ANNO A - 6 gennaio 2014
Epifania del Signore
Is 60,1-6
Ef 3,2-3a.5-6
Mt 2,1-12
Epifania del Signore
Is 60,1-6
Ef 3,2-3a.5-6
Mt 2,1-12
DARE CONSISTENZA
ALLA LUCE DELLA FEDE
ALLA LUCE DELLA FEDE
Epifania significa "manifestazione" o "venuta", in quanto il termine greco equivale al latino adventus, cioè avvento/venuta. Corrisponde, in Oriente, alla celebrazione del Natale occidentale, colto nel suo significato di venuta di Cristo nella storia, manifestandosi agli uomini.
La duplicità della celebrazione (Natale-Epifania) esprime che l'una è funzionale all'altra: il Cristo viene per manifestarsi quale Salvatore di tutti. Come canta il prefazio, nella sua letteralità latina, «oggi in Cristo tu, o Dio, hai rivelato il medesimo mistero della nostra salvezza come luce per le genti».
In questo evento si celebra, quindi, il disegno salvifico divino, così sintetizzato da Paolo: «Cristo, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l'essere come Dio» (Fil2,6). Per questo l'Epifania è la celebrazione missionaria per eccellenza, perché disvela ogni volta il mistero che l'Apostolo annuncia agli Efesini: «Le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo».
La dimensione missionaria, in definitiva, è nel DNA dell'esperienza cristiana e non costituisce soltanto un'esigenza pastorale, di cui tener conto due volte l'anno: nella Giornata missionaria mondiale e nell'odierna Giornata dell'infanzia missionaria.
L'Epifania è imperniata sull'elemento simbolico/naturale della luce, come il Natale, così cantato dal profeta Isaia nei confronti di Gerusalemme: «Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te». Certo, si tratta di una visione centripeta della storia: tutte le genti, camminando alla luce della città santa, vengono e si radunano in essa.
Vi corrisponde, però, anche quella centrifuga, ben evidenziata dai magi (i saggi, secondo il termine persiano), emblema dei popoli non cristiani. Questi vedono spuntare la stella e ne seguono la luce, fino a che non li porta al luogo dove si trova Cristo. Tale luce diventa così espressione visibile di una fede che chiama a ricercare Cristo, fino a quando non lo si è trovato. Per questo l'atteggiamento dei magi è quanto mai sintomatico: «Al vedere la stella provarono una gioia grandissima».
Alla verifica della storia non è veritiero che un astro, una stella appunto, si fermi sopra una casa! Ma l'interpretazione simbolica risulta quanto mai efficace nel dare consistenza storica alla luce della fede, che in Cristo apre orizzonti continuamente inediti all'umanità. Per questo bisogna seguirla. Concretamente, poi, tale luce si tradurrà nelle indicazioni di vita che provengono da varie fonti, primariamente dalla Parola. È questo il motivo per cui il racconto evidenzia che quanti, pur possedendo la Scrittura, non la seguono, anzi, la temono nelle sue indicazioni, si chiudono sempre più in sé stessi e delegano agli altri la ricerca: «Andate e informatevi accuratamente del bambino». Quanti credenti, tuttora, non si lasciano conquistare dalle indicazioni di vita evangeliche, che li aprono al dialogo, all'imprevedibilità dell'esistenza, e preferiscono starsene nei salotti - come si esprime Papa Francesco -, piuttosto che andare nelle periferie alla ricerca di Cristo per servirlo.
Il culmine dell'episodio mostra questi stranieri che si prostrano in adorazione del divino infante, riconoscendolo come la risposta definitiva all'interrogativo di fondo, che aveva giustificato il loro viaggio: «Dov'è colui che è nato, il re dei Giudei?». È chiaro che questo "dove" è sempre da perseguire, perché non ci sono luoghi privilegiati per la manifestazione di Cristo. Si tratta di convalidare le sue "presenze reali", prospettate dalla Costituzione liturgica e dal Catechismo della Chiesa cattolica, che, insieme a quella "sostanziale" eucaristica (cioè quella che perdura finché c'è la sostanza del pane/corpo e del vino/sangue di Cristo), prevede: la sua Parola, la preghiera della Chiesa, i poveri, i malati, i prigionieri, i sacramenti, la persona del ministro (n. 1373).
Si tratta di un ventaglio di situazioni umane, ancora sottese all'interrogativo dei magi ("Dov'è?"), che attendono ogni volta di trovare risposta, partendo appunto dalla presenza eucaristica. Già da questo riferimento l'adorazione di Cristo, allora, non si chiude nell'ambito meramente rituale, ma spazia verso i confini del mondo, abbracciando tutte le situazioni che reclamano la vicinanza dei "buoni samaritani" del mondo.
L'adorazione sfocia poi nell'offerta: quella dei magi è stata tratta dagli scrigni, che custodivano l'oro, l'incenso e la mirra, doni regali di cui i Padri hanno ricercato i significati simbolici. Quella della Chiesa attuale è colta, invece, nello scrigno dell'umanità, che contiene Cristo come tesoro prezioso del Natale. E, nella dinamica attuale della celebrazione eucaristica, insieme con lui anche noi. In tale dono è posto l'impegno a non chiudere mai la porta di noi stessi e delle nostre comunità, ma ad aprirla alle molteplici incarnazioni dell'unica fede. In altri termini, si tratta di assecondare l'esigenza di inculturazione e adattamento, cui sono invitate le Chiese particolari e ciascuna delle nostre piccole o grandi comunità, in modo che il Vangelo sia incarnato nel nostro tempo, per ispirare la cultura e aprirla all'accoglienza integrale di tutto ciò che è autenticamente umano.
La duplicità della celebrazione (Natale-Epifania) esprime che l'una è funzionale all'altra: il Cristo viene per manifestarsi quale Salvatore di tutti. Come canta il prefazio, nella sua letteralità latina, «oggi in Cristo tu, o Dio, hai rivelato il medesimo mistero della nostra salvezza come luce per le genti».
In questo evento si celebra, quindi, il disegno salvifico divino, così sintetizzato da Paolo: «Cristo, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l'essere come Dio» (Fil2,6). Per questo l'Epifania è la celebrazione missionaria per eccellenza, perché disvela ogni volta il mistero che l'Apostolo annuncia agli Efesini: «Le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo».
La dimensione missionaria, in definitiva, è nel DNA dell'esperienza cristiana e non costituisce soltanto un'esigenza pastorale, di cui tener conto due volte l'anno: nella Giornata missionaria mondiale e nell'odierna Giornata dell'infanzia missionaria.
L'Epifania è imperniata sull'elemento simbolico/naturale della luce, come il Natale, così cantato dal profeta Isaia nei confronti di Gerusalemme: «Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te». Certo, si tratta di una visione centripeta della storia: tutte le genti, camminando alla luce della città santa, vengono e si radunano in essa.
Vi corrisponde, però, anche quella centrifuga, ben evidenziata dai magi (i saggi, secondo il termine persiano), emblema dei popoli non cristiani. Questi vedono spuntare la stella e ne seguono la luce, fino a che non li porta al luogo dove si trova Cristo. Tale luce diventa così espressione visibile di una fede che chiama a ricercare Cristo, fino a quando non lo si è trovato. Per questo l'atteggiamento dei magi è quanto mai sintomatico: «Al vedere la stella provarono una gioia grandissima».
Alla verifica della storia non è veritiero che un astro, una stella appunto, si fermi sopra una casa! Ma l'interpretazione simbolica risulta quanto mai efficace nel dare consistenza storica alla luce della fede, che in Cristo apre orizzonti continuamente inediti all'umanità. Per questo bisogna seguirla. Concretamente, poi, tale luce si tradurrà nelle indicazioni di vita che provengono da varie fonti, primariamente dalla Parola. È questo il motivo per cui il racconto evidenzia che quanti, pur possedendo la Scrittura, non la seguono, anzi, la temono nelle sue indicazioni, si chiudono sempre più in sé stessi e delegano agli altri la ricerca: «Andate e informatevi accuratamente del bambino». Quanti credenti, tuttora, non si lasciano conquistare dalle indicazioni di vita evangeliche, che li aprono al dialogo, all'imprevedibilità dell'esistenza, e preferiscono starsene nei salotti - come si esprime Papa Francesco -, piuttosto che andare nelle periferie alla ricerca di Cristo per servirlo.
Il culmine dell'episodio mostra questi stranieri che si prostrano in adorazione del divino infante, riconoscendolo come la risposta definitiva all'interrogativo di fondo, che aveva giustificato il loro viaggio: «Dov'è colui che è nato, il re dei Giudei?». È chiaro che questo "dove" è sempre da perseguire, perché non ci sono luoghi privilegiati per la manifestazione di Cristo. Si tratta di convalidare le sue "presenze reali", prospettate dalla Costituzione liturgica e dal Catechismo della Chiesa cattolica, che, insieme a quella "sostanziale" eucaristica (cioè quella che perdura finché c'è la sostanza del pane/corpo e del vino/sangue di Cristo), prevede: la sua Parola, la preghiera della Chiesa, i poveri, i malati, i prigionieri, i sacramenti, la persona del ministro (n. 1373).
Si tratta di un ventaglio di situazioni umane, ancora sottese all'interrogativo dei magi ("Dov'è?"), che attendono ogni volta di trovare risposta, partendo appunto dalla presenza eucaristica. Già da questo riferimento l'adorazione di Cristo, allora, non si chiude nell'ambito meramente rituale, ma spazia verso i confini del mondo, abbracciando tutte le situazioni che reclamano la vicinanza dei "buoni samaritani" del mondo.
L'adorazione sfocia poi nell'offerta: quella dei magi è stata tratta dagli scrigni, che custodivano l'oro, l'incenso e la mirra, doni regali di cui i Padri hanno ricercato i significati simbolici. Quella della Chiesa attuale è colta, invece, nello scrigno dell'umanità, che contiene Cristo come tesoro prezioso del Natale. E, nella dinamica attuale della celebrazione eucaristica, insieme con lui anche noi. In tale dono è posto l'impegno a non chiudere mai la porta di noi stessi e delle nostre comunità, ma ad aprirla alle molteplici incarnazioni dell'unica fede. In altri termini, si tratta di assecondare l'esigenza di inculturazione e adattamento, cui sono invitate le Chiese particolari e ciascuna delle nostre piccole o grandi comunità, in modo che il Vangelo sia incarnato nel nostro tempo, per ispirare la cultura e aprirla all'accoglienza integrale di tutto ciò che è autenticamente umano.
VITA PASTORALE N. 11/2013
(commento di Gianni Cavagnoli, docente di teologia liturgica)
--------------------(commento di Gianni Cavagnoli, docente di teologia liturgica)
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