credette a Dio appena avuto l'ordine senza aver ricevuto nessun'altra simile cosa. Parti dalla tua terra, gli fu detto, dal tuo paese nativo e va' nella terra ch'io ti darò (Gen 12,1). Egli credette subito, ma Dio non gli diede la terra promessa, bensì la riserbò alla sua discendenza. E che cosa promise alla sua discendenza? Grazie al tuo discendente saranno benedette tutte le genti (Gen 22,18). Il suo discendente è Cristo; poiché da Abramo nacque Isacco, da Isacco Giacobbe, da Giacobbe dodici figli, dai quali ebbe origine il popolo giudaico, dal popolo giudaico nacque la Vergine Maria, dalla Vergine Maria nacque nostro Signore Gesù Cristo. In tal modo nostro Signore Gesù Cristo è diventato il discendente di Abramo, e la promessa fatta ad Abramo la troviamo adempiuta nei nostri riguardi: Grazie al tuo discendente – dice la Scrittura - saranno benedette tutte le nazioni. Credette a questa promessa prima di costatare alcunché di simile; credette senza vedere adempiuta la promessa. Noi invece vediamo la realtà di ciò ch'era stato promesso ad Abramo, ma si sarebbe avverato tutto ciò che a lui veniva promesso. Che cosa Dio non ha ancora adempiuto? Ha predetto che in questo mondo ci sarebbero state sofferenze, che i suoi santi e i suoi fedeli si sarebbero trovati nelle tribolazioni e avrebbero prodotto frutto mediante la sofferenza e noi lo costatiamo; ecco perché siamo oppressi dalle stesse afflizioni. Quali calamità non sono state ancora predette? Non dovete pensare, fratelli, che il fatto che ora vedete andare in rovina il mondo, non stia scritto nella Sacra Scrittura. Sta scritto tutto, e ai cristiani sono state preannunciate non solo le sofferenze, ma soprattutto i beni futuri, poiché si sono avverate le sciagure ch'erano state predette sarebbero accadute. Se infatti non si fossero avverati i mali preannunciati, ci avrebbero tolto la credibilità relativa ai beni promessi; ma si sono avverate prima le sventure affinché credessimo che avrà luogo la felicità.

Due paragoni sul dovere di sopportare le avversità
11. Adesso il mondo è come un frantoio, si trova nelle tribolazioni; se quindi tu sei morchia, vai a finire nelle fogne; se invece sei olio, rimani nell'anfora. È infatti inevitabile che vi siano afflizioni. Osservate però la morchia e l'olio. Nel mondo si verifica talora una tribolazione, come per esempio la fame, la guerra, la mancanza di mezzi, la carestia, la povertà, l'epidemia, la rapina, la bramosia di denaro; sono le afflizioni dei poveri, le sofferenze delle città; son cose che abbiamo sotto gli occhi. Non solo è stato predetto che ci sarebbero state, ma le vediamo anche avverate. Troviamo gente che in mezzo a tali afflizioni si lamenta e dice: "Ecco, quante sciagure ci sono nell'epoca cristiana! Quanta abbondanza di beni c'era prima dell'era cristiana! Non c'erano tante sventure". Ecco la morchia ch'esce dalla pigiatura e scorre attraverso le fogne; la sua bocca è nera perché bestemmia, non risplende. L'olio invece riluce. Si trova però un'altra persona sottoposta alla stessa pigiatura e alla stessa trebbiatura che l'ha trebbiata; non è forse la stessa trebbiatura a cui è stata sottoposta l'altra? Avete udito le parole della morchia, ascoltate ora quelle dell'olio: "Sia ringraziato Dio! Sia benedetto il tuo nome! Tutte queste sventure, con cui tu ci castighi, erano state predette: siamo sicuri che verranno anche i beni. Quando noi siamo puniti insieme con i cattivi, si compie la tua volontà. Sappiamo che sei un padre "che prometti ma che usi anche la sferza: istruiscici con il castigo e rendici l'eredità che ci hai promessa alla fine. Benediciamo il tuo nome santo poiché tu non sei stato in nessun caso bugiardo: hai mostrato con i fatti tutto ciò che hai promesso". Con queste lodi, che sgorgano dalla stessa sventura come da una pigiatura, l'olio scorre nelle anfore. Ma se il frantoio è tutto questo mondo, si trova tuttavia nella Scrittura anche un altro paragone: Come l'oro e l'argento sono messi alla prova dal fuoco d'una fornace, così i giusti sono messi alla prova dalla tentazione della tribolazione (Prov 27, 21; Sir 2, 5). Si porta anche un paragone tratto dal crogiolo dell'orefice. Con lo stretto crogiolo si trovano in relazione il fuoco, l'oro e la paglia. In tutto ciò può vedersi un'immagine di tutto il mondo: si trovano in esso la paglia, l'oro e il fuoco: la paglia si brucia, il fuoco arde, l'oro viene saggiato. Così anche in tutto questo nostro mondo ci sono i buoni e i cattivi, c'è la tribolazione; il mondo è come il crogiolo d'un orefice; i buoni sono come l'oro, gli empi come la paglia, la tribolazione è come il fuoco. Si potrebbe forse raffinare l'oro se la paglia non bruciasse? Succede che gli empi sono ridotti in cenere; poiché bestemmiano e lanciano critiche contro Dio, vengono ridotti in cenere. Nel crogiolo l'oro ch'è stato affinato - cioè i giusti che sopportano con pazienza tutte le molestie di questo mondo e lodano Dio nelle loro tribolazioni -, l'oro affinato viene riposto negli scrigni di Dio; Dio infatti ha dei forzieri per mettervi l'oro purificato; egli però ha pure degli immondezzai per depositarvi la cenere della paglia. Da questo mondo esce tutto. Tu considera che cosa sei, poiché è inevitabile che venga il fuoco. Se troverà che sei oro, ti porterà via le scorie; se troverà che sei paglia, ti brucerà e ti ridurrà in cenere. Tocca a te scegliere che cosa vorrai essere. Poiché non puoi dire: "Non sarò toccato dal fuoco" in quanto sei già nel crogiolo dell'orefice sotto il quale è inevitabile sia messo il fuoco. A maggior ragione è necessario che ti trovi nel crogiolo, perché non potrai sfuggire affatto al fuoco.

Dobbiamo approfittare della pazienza di Dio e imitarla
12. Perché mai dunque, fratelli, non crediamo che verrà non solo la fine del mondo ma anche il giorno del giudizio affinché ciascuno di noi riceva allora quel che gli sarà dovuto secondo il bene o il male fatto durante la sua vita (Cf. 2Cor 5,10), dal momento che tante cose promesse le vediamo rese visibili con i fatti e realizzate? Perché non scegliamo per noi, finché viviamo, la possibilità di arrivare ove potremo vivere sempre? Se per caso siamo stati negligenti adesso cerchiamo d'essere diligenti. Non dobbiamo essere negligenti. Non si sa come sarà domani. La pazienza di Dio ci ammonisce di correggere noi e la nostra vita se è stata cattiva e di scegliere le cose migliori finché c'è tempo. Credete forse che Dio dorma e non veda chi fa il male? Ma forse c'insegna la pazienza e dimostra per primo la pazienza. Trova un uomo che forse è progredito e non fa ciò che prima faceva, cioè il male. Costui è afflitto da un malvagio e desidera che Dio lo tolga di mezzo; per questo protesta contro Dio perché tiene ancora in vita il proprio nemico che gli fa del male e non lo toglie di mezzo. Costui ha dimenticato che Dio ha usato pazienza verso di lui stesso e che, se prima avesse voluto agire severamente, non ci sarebbe uno che potesse parlare. Tu esigi da Dio la severità? Poiché tu sei passato al bene, passi anche l'altro; non hai tagliato il ponte della misericordia di Dio per il fatto che tu sei già passato al bene; c'è chi potrebbe ancora passare. Ti ha reso buono quando eri cattivo: Dio vuole che anche un altro da cattivo diventi anch'egli buono, come tu da cattivo ch'eri sei divenuto buono. Così tutti arrivano a convertirsi secondo le proprie disposizioni; ma mentre alcuni vi giungono, altri rifiutano d'arrivarci. Agl'individui di tal fatta l'Apostolo dice: Ma tu, a causa della tua ostinazione e della tua volontà non disposta a cambiar vita, accumuli su di te la collera di Dio per il giorno del castigo nel quale si manifesterà la giusta sentenza di Dio, il quale pagherà ciascuno per le opere che avrà fatto (Rm 2, 5). Per conseguenza se un malvagio vuole perseverare nel male, non sarà tuo compagno, ma sarà solo uno che ti mette alla prova; se infatti egli è cattivo e tu sei buono, sopportando lui cattivo tu ti farai riconoscere d'essere buono; in tal modo tu riceverai il premio della tua pazienza di cui hai dato prova, quello invece avrà il castigo della sua ostinazione nel male. Per sapere poi come si comporta Dio, aspettiamo con pazienza la sua salutare pazienza, le sue paterne correzioni. Egli e padre, è benigno, è clemente; se ci lascerà vivere da dissoluti, allora sarà più adirato contro di noi.

Nelle avversità dobbiamo affidarci a Dio senza lamentarci
13. Riflettete bene, fratelli, e considerate gli anfiteatri che oggi vanno in rovina. Sono stati edificati dalla dissolutezza: credete forse che fossero edificati dal sentimento religioso? No: sono stati costruiti solo dalla dissolutezza d'individui empi. Non desiderate forse che cadano una buona volta le costruzioni edificate dalla lussuria e s'innalzino gli edifici costruiti dal timor di Dio? Orbene, quando questi edifici venivano costruiti, Dio lo permise affinché gli uomini conoscessero il male ch'essi compivano. Ma siccome non volevano conoscere il loro male, venne il Signore Gesù Cristo: prese a denunciare i loro peccati e ad abbattere ciò che stimavano un gran bene; ma ora si dice: "Tristi sono i tempi cristiani!" Perché? Perché ti si abbattono gli edifici dove trovavi la morte. "Ma quando essi venivano costruiti – dicono – abbondava ogni bene". Sì, è vero, ma perché quegli edifici servissero a fare del bene. Se dunque comprendi che Dio ti diede una volta l'abbondanza, e ne hai fatto cattivo uso, anzi te ne sei servito per la tua perdizione, devi capire che quell'abbondanza ti fece vivere da licenzioso e ti fece perdere l'anima tua. Non è forse venuto il padre severo e ha detto: "Questo ragazzo è indisciplinato; gli ho affidato questo o quello; come mai ha mandato a male questo e quello"? Se noi alla terra – se non è buona – non affidiamo il seme, affinché non vada a male, perché volete che Dio dia la sua abbondanza per usarla male a noi che siamo ribelli alla sua legge e trascuriamo, la nostra vita, e non volete che Dio tagli d'un colpo la dissolutezza degli uomini? Fratelli miei, Dio è un medico e sa troncare un membro putrefatto perché non si corrompano altre parti del corpo. Viene troncato – si dice – un solo dito dal corpo, poiché è meglio che manchi un dito anziché imputridisca tutto il corpo. Se fa così un medico mortale, se l'arte della medicina amputa una parte delle membra perché non marcisca tutto il resto, perché Dio non dovrebbe amputare negli uomini tutto ciò che sa essere putrefatto, affinché arrivino alla salvezza?.

Esortazione alla pazienza
14. Non dovete rattristarvi, fratelli, perché Dio vi castiga, per evitare che egli vi abbandoni e andiate a finire nella punizione eterna, ma preghiamolo di moderare gli stessi castighi e di mitigarli per non essere schiacciati sotto il loro peso; preghiamolo inoltre che ci corregga salutarmente, ci metta alla prova e ci dia poi ciò che ha promesso ai suoi servi fedeli. Considerate che cosa dice la Scrittura: Il peccatore ha irritato il Signore; a causa della sua grande ira non indagherà (Sal 10,4). Che vuol dire: A causa della sua grande ira non indagherà? Perché è molto sdegnato, non indagherà, cioè li lascerà perire. Se dunque è molto sdegnato quando non indaga è anche molto misericordioso quando ci fa soffrire; ci fa poi soffrire quando ci castiga, quando fa aderire il nostro cuore a lui. Atteniamoci dunque alla salvezza che ci viene da lui e non rifuggiamo dai suoi castighi; è questo ch'egli c'insegna, a questo ci esorta, con ciò egli fa crescere la nostra virtù. Lo stesso suo Figlio, che venne per consolarci, qual bene riportò quaggiù? Ditemelo voi. Egli è senza dubbio il Figlio di Dio, il Verbo di Dio, per mezzo del quale Dio ha creato ogni cosa (Cf. Gv 1,3), eppure qual bene riportò quaggiù? Non è forse proprio lui quello che, mentre scacciava i demoni, riceveva tali ingiurie da sentirsi dire: Tu hai un demonio (Gv 7,20)? Al Figlio di Dio, che scacciava i demoni, i giudei dicevano: Tu hai un demonio. Erano dunque migliori di loro i demoni, che lo riconoscevano come Figlio di Dio, mentre i giudei non lo riconoscevano. Ma tanta era la sua potenza, la sua forza, tanta era la sua pazienza, che sopportava tutto. Fu flagellato, sentì gli insulti, fu schiaffeggiato, fu sputacchiato sulla faccia, fu incoronato di spine, fu crocifisso, alla fine fu sospeso sulla croce, fu schernito, deriso, fu ucciso, seppellito. Il Figlio di Dio sopportò quaggiù tanti oltraggi: se li sopportò il Signore, quanto più deve sopportarli il servo? se li sopportò il maestro, quanto più deve sopportarli il discepolo? Se lo fece chi ci ha creati, quanto più dovremo farlo noi, sue creature? Egli, per darci l'esempio, ci lasciò quello della pazienza. Per qual motivo ci perdiamo d'animo proprio quando dovremmo aver pazienza, come se avessimo perduto il nostro capo che ci ha preceduti nel cielo? Il nostro capo ci ha preceduti nel cielo per questo motivo, quasi dicendoci: "Ecco la via da seguire; venite attraverso le molestie e la pazienza; questa è la strada che vi ho insegnata. Ma dove conduce la via per la quale mi vedete salire? In cielo.
Chi non vuol camminare per essa, non vuole arrivare lassù; chi vuole arrivare da me, venga per la via che ho mostrato. Non potrete dunque arrivare se non per la via delle molestie, delle afflizioni, delle tribolazioni, delle angustie". Solo così arriverai al riposo, che non ti sarà mai tolto. Vuoi invece questo riposo di breve durata e abbandonare la via del Cristo? Considera i tormenti di quel ricco gaudente ch'era tormentato nell'inferno; anch'egli infatti desiderava il riposo presente, ma trovò le pene eterne. Fratelli carissimi, preferite le cose piuttosto sgradevoli, che arrecheranno con sé un riposo senza fine in eterno. Rivolti al Signore.

(Agostino, Discorso 113/A. Discorso tenuto a Ippona Diarrito nella basilica del santo martire Quadrato, la domenica 25 settembre, PL 46, 921-932)

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2. Omelia sul povero Lazzaro e sul ricco che indossava abiti di porpora e di bisso

Il Vangelo ci atterrisce per farci cambiar vita
1. Se in questa vita ci spaventerà salutarmente il brano del santo Vangelo ch'è stato letto, nessuno ci spaventerà dopo questa vita; poiché il frutto del timore è la correzione; non ho detto infatti solo: se c'incuterà terrore la Sacra Scrittura, ma se c'incuterà un terrore salutare; in realtà molti sanno sentire terrore ma non sanno cambiar vita. Ora, che c'è di più sterile d'un timore infruttuoso? In realtà da quanta paura fu preso e cominciò a tremare il cuore di noi tutti all'udire come quel ricco superbo che aveva disprezzato il povero che giaceva presso la porta del suo palazzo, nell'inferno era tormentato fino al punto che a nulla poterono giovargli neppure le preghiere e le suppliche e gli fu risposto, non crudelmente ma giustamente, che non gli si poteva recare aiuto! Poiché, allorquando la misericordia di Dio lo avrebbe aiutato se si fosse convertito, trascurò l'impunità e meritò i tormenti. Mentre era superbo, era stato risparmiato e godeva nell'ostentazione delle sue ricchezze non pensando ai tormenti futuri, poiché a causa della superbia né credeva a essi né li temeva. Alla fine tuttavia andò a finire nei tormenti. Ma che vuol dire: "alla fine"? Quanta era infatti la durata del suo prestigio e della sua superbia? Quant'è la durata d'un fiore d'erba, come avete sentito poc'anzi la citazione della profezia ricordata mentre si leggeva la lettera dell'apostolo Pietro: Ogni carne è come l'erba e la gloria dell'uomo è come un fiore d'erba; l'erba si secca e il fiore appassisce, ma la parola del Signore rimane in eterno (1Pt 1,24).

Il Verbo di Dio prese la nostra "erba"
2. Dunque, anche se questa nostra carne indossasse abiti di porpora e di bisso, che cos'altro sarebbe se non carne e sangue, ed erba che si secca? Per quanto dunque gli uomini conferiscano prestigio e onore a questa carne, è un fiore, di certo, ma è sempre un fiore d'erba; poiché quando l'erba appassisce, non può conservarsi un fiore dell'erba, ma, come appassisce l'erba, così cade a terra il fiore. Noi dunque abbiamo una cosa a cui attenerci per non cadere, poiché la parola di Dio rimane in eterno. Ci ha forse disprezzati il Verbo di Dio, o fratelli? Ha forse disprezzato questa nostra fragilità e caducità umana? Ha detto forse: "È carne, è erba; l'erba appassisca e il fiore cada, non gli si rechi soccorso"? Anzi, al contrario, prese per sé la nostra erba, per farci diventare oro. Poiché il Verbo di Dio, che rimane in eterno, non ha disdegnato d'essere per un certo tempo erba, non perché subisse un cambiamento lo stesso Verbo, ma per dare un cambiamento migliore all'erba. Il Verbo infatti si fece carne e visse in mezzo a noi (Gv 1,14); il Signore inoltre patì per noi e fu sepolto, ma risuscitò e ascese al cielo ed è assiso alla destra del Padre, non più erba, ma oro incorrotto e incorruttibile. Ci è dunque promesso il cambiamento, carissimi fratelli; finché tuttavia non arriveremo a quel cambiamento, passerà quest'erba, cioè passerà col mondo ogni onore della carne, tutta questa fragilità invecchia. Era passata l'erba di quel famigerato ricco, ed era passato anche il fiore di quell'erba; ma se nel tempo in cui era verde la sua erba, e nel tempo in cui la sua erba era fiorente avesse capito la parola del Signore, che rimane in eterno e, dopo aver abbattuto e appiattito tutti i gonfiori della superbia, si fosse sottomesso a Dio e, anche se non avesse voluto gettar via le ricchezze, ne avesse data una parte ai poveri giacenti a terra, gli sarebbe stato offerto il refrigerio dopo il tempo di quest'erba; non inutilmente avrebbe chiesto misericordia, lui che, quando poteva, non usò misericordia.

Nello stadio della vita presente o vinciamo o rimaniamo vinti
3. Quando dunque, fratelli miei, veniva letto il Vangelo e sentivamo le parole: Padre Abramo, manda Lazzaro, perché bagni il suo dito nell'acqua per versarne una goccia sulla mia lingua, poiché soffro terribilmente tra queste fiamme (Lc 16,24), quale colpo abbiamo ricevuto tutti nel cuore per paura che ci capiti qualcosa di simile dopo questa vita e allora le nostre preghiere siano inutili! Poiché non c'è possibilità di correggersi quando questa vita sarà passata. Questa vita è come uno stadio: o vinciamo qui o rimaniamo vinti. Chi è vinto nello stadio cerca forse di lottare per cercare di nuovo d'ottenere la corona già perduta? Che dire dunque? Se abbiamo sentito paura, se ci siamo spaventati, se il nostro cuore ha tremato, convertiamoci fin quando abbiamo tempo: questo è davvero il timore fruttuoso. Nessuno infatti, fratelli, può convertirsi senza timore, senza tribolazione, senza trepidazione. Ci battiamo il petto quando ci tormenta il rimorso dei peccati: per il fatto che ci battiamo il petto, vuol dire che abbiamo nell'interno qualcosa, forse un cattivo pensiero; si manifesti nella confessione e forse non ci sarà più nulla che ci tormenti; si faccia in modo che tutti i peccati si rivelino nella confessione. Così per esempio anche quel ricco, gonfio di superbia per il fatto di vestirsi di bisso, aveva nell'interno qualcosa: avesse voluto il cielo che ciò fosse uscito fuori quando viveva; forse non sarebbe stato punito con le fiamme eterne; siccome però allora era superbo, quell'umore aveva prodotto un bubbone, non un'eruzione. Il povero Lazzaro invece giaceva davanti alla porta pieno di piaghe (Lc 16,20). Nessuno dunque, fratelli, si vergogni di confessare i peccati, poiché il giacere a terra è uno stato che si addice all'umiltà. Tuttavia considerate come cambia la sorte. Quando sarà passata la tribolazione delle confessioni, verrà la consolazione dei meriti, poiché verranno gli angeli, porteranno in alto questo poveretto coperto di piaghe e lo porteranno nel seno d'Abramo, cioè nel riposo eterno, nel recesso del gran padre; il seno infatti significa un recesso misterioso ove potrà riposare chi è spossato.

Si dà a Cristo quando si dà al povero
4. Giaceva dunque presso la porta questo povero coperto di piaghe, ma il ricco lo disprezzava; quello bramava sfamarsi degli avanzi che cadevano dalla sua tavola; con le sue piaghe nutriva i cani, ma egli non era nutrito dal ricco. Considerate con attenzione, fratelli, che il povero è uno che ha bisogno: Beato – dice il Salmista – chi comprende il misero e il povero (Sal 40,2); riflettete bene e non disprezzate il povero come uno coperto di piaghe che giace presso la porta. Da' al povero, poiché lo riceve Colui che anche sulla terra volle essere povero ma dal cielo vuole arricchirci. Poiché così dice il Signore: Io avevo fame e voi mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato da bere, ero forestiero e mi avete accolto nella vostra casa, ecc. Ed essi: Ma quando ti abbiamo visto affamato o assetato o nudo o forestiero? Ed egli: Tutte le volte che lo avete fatto a uno dei più piccoli di questi miei [fratelli], lo avete fatto a me (Mt 25,35-40). Il Signore mosso da misericordia volle che nei suoi fratelli più piccoli, sofferenti sulla terra, ci fosse in certo qual modo la propria persona per soccorrere dal cielo tutti i sofferenti. Tu dunque dài a Cristo quando dài al povero; o temi forse che un custode sì qualificato perda qualcosa o un ricco così grande non restituisca? Onnipotente è Dio, onnipotente è Cristo: non potrai perdere nulla. Affida la tua ricchezza a lui e non perderai nulla. Quando gliela affidi? Quando la dài al povero. Siffatta ricchezza non passerà quando sarà passata la carne come l'erba e la gloria dell'uomo appassirà come il fiore dell'erba. Pertanto, fratelli, se siamo rimasti atterriti che ci possa capitare di soffrire, dopo questa vita, tali pene e tormenti tra le fiamme ardenti, quali soffriva il ricco superbo e privo di misericordia, emendiamoci ora quando c'è tempo; poiché allora non sarà possibile soccorrere, perché non ci sarà possibilità di correggersi: infatti si corre in soccorso a ciascuno quando si corregge. È quella attuale la vita della correzione, la vita del soccorso e dell'aiuto. Rivolti al Signore.

(Agostino, Discorso 113/B, MA 1, 288-291)




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