Intervista a Mons. Cesare Nosiglia, Arcivescovo di Torino
L'Amico del Clero, n. 7 Luglio 2014
Monsignore, come giudica per la Chiesa in generale, e per l'arcidiocesi di Torino in particolare, il ripristino del diaconato permanente?
La Chiesa ha voluto riscoprire un ministero che era andato in disuso. La ministerialità, che il Vaticano II ha voluto sottolineare, trova nel diaconato permanente un'espressione di grazia quanto mai importante per la vita della Chiesa stessa, nell'attenzione a tutti, sottolineando la dimensione del "Cristo-Servo". La nostra Chiesa torinese ha ricevuto un grande dono dello Spirito con la presenza, sempre più qualificata, dei diaconi permanenti nei vari settori della pastorale.
Quali requisiti ritiene siano indispensabili per un candidato al diaconato permanente?
Mi ritrovo in pieno nelle indicazioni del documento della CEI Orientamenti e norme. Il candidato al diaconato permanente deve essere innanzitutto un uomo di Dio, che vive del suo lavoro, che guida con onestà e prudenza la sua famiglia ed è profondamente inserito nella realtà della Chiesa locale, cioè nella parrocchia, in comunione con i sacerdoti e in atteggiamento di dialogo e comunione con tutti, specie con coloro che fanno più fatica a sentirsi Chiesa e a stare nella Chiesa. Mi riferisco ai più poveri, a coloro che stanno ai margini della società, ai malati, ai sofferenti, a chi ingiustamente viene considerato diverso.
Quale cammino formativo (umano, spirituale, teologico, liturgico e pastorale) è attualmente previsto nella sua arcidiocesi per chi diventa diacono?
Il percorso educativo, proposto attualmente nella diocesi di Torino, è articolato nell'arco di cinque anni, in cui, con l'aiuto di un delegato arcivescovile per la formazione, di un vicario episcopale e di due diaconi permanenti, si tiene conto di diverse dimensioni. Viene posta attenzione alla progressione del candidato unitamente a quella della sua sposa attraverso momenti di incontro (un fine settimana mensile). Vengono proposti elementi per la maturazione umana, ritiri spirituali, esercizi spirituali annuali, incontri vari. Nel periodo estivo si realizza una settimana di convivenza per tutta la famiglia (moglie e figli compresi). È il momento in cui avvengono gli incontri con le varie realtà diocesane e con i tanti settori della pastorale.
La preparazione culturale: è richiesta la formazione offerta dall'ISSR. Essendo i candidati al diaconato persone inserite nel mondo del lavoro, il corso triennale è stato distribuito per loro nell'arco di cinque anni. È un impegno non indifferente, ma necessario perché il loro futuro servizio nella Chiesa sia qualificato anche dal punto di vista teologico.
Come fare per superare eventuali resistenze da parte degli altri membri del clero nei confronti del diaconato permanente?
Il diacono permanente non è la "brutta copia" del sacerdote. Il suo ministero è totalmente diverso. Dobbiamo imparare a cogliere le diverse ministerialità della Chiesa. L'azione dei diaconi permanenti nelle comunità ecclesiali è il loro vero biglietto da visita. La stima che i diaconi si sono conquistata presso i sacerdoti e presso le comunità dimostra il superamento delle resistenze iniziali.
È fondamentale che i diaconi si sentano attori e protagonisti nella pastorale.
Ecco l'importanza del dialogo, del confronto e del lavorare insieme nelle unità pastorali e nelle parrocchie, in sintonia con i sacerdoti. È il bene della Chiesa, è l'annuncio del Vangelo, è la comunione con Dio e tra di noi che vanno curate. «Vi riconosceranno da come vi amerete»: sono parole evangeliche che devono penetrare in noi per poter essere segno nelle realtà a noi affidate.
Quale tra i classici compiti diaconali (carità, catechesi/evangelizzazione e liturgia) le sembra necessiti di maggior valorizzazione rispetto a quanto avviene oggi nella diocesi di Saluzzo?
Oggi occorre puntare sulla formazione a tutti i livelli. Innanzitutto, ognuno di noi deve darsi forza attraverso un serio cammino di formazione permanente. A tal proposito, i diaconi hanno una serie di incontri mensili di formazione a livello comunitario e a livello di gruppo di diaconi nelle loro case. Ciò vale però per ogni componente del popolo di Dio: vorrei che lo sforzo di tutti in diocesi fosse sempre più concentrato sulla formazione ed educazione degli operatori pastorali, in particolare delle famiglie. È in esse che matura il vero annuncio del Vangelo ai ragazzi e ai giovani. Le nostre famiglie, in particolare i genitori, hanno bisogno di non sentirsi sole e d'essere sostenute nell'opera educativa.
Anche qui si inserisce il carisma del diacono, che deve esprimersi nell'essere "ponte" tra la Chiesa e le varie realtà sociali nelle quali siamo immersi. Dev'essere "ponte" con il mondo del lavoro, con la scuola, con i malati e gli operatori sanitari, con il volontariato nelle sue immense espressioni, con i poveri e gli emarginati, con coloro che sono distanti dalla Chiesa, con quelli che sono alle porte delle parrocchie, con gli stranieri, con i giovani ed i ragazzi, con coloro che cercano un senso alla propria esistenza, con chi serve il bene comune nelle istituzioni civili. Voglio dire che, oltre al servizio ecclesiale, devono essere fortemente impegnati in questo nostro mondo per essere "lievito" che fa fermentare tutta la pasta.
Quanti sono e quale futuro immagina per i diaconi permanenti della sua diocesi?
Attualmente i diaconi permanenti nell'Arcidiocesi di Torino sono 130; altri 26 sono in formazione. Devono essere a servizio del Vescovo che li manda nelle singole realtà; non necessariamente sono quelle dove risiedono loro e le loro famiglie. Vorrei che la loro presenza qualificasse ed animasse coloro che sono ai margini.
La mancanza di sacerdoti non può essere supplita dai diaconi; tuttavia, confido nella loro disponibilità e in quella delle loro famiglie. Molte sono le case parrocchiali dove il parroco non è più residente, perché deve curare più parrocchie: potrebbero, queste comunità, essere animate e trovare un vero punto di riferimento nel diacono permanente e nella sua famiglia.
Alcuni diaconi, poi, oltre al ministero nelle parrocchie, sono impegnati negli uffici di Curia, nelle cappellanie ospedaliere, nelle case di cura, nella scuola, nei cimiteri: sono settori nei quali crescerà la presenza diaconale.
Quali iniziative ritiene si possano intraprendere, a livello di pastorale vocazionale diocesana, per incrementare il numero di diaconi permanenti?
Non è questione di numeri, ma di qualità. Va curata la pastorale giovanile perché i nostri ragazzi prendano sul serio la loro vita e si interroghino sul loro futuro. Si può servire la Chiesa in modi diversi e complementari. Ognuno deve trovare la sua giusta collocazione, cercando di comprendere il disegno di Dio. Se vengono incrementate esperienze di formazione e di servizio, allora si può comprendere ed aprirsi al dono gratuito di sé, anche attraverso il diaconato permanente.
L'Amico del Clero, n. 7 Luglio 2014
Monsignore, come giudica per la Chiesa in generale, e per l'arcidiocesi di Torino in particolare, il ripristino del diaconato permanente?
La Chiesa ha voluto riscoprire un ministero che era andato in disuso. La ministerialità, che il Vaticano II ha voluto sottolineare, trova nel diaconato permanente un'espressione di grazia quanto mai importante per la vita della Chiesa stessa, nell'attenzione a tutti, sottolineando la dimensione del "Cristo-Servo". La nostra Chiesa torinese ha ricevuto un grande dono dello Spirito con la presenza, sempre più qualificata, dei diaconi permanenti nei vari settori della pastorale.
Quali requisiti ritiene siano indispensabili per un candidato al diaconato permanente?
Mi ritrovo in pieno nelle indicazioni del documento della CEI Orientamenti e norme. Il candidato al diaconato permanente deve essere innanzitutto un uomo di Dio, che vive del suo lavoro, che guida con onestà e prudenza la sua famiglia ed è profondamente inserito nella realtà della Chiesa locale, cioè nella parrocchia, in comunione con i sacerdoti e in atteggiamento di dialogo e comunione con tutti, specie con coloro che fanno più fatica a sentirsi Chiesa e a stare nella Chiesa. Mi riferisco ai più poveri, a coloro che stanno ai margini della società, ai malati, ai sofferenti, a chi ingiustamente viene considerato diverso.
Quale cammino formativo (umano, spirituale, teologico, liturgico e pastorale) è attualmente previsto nella sua arcidiocesi per chi diventa diacono?
Il percorso educativo, proposto attualmente nella diocesi di Torino, è articolato nell'arco di cinque anni, in cui, con l'aiuto di un delegato arcivescovile per la formazione, di un vicario episcopale e di due diaconi permanenti, si tiene conto di diverse dimensioni. Viene posta attenzione alla progressione del candidato unitamente a quella della sua sposa attraverso momenti di incontro (un fine settimana mensile). Vengono proposti elementi per la maturazione umana, ritiri spirituali, esercizi spirituali annuali, incontri vari. Nel periodo estivo si realizza una settimana di convivenza per tutta la famiglia (moglie e figli compresi). È il momento in cui avvengono gli incontri con le varie realtà diocesane e con i tanti settori della pastorale.
La preparazione culturale: è richiesta la formazione offerta dall'ISSR. Essendo i candidati al diaconato persone inserite nel mondo del lavoro, il corso triennale è stato distribuito per loro nell'arco di cinque anni. È un impegno non indifferente, ma necessario perché il loro futuro servizio nella Chiesa sia qualificato anche dal punto di vista teologico.
Come fare per superare eventuali resistenze da parte degli altri membri del clero nei confronti del diaconato permanente?
Il diacono permanente non è la "brutta copia" del sacerdote. Il suo ministero è totalmente diverso. Dobbiamo imparare a cogliere le diverse ministerialità della Chiesa. L'azione dei diaconi permanenti nelle comunità ecclesiali è il loro vero biglietto da visita. La stima che i diaconi si sono conquistata presso i sacerdoti e presso le comunità dimostra il superamento delle resistenze iniziali.
È fondamentale che i diaconi si sentano attori e protagonisti nella pastorale.
Ecco l'importanza del dialogo, del confronto e del lavorare insieme nelle unità pastorali e nelle parrocchie, in sintonia con i sacerdoti. È il bene della Chiesa, è l'annuncio del Vangelo, è la comunione con Dio e tra di noi che vanno curate. «Vi riconosceranno da come vi amerete»: sono parole evangeliche che devono penetrare in noi per poter essere segno nelle realtà a noi affidate.
Quale tra i classici compiti diaconali (carità, catechesi/evangelizzazione e liturgia) le sembra necessiti di maggior valorizzazione rispetto a quanto avviene oggi nella diocesi di Saluzzo?
Oggi occorre puntare sulla formazione a tutti i livelli. Innanzitutto, ognuno di noi deve darsi forza attraverso un serio cammino di formazione permanente. A tal proposito, i diaconi hanno una serie di incontri mensili di formazione a livello comunitario e a livello di gruppo di diaconi nelle loro case. Ciò vale però per ogni componente del popolo di Dio: vorrei che lo sforzo di tutti in diocesi fosse sempre più concentrato sulla formazione ed educazione degli operatori pastorali, in particolare delle famiglie. È in esse che matura il vero annuncio del Vangelo ai ragazzi e ai giovani. Le nostre famiglie, in particolare i genitori, hanno bisogno di non sentirsi sole e d'essere sostenute nell'opera educativa.
Anche qui si inserisce il carisma del diacono, che deve esprimersi nell'essere "ponte" tra la Chiesa e le varie realtà sociali nelle quali siamo immersi. Dev'essere "ponte" con il mondo del lavoro, con la scuola, con i malati e gli operatori sanitari, con il volontariato nelle sue immense espressioni, con i poveri e gli emarginati, con coloro che sono distanti dalla Chiesa, con quelli che sono alle porte delle parrocchie, con gli stranieri, con i giovani ed i ragazzi, con coloro che cercano un senso alla propria esistenza, con chi serve il bene comune nelle istituzioni civili. Voglio dire che, oltre al servizio ecclesiale, devono essere fortemente impegnati in questo nostro mondo per essere "lievito" che fa fermentare tutta la pasta.
Quanti sono e quale futuro immagina per i diaconi permanenti della sua diocesi?
Attualmente i diaconi permanenti nell'Arcidiocesi di Torino sono 130; altri 26 sono in formazione. Devono essere a servizio del Vescovo che li manda nelle singole realtà; non necessariamente sono quelle dove risiedono loro e le loro famiglie. Vorrei che la loro presenza qualificasse ed animasse coloro che sono ai margini.
La mancanza di sacerdoti non può essere supplita dai diaconi; tuttavia, confido nella loro disponibilità e in quella delle loro famiglie. Molte sono le case parrocchiali dove il parroco non è più residente, perché deve curare più parrocchie: potrebbero, queste comunità, essere animate e trovare un vero punto di riferimento nel diacono permanente e nella sua famiglia.
Alcuni diaconi, poi, oltre al ministero nelle parrocchie, sono impegnati negli uffici di Curia, nelle cappellanie ospedaliere, nelle case di cura, nella scuola, nei cimiteri: sono settori nei quali crescerà la presenza diaconale.
Quali iniziative ritiene si possano intraprendere, a livello di pastorale vocazionale diocesana, per incrementare il numero di diaconi permanenti?
Non è questione di numeri, ma di qualità. Va curata la pastorale giovanile perché i nostri ragazzi prendano sul serio la loro vita e si interroghino sul loro futuro. Si può servire la Chiesa in modi diversi e complementari. Ognuno deve trovare la sua giusta collocazione, cercando di comprendere il disegno di Dio. Se vengono incrementate esperienze di formazione e di servizio, allora si può comprendere ed aprirsi al dono gratuito di sé, anche attraverso il diaconato permanente.
----------
torna su
torna all'indice
home