Intervista a Mons. Delio Lucarelli,
Vescovo di Rieti




Intervista a Mons. Delio Lucarelli, Vescovo di Rieti
L'Amico del Clero, n. 6 Giugno 2014


Monsignore, come giudica per la Chiesa in generale, e per la diocesi di Rieti in particolare, il ripristino del diaconato permanente?

È stata una riscoperta che ha arricchito molto la Chiesa, universale e locale.
Tra i diaconi vi sono semplici operai, professionisti, persone umili e persone "importanti", per origine, per formazione, per carriera. È una funzione ormai insostituibile all'interno delle comunità. E devo dire che è molto apprezzata dai fedeli. Vorrei anche sottolineare il grande contributo che i diaconi uxorati danno nei luoghi di lavoro, proprio in ragione della loro "doppia vita", diciamo così, mostrando che è possibile portare e vivere il Vangelo proprio nella vita quotidiana, anzitutto impegnandosi con professionalità e senso di responsabilità sul posto di lavoro.

Quali requisiti ritiene siano indispensabili per un candidato al diaconato permanente?

Intanto deve essere una persona apprezzata dalla comunità cristiana, che partecipi alla vita della parrocchia, che sia disponibile con tutti, che sia accogliente, generosa, affabile, preparata, che non trascuri i doveri del lavoro e della famiglia. Ma soprattutto, e non da ultimo, che sia un uomo di preghiera, che abbia una tale familiarità con la Parola di Dio da suscitare addirittura "stupore" e ammirazione!

Quale cammino formativo (umano, spirituale, teologico, liturgico e pastorale) è attualmente previsto nella sua arcidiocesi per chi diventa diacono?

È un cammino abbastanza lungo e impegnativo: è previsto lo studio della teologia e delle scienze bibliche; ma anche incontri mensili con gli altri diaconi, con le loro mogli, con i sacerdoti e anche i laici che ne curano la formazione, e un servizio sempre monitorato nelle parrocchie con la "supervisione" dei sacerdoti, più di tipo pratico e spirituale. Tuttavia le scuole teologiche non sono sufficienti, se non per una preparazione iniziale necessaria; i diaconi sono incoraggiati a seguire corsi e a conseguire titoli nelle università, sia per il principio di una formazione che dura tutta la vita, sia per rispondere sempre meglio alle sfide e alle necessità del nostro tempo. Le omelie si possono, anzi si devono preparare, ma alle domande a bruciapelo che ci pongono i fedeli e i cosiddetti lontani dobbiamo rispondere con affabilità e carità, ma anche con grande competenza e nell'immediato: per questo è indispensabile una preparazione teologica di livello superiore.

Come fare per superare eventuali resistenze da parte degli altri membri del clero nei confronti del diaconato permanente?

Non vi sono molte resistenze, in realtà, poiché il diacono è sempre di aiuto, in campo liturgico e pastorale. Vi possono essere casi di poca sintonia con il parroco o gli altri sacerdoti della parrocchia, ma si tratta di situazioni rare e circoscritte, direi fisiologiche. Le resistenze si superano in un clima di condivisione e di fraternità; se se ne fa una questione gerarchica o di potere non vi è possibilità di dialogo. Certamente ognuno deve saper stare nel suo campo: il sacerdote deve apprezzare e valorizzare le funzioni del diacono; il diacono deve sapere bene quali sono i suoi compiti e non sostituirsi al sacerdote. Poi è sempre molto opportuno sapersi rendere conto delle situazioni che possono risultare critiche e saper fare un passo indietro. Da parte di tutti.

Quale tra i classici compiti diaconali (carità, catechesi/evangelizzazione e liturgia) le sembra necessiti di maggior valorizzazione rispetto a quanto avviene oggi nella diocesi di Saluzzo?

Vorrei dire che il compito liturgico del diacono, che spesso sembra quello più importante, poiché è sottolineato dalle vesti e dai compiti rituali, è quello che dovrebbe essere considerato piuttosto una conseguenza, rispetto agli altri. L'organizzazione, ad esempio, delle caritas parrocchiali, dovrebbe proprio essere affidata e dipendere dal diacono; la catechesi, soprattutto quella degli adulti e delle famiglie, affidata ai diaconi. Poi le loro funzioni nelle celebrazioni con il sacerdote sono relative: "Scambiatevi un segno di pace" e "La Messa è finita: andate in pace", lo possono dire pure da soli il sacerdote o il vescovo; secondo il rituale dell'ordinazione il diacono - come d'altra parte tutti i ministri sacri e i fedeli laici - deve impegnarsi "a vivere ciò che celebra" piuttosto che a "farsi largo sul presbiterio" per dire una frase del Messale. In sostanza vedo il diacono più impegnato, sul piano liturgico, ma non solo, in comunità che sono senza sacerdote.

Quanti sono e quale futuro immagina per i diaconi permanenti della sua diocesi?

Sono una quindicina; quando sono arrivato a Rieti era solo uno. Il loro futuro è in continua rimodulazione: i più giovani sono impegnati maggiormente nel lavoro e nelle famiglie con i figli piccoli o adolescenti; quelli più maturi, quanto all'età, possono dedicarsi di più al servizio della Chiesa e della comunità. A loro volta i primi potranno dedicarsi di più al ministero nel futuro, quando avranno risolto questioni che ora li impegnano di più.
Immagino un futuro in cui i diaconi siano espressione vera delle comunità da cui provengono e che siano i veri animatori della pastorale, soprattutto nelle località della periferia geografica della diocesi. Ma con una loro fisionomia, però, non "preti dimezzati" o "chierichetti specializzati".

Quali iniziative ritiene si possano intraprendere, a livello di pastorale vocazionale diocesana, per incrementare il numero di diaconi permanenti?

Penso che la migliore pastorale vocazionale diaconale la facciano proprio loro, i diaconi, con il loro stile, il modo di fare, la serenità che trasmettono, la condivisione delle mogli e dei figli della loro vita spesa su più fronti. Dopo i primi che ho ordinato, molti altri uomini si sono fatti avanti, intraprendendo la via lunga e non facile della preparazione, seguendo le lezioni e studiando in orari poco comodi e facendo sacrifici non indifferenti.


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