a cura di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio"
Comunità di preti della diocesi di Modena-Nonantola
Vita Pastorale (n. 10/2018)
ANNO B – 2 novembre 2018
Commemorazione dei fedeli defunti
Gb 19,1-23-27a
Rm 5,5-11
Gv 6,37-40
(Visualizza i brani delle Letture)
Commemorazione dei fedeli defunti
Gb 19,1-23-27a
Rm 5,5-11
Gv 6,37-40
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VIVERE VUOL DIRE AMARE
La memoria di tutti i morti passa concretamente attraverso la memoria di alcune persone care e amate che ci hanno lasciato. E che, morendo, hanno fatto morire anche qualcosa di noi. In tale memoria esse ci indicano la via della vita, l'essenziale del vivere: l'amore.
Il Vangelo ci consegna una parola decisiva al proposito ricordandoci che tutti coloro che muoiono nel Signore non si perdono, ma proprio nell'esperienza dell'amore continuano a essere viventi. Dice Gesù: «Colui che viene a me, io non lo caccerò fuori, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell'ultimo giorno». Poi ribadisce: «Questa, infatti, è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell'ultimo giorno». La volontà di Dio, che si manifesta in Cristo, è pertanto una volontà di vita e di custodia: che nulla vada perduto.
Questa parola del Vangelo è estremamente preziosa perché - oltre a sgombrare il campo da strane rappresentazioni della volontà di Dio - ci aiuta a mettere al centro l'aspetto decisivo che Gesù ha rivelato con la sua vita: vivere significa amare, morire significa non amare. Pertanto, tutto ciò che è compreso sotto l'amore è vivo, tutto ciò che è fuori di esso è come se fosse morto.
Le persone che noi abbiamo amato sono presenti nella nostra vita, nella nostra memoria, nel nostro pensare, nel nostro agire. Quante volte sentiamo di averle al nostro fianco anche se non le vediamo fisicamente. Quante volte ci ricordiamo quello che ci hanno detto, ci scaldiamo il cuore per un fatto che portiamo con noi, ci commuoviamo vedendo qualcosa che ce le fa ricordare... È l'amore che tiene vivo il ricordo, un ricordo che non deve essere segnato dalla nostalgia, ma che è chiamato - alla luce della fede - a nutrirsi della risurrezione. Gesù, infatti, insiste che "non perdere" significa vedere il tutto nell'orizzonte della risurrezione.
È nell'orizzonte della risurrezione che ricordiamo i nostri cari che sono morti. Ed è in questo orizzonte che noi visitiamo i cimiteri, cioè questi dormitori (cimitero significa dormitorio) nei quali i nostri cari riposano in attesa del ritorno del Signore, quando «farà sorgere i morti dalla terra e il nostro corpo mortale vedrà il suo corpo glorioso». Come ci ricorda Giobbe: «Dopo che questa mia pelle sarà strappata via, senza la mia carne, vedrò Dio. Io lo vedrò, io stesso, i miei occhi lo contempleranno e non un altro».
Ciò è possibile «perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito santo che ci è stato dato», perché attraverso la vita siamo stati iscritti in questo cammino che sperimentiamo nell'amore che siamo capaci di scambiarci e di condividere. La memoria di coloro che abbiamo amato e che non ci sono più, ci aiuti a comprendere che soltanto l'amore fa vivere. E il Signore che noi invochiamo come il vivente è tale perché ha fatto dell'amore il cuore della sua vita, mostrandoci che «chi ama i fratelli è passato dalla morte alla vita» (1Gv 3,14).
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