Intervista a Mons. Mario Delpini,
Vescovo Ausiliare di Milano
L'Amico del Clero, n. 3 Marzo 2015
Mons. Delpini, come giudica per la Chiesa in generale, e per l'arcidiocesi di Milano in particolare, il ripristino del diaconato permanente?
Il ripristino del diaconato nella forma permanente nella diocesi di Milano è stato oggetto di un dibattito complesso e ha raccolto valutazioni diversificate, come attestano le ricostruzioni che sono state pubblicate. Si è passati da un parere negativo espresso dal card. Giovanni Colombo verso la fine degli anni settanta a una decisione positiva maturata nel contesto del Consiglio Presbiterale Diocesano e attuata dal Card. Carlo Maria Martini verso la fine degli anni ottanta. Mi pare che l'evoluzione sia consistita nella chiarificazione di una identità: si è cioè passati dalla persuasione di una identità indefinita, a metà tra il laico e il presbitero, all'intuizione di una identità propria, con una forma specifica di condivisione del sacramento dell'ordine.
Abbiamo così preso coscienza che il diaconato è un dono di Dio per la Chiesa e abbiamo la consolazione di sperimentare che questo dono è accolto da uomini adulti che vi riconoscono la loro vocazione per un servizio alla Chiesa. Il dibattito che ha preceduto la decisione del ripristino è un sintomo della delicatezza di questo dono: è infatti esposto al rischio di un fraintendimento e insieme aperto alla promessa di una collaborazione promettente con il Vescovo per la missione apostolica. Questo duplice aspetto si è confermato anche nella esperienza pratica di questi trent'anni. Nel complesso però riconosco nei diaconi permanenti un gruppo che si qualifica per disponibilità, esemplarità, dedizione gratuita in un ministero che è prezioso e che ha certo bisogno di ulteriore approfondimento e di più evidente riconoscibilità.
Quali requisiti ritiene siano indispensabili per un candidato al diaconato permanente?
Il diaconato è una vocazione per adulti, cioè si rivolge a uomini che hanno già maturato e vissuto in modo affidabile la loro vocazione al matrimonio o al celibato. Quindi, il primo requisito indispensabile è che si possano riconoscere come uomini maturi che hanno dato buona prova di sé nella loro vita familiare, professionale, ecclesiale.
Il secondo requisito indispensabile è la disponibilità a un cammino di formazione che li abiliti per il ministero che sarà loro affidato. Il diaconato non è infatti un premio alla carriera, ma la vocazione a un modo nuovo di essere a servizio della Chiesa. Si impone quindi una formazione che richiede una disponibilità a un modo nuovo di pensarsi nella Chiesa, di impegnare il tempo, di vivere i rapporti. Ne consegue che i punti qualificanti di questa formazione a cui devono essere disponibili riguardano le forme e i tempi della preghiera, la competenza teologica e pastorale, la coscienza di appartenenza al clero con l'implicazione dell'obbedienza al Vescovo, la disciplina nell'uso del tempo che è richiesto per il ministero e che, in particolare per i diaconi sposati, deve essere armonizzato con i ritmi della famiglia.
Un terzo requisito indispensabile è che rivelino attitudini ad esporsi al cospetto della comunità cristiana e del contesto in cui sono mandati come uomini di Chiesa. La predicazione, l'assunzione di servizi diocesani, la destinazione a prestazioni ministeriali nelle comunità locali richiedono una particolare forma di libertà spirituale e di scioltezza che non è richiesta a tutti i cristiani, ma ai ministri ordinati sì.
Quale cammino formativo (umano, spirituale, teologico, liturgico e pastorale) è attualmente previsto nella sua arcidiocesi per chi diventa diacono?
Il cammino formativo si è progressivamente precisato e comporta un periodo di discernimento preliminare, due anni di formazione come aspiranti e tre anni di formazione come candidati. In questi cinque (sei) anni sono proposti incontri di formazione che riguardano tutti gli ambiti che Lei indica: per la formazione teologica ci si avvale dell'Istituto di Scienze Religiose di Milano che ha attivato anche corsi specifici per i diaconi che hanno vincoli di attività professionale e quindi non possono frequentare nei giorni lavorativi; per la formazione spirituale sono decisivi il riferimento a un prete che sia direttore spirituale e la partecipazione a momenti programmati per ritiri, esercizi spirituali, apprendistato per la preghiera liturgica; per alcuni tratti della formazione umana ci si avvale del contributo del Centro di orientamento vocazionale attivo in diocesi che mette a disposizioni esperti.
Come fare per superare eventuali resistenze da parte degli altri membri del clero nei confronti del diaconato permanente?
La via più efficace per superare le resistenze è l'esperienza concreta di servizi diaconali che attestano l'utilità, la fecondità, la specificità del ministero diaconale. Perché questa testimonianza sia offerta sono particolarmente importanti alcuni fattori: il primo è che il Vescovo sia persuaso della specifica potenzialità del ministero diaconale, il secondo è che le destinazioni per il ministero non siano sistemazioni, ma precisi incarichi per un servizio importante per la comunità nei diversi livelli (parrocchiale, decanale, diocesano), il terzo e indispensabile fattore è che le persone concrete che esercitano il diaconato siano uomini che rendono credibile il loro ministero con la loro gioia, lo stile evangelico della loro vita, la competenza nel loro servizio, la buona qualità delle loro relazioni entro il clero e nella comunità.
Quale tra i classici compiti diaconali (carità, catechesi/evangelizzazione e liturgia) le sembra necessiti di maggior valorizzazione rispetto a quanto avviene oggi nell'arcidiocesi di Milano?
A me sembra che ciò che deve essere valorizzato, più che qualcuno dei classici compiti diaconali, sia il contributo del diaconato alla definizione del ministero ordinato. In particolare penso al legame con il Vescovo che dovrebbe esprimersi con una preferenza per incarichi diocesani e in genere sovraparrocchiali, che non rinchiudano il diacono nel ruolo di collaboratore di un parroco, ma che aprano un servizio di più vaste dimensioni, senza rinunciare, naturalmente, al radicamento in una concreta comunità. Penso, inoltre, al rapporto con i presbiteri, che non dovrebbe avere come primo scopo quello dell'attribuzione di un ruolo, ma piuttosto quello di un articolarsi della comunione entro il clero. Penso, ancora, al rapporto con gli altri diaconi che dovrebbe crescere in un senso di appartenenza e in un cammino di riflessione e condivisione di esperienze per chiarire a se stessi e alla Chiesa l'identità, la grazia, la bellezza del diaconato.
Quanti sono e quale futuro immagina per i diaconi permanenti della sua arcidiocesi?
In diocesi di Milano i diaconi sono 139, mentre in formazione ci sono 15 candidati e 12 aspiranti. Per il futuro mi immagino che con la testimonianza offerta, con il diffondersi della loro presenza, con la cura per la loro formazione e destinazione la vocazione al diaconato sia conosciuta, apprezzata, valorizzata per il bene delle nostre comunità. Quali iniziative ritiene si possano intraprendere, a livello di pastorale vocazionale diocesana, per incrementare il numero di diaconi permanenti? Ho constatato che le candidature al diaconato in questi anni sono state costanti anche senza iniziative specifiche. Ne ho dedotto che l'intenzione e il desiderio di mettersi a disposizione per il diaconato è frutto di alcuni preti che hanno la franchezza di fare proposte, dei diaconi stessi che con la loro testimonianza rivelano l'attrattiva di questo ministero, della sensibilità di alcuni fedeli che sentono il desiderio di un "di più" nella loro vita cristiana e si fanno avanti per un percorso di formazione per essere non "di più", ma discepoli che portano a compimento la propria vocazione imitando Gesù che è venuto per servire. Non sento tanto il bisogno di incrementare il numero dei diaconi permanenti, quanto di aiutare ciascuno a trovare la sua vocazione e che niente di ciò che lo Spirito semina nella nostra Chiesa vada perduto. La pubblicazione della nuova edizione del Direttorio diocesano per il diaconato permanente offrirà l'occasione per richiamare a tutta la Diocesi questa vocazione e descriverne i tratti caratteristici. La cura per le vocazioni al diaconato si inserisce nella responsabilità per le vocazioni, in particolare per le vocazioni a servizio della diocesi (preti diocesani, diaconi permanenti, ausiliarie diocesane, ordo virginum, fratelli oblati diocesani, romite ambrosiane) ed è stata raccomandata come "priorità pastorale" durante questo anno pastorale 2014/15. Confido che queste raccomandazioni suscitino una risposta attenta, fiduciosa e generosa in tutte le comunità.
Vescovo Ausiliare di Milano
L'Amico del Clero, n. 3 Marzo 2015
Mons. Delpini, come giudica per la Chiesa in generale, e per l'arcidiocesi di Milano in particolare, il ripristino del diaconato permanente?
Il ripristino del diaconato nella forma permanente nella diocesi di Milano è stato oggetto di un dibattito complesso e ha raccolto valutazioni diversificate, come attestano le ricostruzioni che sono state pubblicate. Si è passati da un parere negativo espresso dal card. Giovanni Colombo verso la fine degli anni settanta a una decisione positiva maturata nel contesto del Consiglio Presbiterale Diocesano e attuata dal Card. Carlo Maria Martini verso la fine degli anni ottanta. Mi pare che l'evoluzione sia consistita nella chiarificazione di una identità: si è cioè passati dalla persuasione di una identità indefinita, a metà tra il laico e il presbitero, all'intuizione di una identità propria, con una forma specifica di condivisione del sacramento dell'ordine.
Abbiamo così preso coscienza che il diaconato è un dono di Dio per la Chiesa e abbiamo la consolazione di sperimentare che questo dono è accolto da uomini adulti che vi riconoscono la loro vocazione per un servizio alla Chiesa. Il dibattito che ha preceduto la decisione del ripristino è un sintomo della delicatezza di questo dono: è infatti esposto al rischio di un fraintendimento e insieme aperto alla promessa di una collaborazione promettente con il Vescovo per la missione apostolica. Questo duplice aspetto si è confermato anche nella esperienza pratica di questi trent'anni. Nel complesso però riconosco nei diaconi permanenti un gruppo che si qualifica per disponibilità, esemplarità, dedizione gratuita in un ministero che è prezioso e che ha certo bisogno di ulteriore approfondimento e di più evidente riconoscibilità.
Quali requisiti ritiene siano indispensabili per un candidato al diaconato permanente?
Il diaconato è una vocazione per adulti, cioè si rivolge a uomini che hanno già maturato e vissuto in modo affidabile la loro vocazione al matrimonio o al celibato. Quindi, il primo requisito indispensabile è che si possano riconoscere come uomini maturi che hanno dato buona prova di sé nella loro vita familiare, professionale, ecclesiale.
Il secondo requisito indispensabile è la disponibilità a un cammino di formazione che li abiliti per il ministero che sarà loro affidato. Il diaconato non è infatti un premio alla carriera, ma la vocazione a un modo nuovo di essere a servizio della Chiesa. Si impone quindi una formazione che richiede una disponibilità a un modo nuovo di pensarsi nella Chiesa, di impegnare il tempo, di vivere i rapporti. Ne consegue che i punti qualificanti di questa formazione a cui devono essere disponibili riguardano le forme e i tempi della preghiera, la competenza teologica e pastorale, la coscienza di appartenenza al clero con l'implicazione dell'obbedienza al Vescovo, la disciplina nell'uso del tempo che è richiesto per il ministero e che, in particolare per i diaconi sposati, deve essere armonizzato con i ritmi della famiglia.
Un terzo requisito indispensabile è che rivelino attitudini ad esporsi al cospetto della comunità cristiana e del contesto in cui sono mandati come uomini di Chiesa. La predicazione, l'assunzione di servizi diocesani, la destinazione a prestazioni ministeriali nelle comunità locali richiedono una particolare forma di libertà spirituale e di scioltezza che non è richiesta a tutti i cristiani, ma ai ministri ordinati sì.
Quale cammino formativo (umano, spirituale, teologico, liturgico e pastorale) è attualmente previsto nella sua arcidiocesi per chi diventa diacono?
Il cammino formativo si è progressivamente precisato e comporta un periodo di discernimento preliminare, due anni di formazione come aspiranti e tre anni di formazione come candidati. In questi cinque (sei) anni sono proposti incontri di formazione che riguardano tutti gli ambiti che Lei indica: per la formazione teologica ci si avvale dell'Istituto di Scienze Religiose di Milano che ha attivato anche corsi specifici per i diaconi che hanno vincoli di attività professionale e quindi non possono frequentare nei giorni lavorativi; per la formazione spirituale sono decisivi il riferimento a un prete che sia direttore spirituale e la partecipazione a momenti programmati per ritiri, esercizi spirituali, apprendistato per la preghiera liturgica; per alcuni tratti della formazione umana ci si avvale del contributo del Centro di orientamento vocazionale attivo in diocesi che mette a disposizioni esperti.
Come fare per superare eventuali resistenze da parte degli altri membri del clero nei confronti del diaconato permanente?
La via più efficace per superare le resistenze è l'esperienza concreta di servizi diaconali che attestano l'utilità, la fecondità, la specificità del ministero diaconale. Perché questa testimonianza sia offerta sono particolarmente importanti alcuni fattori: il primo è che il Vescovo sia persuaso della specifica potenzialità del ministero diaconale, il secondo è che le destinazioni per il ministero non siano sistemazioni, ma precisi incarichi per un servizio importante per la comunità nei diversi livelli (parrocchiale, decanale, diocesano), il terzo e indispensabile fattore è che le persone concrete che esercitano il diaconato siano uomini che rendono credibile il loro ministero con la loro gioia, lo stile evangelico della loro vita, la competenza nel loro servizio, la buona qualità delle loro relazioni entro il clero e nella comunità.
Quale tra i classici compiti diaconali (carità, catechesi/evangelizzazione e liturgia) le sembra necessiti di maggior valorizzazione rispetto a quanto avviene oggi nell'arcidiocesi di Milano?
A me sembra che ciò che deve essere valorizzato, più che qualcuno dei classici compiti diaconali, sia il contributo del diaconato alla definizione del ministero ordinato. In particolare penso al legame con il Vescovo che dovrebbe esprimersi con una preferenza per incarichi diocesani e in genere sovraparrocchiali, che non rinchiudano il diacono nel ruolo di collaboratore di un parroco, ma che aprano un servizio di più vaste dimensioni, senza rinunciare, naturalmente, al radicamento in una concreta comunità. Penso, inoltre, al rapporto con i presbiteri, che non dovrebbe avere come primo scopo quello dell'attribuzione di un ruolo, ma piuttosto quello di un articolarsi della comunione entro il clero. Penso, ancora, al rapporto con gli altri diaconi che dovrebbe crescere in un senso di appartenenza e in un cammino di riflessione e condivisione di esperienze per chiarire a se stessi e alla Chiesa l'identità, la grazia, la bellezza del diaconato.
Quanti sono e quale futuro immagina per i diaconi permanenti della sua arcidiocesi?
In diocesi di Milano i diaconi sono 139, mentre in formazione ci sono 15 candidati e 12 aspiranti. Per il futuro mi immagino che con la testimonianza offerta, con il diffondersi della loro presenza, con la cura per la loro formazione e destinazione la vocazione al diaconato sia conosciuta, apprezzata, valorizzata per il bene delle nostre comunità. Quali iniziative ritiene si possano intraprendere, a livello di pastorale vocazionale diocesana, per incrementare il numero di diaconi permanenti? Ho constatato che le candidature al diaconato in questi anni sono state costanti anche senza iniziative specifiche. Ne ho dedotto che l'intenzione e il desiderio di mettersi a disposizione per il diaconato è frutto di alcuni preti che hanno la franchezza di fare proposte, dei diaconi stessi che con la loro testimonianza rivelano l'attrattiva di questo ministero, della sensibilità di alcuni fedeli che sentono il desiderio di un "di più" nella loro vita cristiana e si fanno avanti per un percorso di formazione per essere non "di più", ma discepoli che portano a compimento la propria vocazione imitando Gesù che è venuto per servire. Non sento tanto il bisogno di incrementare il numero dei diaconi permanenti, quanto di aiutare ciascuno a trovare la sua vocazione e che niente di ciò che lo Spirito semina nella nostra Chiesa vada perduto. La pubblicazione della nuova edizione del Direttorio diocesano per il diaconato permanente offrirà l'occasione per richiamare a tutta la Diocesi questa vocazione e descriverne i tratti caratteristici. La cura per le vocazioni al diaconato si inserisce nella responsabilità per le vocazioni, in particolare per le vocazioni a servizio della diocesi (preti diocesani, diaconi permanenti, ausiliarie diocesane, ordo virginum, fratelli oblati diocesani, romite ambrosiane) ed è stata raccomandata come "priorità pastorale" durante questo anno pastorale 2014/15. Confido che queste raccomandazioni suscitino una risposta attenta, fiduciosa e generosa in tutte le comunità.
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