Il diaconato in Italia n° 176/177
(settembre/dicembre 2012)
APPROFONDIMENTO
Diaconato e matrimonio
di Enzo Petrolino
Premessa
Il conferimento del diaconato agli sposati pone alcuni problemi per il fatto che coesistono nella stessa persona due sacramenti: il matrimonio per lo .stato di vita e il diaconato per il ministero. Il discernimento personale della vocazione allo stato di vita (verginità o matrimonio) deve precedere quello della vocazione al diaconato, proprio perché la chiamata della Chiesa al ministero si manifesti nei confronti di chi ha già chiarito soprattutto a se stesso la via personale di santificazione da intraprendere. In tal modo, poiché il diaconato può essere conferito sia ai celibi che agli sposati, condizione per l'ordinazione non è di per sé un certo stato di vita ma il suo discernimento definitivo da parte del soggetto interessato.
Pertanto il diaconato uxorato, in considerazione anche delle mutate condizioni storiche e sociologiche rispetto alla Chiesa delle origini, presenta degli aspetti che devono essere rivisitati soprattutto per quanto riguarda il rapporto con la famiglia e con il lavoro. Fino a qualche tempo fa era estranea alla mentalità del cristiano la figura di un ministro ordinato che fosse sposato. Chi esercitava il ministero ordinato era solo il celibe. Chi stava sull'altare, vestendo i paramenti sacri, era soltanto il presbitero. Questa esperienza plurisecolare ha finito anche per condizionare diverse spose di aspiranti al diaconato, che hanno avuto difficoltà a dare il loro consenso per l'ordinazione del marito. Il sacramento del matrimonio, confermando la grazia del battesimo, non va vissuto come una sorta di inferiorità rispetto al celibato e al presbiterato, ma come luogo privilegiato e peculiare di realizzazione dell'amore di Cristo per la sua Chiesa (Ef 5,32-33). Pertanto è sconfortante e forviante sentire affermare da alcuni diaconi che volevamo farsi preti, ma volendosi anche sposare hanno scelto la via del diaconato.
Vivere in modo degno in famiglia ed educare convenientemente i propri figli non è solo condizione per l'ordinazione diaconale (1Tm 3,12), ma è anche abilitante al ministero per l'esercizio di responsabilità nella vita familiare e coniugale. La stessa comunione coniugale e familiare, oltre ad offrire il supporto di preghiera e il sostegno spirituale, può essere coinvolta nell'esercizio del ministero di cui può rappresentare un potenziamento. Inoltre, il diacono sposato, che vive del proprio lavoro, rappresenta un naturale inserimento della Chiesa nell'umanità, che contribuisce con la sua testimonianza di vita anche al superamento di ogni separazione tra laici e chierici.
Due sacramenti a confronto
Se ogni coppia cristiana ha la missione di manifestare il mistero dell'amore di Cristo per la sua Chiesa, l'ordinazione diaconale dello sposo apporta un cambiamento specifico a questa missione. Ora, una delle caratteristiche essenziali del matrimonio cristiano, quella sulla quale insiste il Cristo stesso, è il segno dell'alleanza di Dio con l'umanità. La relazione "simbolica" tra il significato del matrimonio e la costituzione della Chiesa è dunque fondamentale. Una crisi del matrimonio attenta direttamente al mistero della Chiesa. Col sacramento del matrimonio, gli sposi cristiani ricevono la missione di manifestare allo stesso tempo, agli occhi del mondo, ciò che è il matrimonio e ciò che la Chiesa, non in qualità di docenti ma come messaggeri di speranza che mostrano, tramite la vita che Gesù dona loro di vivere, quale salvezza e quale felicità per l'umanità il Cristo è venuto a portare. Dunque, meglio è vissuto il matrimonio, meglio si manifesta ciò che è il diacono nella Chiesa.
Il vescovo sceglie il diacono e lo ordina come collaboratore perché manifesti ed eserciti la missione di rendere percettibile ai cristiani che il Cristo oggi agisce, tramite i ministri ordinati, come uno sposo che ama la sua Chiesa. Il matrimonio del diacono diviene un segno dell'unico e fedele amore del Cristo per la sua Chiesa. Una sola sposa, un solo matrimonio, divengono il simbolo del dono totale e definitivo del Cristo alla sua Chiesa in un'alleanza eterna. Per il diacono, la regola di non sposarsi se diventa vedovo simboleggia quello che è il suo ministero: rendere presente l'amore del Cristo risuscitato per il Corpo che è la Chiesa.
Come Cristo, il diacono vive in un mondo nel quale fedeltà ed eternità si scontrano con l'infedeltà e con la morte. Con la sua fedeltà alla sposa, egli rende percettibile alla Chiesa e al mondo che l'amore del Cristo è più forte dell'infedeltà e della morte e che «l'amore non tramonterà» (1Cor 13). La grazia del sacramento dell'ordine, se egli si lascia "rinnovare" da essa, gli conferisce la capacità di un tale amore.
«Mariti, amate le vostre mogli come il Cristo ha amato la Chiesa; egli si è immolato per essa»: il diacono porta la responsabilità di esercitare e di manifestare, col vescovo ed i presbiteri, la responsabilità e l'autorità del Cristo di fronte alla Chiesa. La struttura gerarchica può essere percepita come un potere di domino. Il Cristo mette in guardia gli apostoli contro un tale pericolo: «Fra voi però non è così; chi vuoi essere grande tra voi si farà vostro servitore» (Mc 10,43).
La vita coniugale dice come Cristo esercita la sua autorità sul suo popolo. La posizione gerarchica si trasforma in dono di sé, tenerezza, rispetto per la chiesa-sposa che il ministro sacramentale ama come sua sposa, come suo proprio corpo: «Egli la nutre, si prende cura di essa»; le è sottomesso, non la «domina» (Ef 5,29). «Cristo... ha dato se stesso per lei (la chiesa), per renderla santa, purificandola per mezzo del lavacro dell'acqua accompagnato dalla Parola, al fine di farsi comparire davanti la sua chiesa tutta gloriosa, senza macchia, né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata» (Ef 5,25-28). Tale atteggiamento del Cristo, questo amore casto che vuole fare della Chiesa una sposa gloriosa, può essere raffrontato alla preghiera che il vescovo fa durante l'ordinazione: «Per la fedeltà alla tua Parola e la castità della sua vita, egli stimoli il fervore del tuo popolo; sia per lui un vero testimone della fede incrollabile nel Cristo». Questa preghiera mette in relazione fedeltà alla Parola, castità di vita, testimonianza della fede incrollabile nel Cristo ed esercizio del ministero che stimola il fervore del popolo di Dio.
L'espressione «vero testimone della fede incrollabile nel Cristo» ci porta a riflettere ora su due temi. In primo luogo, il diacono è testimone del contenuto della Parola, della conoscenza che essa dona. Egli testimonia la fede della Chiesa per il servizio dei cristiani, e non solamente ciò che ne ha assimilato, né solamente la sua fede personale con i suoi limiti e le sue cadute. Ora, la Parola richiede una vita nella castità (Mt 5, 31-32): essere fedeli alla castità è essere fedeli alla Parola.
Più ancora, la castità dello sposo non è astinenza. È amore rispettoso della sposa, che non è bramosia, dominio, possesso, ma dono di sé e tenerezza, perché la sposa "gloriosa" progredisca nella sua pienezza e santificazione (Mt 5,31-32;19,1-9). La castità manifesta come il diacono deve esercitare la sua funzione sacramentale per rendere percettibili la presenza e l'azione di Cristo sposo della sua Chiesa. Nell'esercizio del suo ministero, farà della Chiesa il suo bene, il suo possesso, come ogni ministero è tentato di fare, o si donerà ad essa per farla fiorire e santificare con la tenerezza del suo amore?
Il diacono sposato diventa dunque la figura del Cristo che ha un'unica sposa, la Chiesa, e che offre la sua vita per santificarla. Tramite un amore casto, con il potere ricevuto la serve, in luogo di asservirla al suo potere. Per questo, meglio vive il suo matrimonio, meglio manifesta ciò che è il ministero sacramentale: presenza percettibile dell'amore del Cristo sposo per la sua Chiesa. Mentre durante l'azione liturgica è nel presbiterio, adempiendo la sua funzione liturgica, egli manifesta all'assemblea, e alla sua sposa che ne fa parte, questo amore del Cristo, nutrendola della parola e del corpo stesso di Cristo.
Nel matrimonio, diviene visibile l'unione del Cristo con la chiesa e della sua vita in essa. Ciò che vi è di grande in questo mistero è che il matrimonio rivela l'unione del Cristo e della chiesa e quella dell'umanità con il suo Signore. Tutte le coppie cristiane ricevono la missione di manifestarlo; e in particolare le coppie con diaconi. Se ogni coppia cristiana ha la missione di manifestare questo mistero al mondo, l'ordinazione dello sposo apporta un cambiamento specifico a questa missione? Due segni mostrano che vi è un cambiamento. Al contempo, indicano che non si tratta di un compimento più grande del sacramento del matrimonio, come se quello dei non ordinati fosse incompleto, ma di una carica simbolica supplementare, annessa al carattere dell'ordine, che segue il diacono-sposo. Il primo segno: secondo la più antica tradizione, in occidente come in oriente, colui che è stato ordinato diacono non può, se rimane vedovo, risposarsi. La sua sposa, invece, può rimaritarsi se rimane vedova.
Il secondo segno: normalmente, durante un'azione liturgica, il diacono non è più con la sua sposa e i suoi figli nell'assemblea; è nel coro, in vesti liturgiche, per adempiere alla sua funzione dinanzi all'assemblea. Molte spose, prima di coglierne il significato e gustato l'unione più intensa che ne deriva, avvertono questa separazione con un senso di pena. Uno dei primi significati di questi due segni è che l'ordinazione è personale. Dio si è impossessato di un uomo per ordinario: non è la coppia ad essere ordinata. In tal senso, solo lo sposo porta la carica dell'ordine e dei simbolismi che vi sono collegati. Quale simbolismo particolare porta lo sposo in ragione della sua ordinazione?
Paolo, allorquando enumera le esigenze da rispettare per la scelta dei diaconi, ci mette sulla pista che ci permetterà di comprendere: «I diaconi siano dignitosi... Allo stesso modo le donne siano dignitose... I diaconi non siano sposati che una sola volta, sappiano dirigere bene i propri figli e le proprie famiglie» (1Tm 3,8.11-12). In breve: si scelgano uomini conosciuti come buoni mariti e buoni padri di famiglia, poiché meglio è vissuto il matrimonio, meglio si manifesta ciò che è il diacono nella chiesa.
Il vescovo sceglie il diacono e lo ordina come collaboratore perché manifesti ed eserciti con lui la funzione del Cristo sposo. Il diacono riceve la missione di rendere percettibile ai cristiani che il Cristo oggi agisce, tramite i ministri ordinati, come uno «sposo che ama la sua chiesa». Vedovo o abbandonato, con la sua fedeltà alla sposa rende percettibile alla chiesa e al mondo che l'amore del Cristo è più forte dell'infedeltà e della morte e che «l'amore non tramonterà» (1Cor 13).
La sposa
In questa trasformazione del marito con l'ordinazione, come diventa la sposa? In primo luogo bisogna considerare il paradosso del matrimonio. L'unione coniugale non può esistere se ciascuno sposo rimane se stesso. Col sacramento del matrimonio Dio vuole il fiorire delle personalità, quella dello sposo e quella della sposa, in ciò che esse hanno di maschile e di femminile e in ciò che realizza ciascuna personalità. E tuttavia, gli sposi non formano che una sola carne: l'unione più intima. Questa unione compie la sua opera facendo in modo che ciascuno dei congiunti si realizzi nella sua personalità per mezzo dell'altro e con l'altro. Ciascuno conserva la sua personalità, ma si di spiega grazie all'altro e in armonia con lui. L'esperienza degli sposi è il linguaggio utilizzato da Dio per far percepire il legame tra il suo popolo. Dio resta Dio. L'uoomo resta uomo; e tuttavia vi è tra essi una alleanza, un'unione intima. Questa comunanza nell'amore arriva fino alla comunione della divinità e dell'umanità in Gesù Cristo, Dio e uomo. Se questa comunione tra Dio e l'uomo è rifiutata si hanno - dicono l'AT e il NT - idolatria e adulterio e morte per l'uomo. Se è accettata come un dono di Dio si ha la salvezza.
Nel caso dell'ordinazione al diaconato di un uomo sposato la domanda è: uno degli sposi può essere segnato da un sacramento senza che l'altro lo sia? Chi è che è segnato dall'ordinazione del marito? La sua persona? La mutua relazione tra sposi? Di fatto, ci si domanda, chi è realmente ordinato? Il marito o la coppia? Il battesimo, come l'ordinazione, è un sacramento che raggiunge la persona in tutte le sue dimensioni e non è iterabile. La penitenza è un sacramento personale. Ciascuno dice a Dio come ha personalmente mancato verso di Lui, confessando i suoi peccati personali. Non è la coppia che si confessa. Tuttavia, se colui che riceve il sacramento di penitenza si converte, la sua vita ne risulterà cambiata e ciò non sarà senza conseguenze nella vita coniugale. Frequentemente gli sposi hanno una pratica eucaristica differente e succede che l'uno dei due la modifichi. La vita eucaristica di ogni coniuge segna l'insieme della vita della coppia.
L'ordinazione pone gli stessi problemi. Uno degli sposi è ordinato e non la coppia: ma l'ordinazione riguarda la coppia. Uomo e donna sono collocati diversamente in rapporto al diaconato, poiché l'ordinazione dello sposo non cambia lo statuto personale della sposa nell'ambito del popolo di Dio. Tuttavia, nell'unità coniugale, la sposa porta con il suo sposo le conseguenze, sulla vita familiare, del cambiamento dello status ecclesiale dello sposo. Occorre tenerne conto. Anche le ripercussioni dell'ordinazione sulla vita coniugale possono essere percepite in modi differenti. Possono essere sentite come l'apparire di una concorrenza tra vocazione personale o coniugale e vocazione al servizio della chiesa.
Gli sposi (o uno di essi) possono avere l'impressione che il diacono, obbedendo alla missione affidatagli dal vescovo, perda la sua libertà e che la sposa perda il marito. Molte spose, quando si presenta l'eventualità di una ordinazione, vivono l'ansia dell'intrusione che viene a squilibrare l'andamento familiare, di uno sradicamento del loro sposo dal focolare, senza che sia riservato ad esse un posto nuovo nella chiesa, che le collochi in rapporto al diaconato dello sposo. Certe mancanze di accortezza, poi, rafforzano tali paure.
All'inverso, queste ripercussioni possono essere viste con la coscienza che, se l'ordinazione è la risposta a una chiamata di Dio, sono non una schiavitù ma una libertà nuova offerta alla dilatazione della vocazione coniugale. L'ordinazione è accolta allora come un dono fatto alla coppia, per il servizio a Dio, e come un arricchimento per la costruzione della propria comunione. Nella fede, gli sposi intravedono come, in una situazione nuova, la differenza dei carismi loro propri, di ordinato e di battezzata, possono essere messi al servizio dell'unità del focolare e della chiesa (cf. 1Cor 12). Appare allora che, come non ci sono due coppie simili, non c'è un modello unico di convivenza per il diacono. Ciascuna coppia deve trovare la sua missione e il suo equilibrio nel piano di Dio. Questa ricerca, in una costante scoperta, è un'azione libera nella grazia. Essa prende in considerazione elementi che giocano gli uni sugli altri: l'evoluzione spirituale di ciascuno dei membri della coppia e della famiglia, lo stile personale di ciascuno degli sposi, la vocazione particolare del marito all'interno del sacramento dell'ordine...
Il problema per la sposa è come collocarsi rispetto all'ordinazione del proprio marito. In primo luogo, il cammino verso il diaconato, come quello verso ogni sacramento, suppone una conversione. Ora la conversione dona una nuova immagine di sé e di Dio. Le relazioni nella coppia ne vengono modificate. Bisogna costruire un nuovo equilibrio del focolare che rispetti e dilati ciascuno. Una tale evoluzione comporta normalmente delle crisi. Non bisogna darsene pena: sono un cammino verso una comunione più grande. La volontà di Dio non si accetta mai senza un combattimento spirituale, con le sue tensioni, e non sempre il cammino spirituale degli sposi è concomitante: devono comprendersi. sostenersi l'un l'altro e, nella grazia di Dio, essere più uniti.
Secondariamente va considerata la differenza di statuto tra sposi. Quando il vescovo domanda alla sposa se accetta l'ordinazione del marito e le sue conseguenze nella vita familiare, ella intende spesso il sì che dice allora come un nuovo sì coniugale al suo sposo. Ma non è esattamente questo il senso del consenso che pronuncia: si tratta di una risposta al vescovo. Ella gli dice pubblicamente che accetta che il Cristo si impadronisca dello sposo per farne un diacono. Vi è, da parte sua, un certo dono del marito a Cristo, per il servizio della chiesa. L'esperienza permette di affermare che il Cristo dona ai focolari dei diaconi una comunione coniugale più grande, e una vita nella grazia più profonda; ma questa comincia con un dono di sé.
Il nuovo posto della sposa nella chiesa la sposa e la chiesa lo troveranno gradualmente, sotto forme svariate, poiché, unita dal sacramento del matrimonio al proprio marito, la moglie porta con lui qualcosa della visibilità pubblica del diaconato: è sposa del diacono. Già Paolo invitava a verificare che anche la sposa del diacono fosse «degna». Nel momento in cui l'ordinazione del marito conduce a ripensare la vita del focolare occorre evitare un'illusione: e cioè il far ricadere sull'ordinazione certe difficoltà coniugali non dovute all'ordinazione, ma che la situazione nuova mette in evidenza. Per, esempio, se vi è poco dialogo nell'andamento familiare, la prospettiva di un'ordinazione e i primi tempi dopo di essa non possono che mettere in evidenza questa difficoltà di scambio coniugale. Forse gli scambi indispensabili a questo momento della vita saranno un'occasione per superare tale difficoltà; l'esperienza mostra che sovente è questo che si verifica, ma non sarà certo l'ordinazione a risolverlo. Inversamente, se nella coppia del diacono sopraggiungono delle difficoltà, queste dovranno essere trattate come tali e la salvezza del matrimonio resta primaria; ma andranno regolate all'interno dello statuto e della missione ricevuta dal marito, poiché il matrimonio egli lo vive con il sacramento dell'ordine. Accade così sia quando la sposa si mantiene indipendente rispetto al ministero del marito sia quando vi collabora in un modo o in un altro.
Quali mezzi sono offerti alla sposa per collocarsi rettamente? Possono essere necessarie alcune riunioni delle spose tra loro, per trattare insieme i problemi comuni. Ma di fatto ciò che occorre trattare è il problema della coppia. È per questo che, nella pratica attuale, viene proposto alle spose dei diaconi di partecipare con i loro mariti alle riunioni e ritiri organizzati per i candidati al diaconato e, in seguito, per i diaconi. Ricevendo insieme le informazioni su ciò che è il diaconato, e i mezzi spirituali che rendono capaci di una decisione libera e ragionevole, gli sposi potranno avere un'evoluzione comune e saranno anche meglio disposti a decidere insieme. D'altra parte, spesso, queste riunioni sono per le spose l'occasione di far prendere coscienza ai mariti di questioni che essi non percepivano. Sono anche un mezzo per liberarle dalla paura che possono avere di andare contro la volontà di Dio se stimano in coscienza che il focolare non potrà sopportare il diaconato. Anche le spose, come gli sposi, devono affrontare un combattimento spirituale per essere disponibili alla volontà di Dio, sia che egli voglia o no l'ordinazione del loro marito. È consigliabile un accompagnatore spirituale, per oggettivare i sentimenti interiori e disporre alla decisione. In breve, sembra che la sposa, per dimensionarsi in rapporto all'ordinazione del marito, debba porsi tre domande:
1. «Dio chiama mio marito a essere ordinato diacono?». In effetti, la sua situazione di sposa le conferisce un ruolo specifico nel discernimento. Ella partecipa, in coscienza, alla ricerca della volontà di Dio sul marito.
2. «Sono pronta ad accettare di cambiare vita, se Dio chiama mio marito al diaconato?». Questa seconda domanda è indispensabile per assicurarsi di rispondere alla prima nella fede, e non a cagione di qualche paura irrazionale o di qualche egoismo, se si pensa che il marito non sia chiamato da Dio; e per essere certe di non lasciarsi trascinare da qualche entusiasmo, senza avere misurato le conseguenze e le esigenze dell'ordinazione sulla vita quotidiana se si pensa che il marito sia chiamato. Perciò la sposa deve domandarsi se accetta una certa evoluzione spirituale personale e se si procura i mezzi. È cioè pronta a dare compimento al sacramento del battesimo e a quello del matrimonio, che ha ricevuti, accettando nella pace e nella gioia le conseguenze del nuovo statuto ecclesiale del marito per sé e per la sua famiglia?
3. «Come mi porrò in concreto di fronte all'ordinazione e al ministero di mio marito?». Abbiamo visto che le risposte a questa domanda sono, legittimamente, molto differenti. Non c'è un modello unico. È importante porsi queste domande nella semplicità e nella pace, per la maggior felicità della coppia e della chiesa nella sua missione.
I figli condividono la scelta?
Vorrei rispondere alla domanda se i figli dei diaconi condividono la scelta del padre ponendo l'attenzione sul rapporto ministero diaconale e famiglia. Il cammino di formazione e l'esercizio del ministero diaconale si rapportano con la famiglia, intesa, sul piano relazionale, come l'insieme delle esigenze che determinano i modi con cui i componenti della famiglia interagiscono. In altri termini si sviluppano, fra i membri della famiglia, una serie di modalità di scambi comunicativi attraverso i quali ciascun membro stimola ed influenza il comportamento degli altri.
È evidente che il cambiamento connesso con il servizio diaconale determina, sul piano intra-familiare, profonde modifiche delle modalità relazionali inerenti la famiglia nel suo complesso e la coppia dei coniugi in modo specifico.
Come incide, sul piano relazionale, il servizio diaconale sui coniugi e sul rapporto genitoriale? Quali le problematiche da un lato e le potenzialità evolutive, di crescita e creative, dall'altro? Il servizio diaconale riguarda spesso zone pastorali di frontiera, nelle quali il diacono è più frequentemente chiamato ad impegnarsi proprio per la sua specifica funzione di cerniera tra altare e povertà umane, che lo rendono il punto di confluenza di tensioni e, a volte, anche di ostilità e di rifiuto. Inoltre per lo specifico servizio che svolge verso gli ultimi e per le inevitabili frustrazioni e fallimenti connessi con un ministero così complesso, il diacono è esposto al rischio di "bruciarsi", una sorta di sofferenza nascosta, caratterizzata da senso di abbattimento, perdita delle motivazioni e senso di inutilità del servizio svolto.
La famiglia può svolgere il ruolo di luogo dove rielaborare motivazioni ed abilità di reazione costruttiva rispetto alle tensioni esterne. In altri termini il servizio diaconale può trovare, in un sistema familiare in cui i coniugi hanno sviluppato la capacità di sostenersi reciprocamente, un sostegno valido ed un terreno solido e fertile e, viceversa, un sistema familiare che già possiede la capacità di svilupparsi trova nella vocazione al diaconato la possibilità di esprimere pienamente le sue potenzialità di crescita. Infatti si stabilisce una circolarità ricca di frutti sia per il servizio sia per la famiglia, la quale trova, proprio nel servizio, la possibilità di percorrere un cammino di crescita e di compimento delle sue potenzialità. Ciò significa che il processo di integrazione delle due dimensioni, quella ministeriale ad extra e quella sponsale, è apportatore e fonte di benefici in entrambe le dimensioni. Tuttavia questo impegno richiede un percorso: la crescita nella vocazione al diaconato con quello che ne consegue per la famiglia del candidato non è un fatto assicurato ed automatico, ma richiede uno specifico aiuto, coinvolgendo, secondo specifiche modalità, la sposa del candidato e favorendo, anche dopo l'ordinazione dei mariti, incontri a sostegno delle spose.
Per questo appare indispensabile dare spazio alle spose, nella progettazione delle varie iniziative di formazione. È proprio in questo contesto che si colloca il processo di integrazione di tale rapporto che deve necessariamente già iniziare negli anni della formazione del candidato. Nel cammino di formazione vocazionale devono inevitabilmente essere coinvolti la moglie e i figli del candidato al diaconato. È un cammino di crescita perché la vocazione al diaconato si innesta su un terreno familiare ed affettivo.
Cosa è cambiato per me e per la nostra famiglia; che cosa è mutato in seguito a ciò; dove le possibili difficoltà nel cammino intrapreso. Vorrei cominciare molto prima dell'ordinazione, cioè dalla formazione. Ritengo straordinariamente importante che le mogli dei candidati al diaconato non solo vengano invitate a prendere parte al programma di formazione del marito, bensì che si impegnino in ciò. Personalmente ho sentito come una grande lacuna per me e mia moglie, soprattutto nella parte spirituale del programma di formazione e un poco anche nell'esercizio del ministero, il fatto del poco coinvolgimento di mia moglie.
Nel frattempo la situazione nella nostra diocesi rispetto a ciò è mutata, perché adesso le mogli prendono parte al programma di formazione dei mariti. Le circostanze esterne che impediscono la partecipazione delle mogli sono molte e molte sono le questioni che riguardano l'assistenza ai bambini che vanno risolte, per permettere alle spose una vera possibilità di partecipazione. Notevole è comunque anche l'insicurezza che si determina nella coppia rispetto alla nuova situazione con cui ci si deve confrontare.
Anche se negli ultimi tempi si sono fatti molti progressi, si sperimenta sempre il fatto che c'è carenza di autoconsapevolezza dei figli rispetto al ministero esercitato dal padre. I diaconi devono essere particolarmente consapevoli di tali pericoli, del fatto che i figli di un ministro della Chiesa, si trovano in una posizione particolarmente delicata. Per questo è importante che la moglie del candidato si deve lasciare coinvolgere e afferrare dall'adesione al cammino intrapreso dal marito, e se il ministero viene percepito come con-chiamata, allora è indispensabile cogliere anche il punto di vista sul diaconato della sposa. Inoltre è necessario che la spiritualità coniugale e familiare sia inserita nel programma di formazione e nell'esercizio del ministero dei mariti. Questo sarebbe il contributo più valido ed importante delle mogli del diacono al ministero del marito. Si tratta di una sollecitazione che va presa seriamente. Altrimenti si può correre il rischio, in alcune coppie, ad una visione del ministero del marito che è più separante che non unificante nella relazione di coppia. Non c'è dubbio che attualmente le difficoltà che i genitori incontrano nello svolgere la loro funzione educativa siano cresciute in relazione al rapido incremento della complessità della società odierna.
Inoltre i figli di un diacono dovranno confrontare, non senza difficoltà, il proprio modello familiare con realtà extrafamiliari, culturali e sociali fortemente contrastanti. La sensazione di appartenere ad una famiglia necessariamente "diversa" può essere percepita come un apparente handicap, come una situazione che viene a togliere qualcosa, piuttosto che dare. Perciò, in una realtà già di per sé complessa, lo svolgere delle funzioni genitoriali incontra un ulteriore elemento con cui confrontarsi: i figli possono avvertire rispetto ai loro coetanei per le implicazioni con il servizio ministeriale svolto dal padre e l'eventuale elaborazione di questa "diversità" in termini di valori positivi, credibili innanzitutto per loro stessi ed anzi proponibili ai loro coetanei.
I figli dovranno cioè essere aiutati ad elaborare la "diversità" non in termini di inferiorità, ma come ricchezza da proporre agli altri, trasformandoli in coraggiosi testimoni per la loro generazione. Il diacono e la sua sposa dovranno essere in grado di non imporre, quanto piuttosto di coinvolgere, di spiegare o, meglio, di testimoniare, pur ammettendo il rifiuto o la ribellione. I genitori chi svolgono un ruolo cruciale in questa fase della vita del figlio. Il rischio di cadere nel permissivismo o nell'autoritarismo è pur sempre presente, a scapito dell'autorevolezza. La capacità richiesta al diacono è quella di rispondere con la coerenza dell'autenticità alle domande profonde del figlio adolescente e di ogni adolescente. Il relazionarsi in modo sano con il figlio adolescente costituisce un profondo arricchimento per il ministero, spesso rivolto agli adolescenti ed ai giovani. L'esercizio dell'autorità al servizio della crescita dell'altro, è una delle caratteristiche proprie dell'agire del diacono.
In questo senso, ciò che è apparentemente conflitto costituisce in realtà un delicato processo di crescita per l'adolescente e anche per il diacono, a cui l'adolescente (figlio o non) chiede con drammatica tensione di rendere esplicite e di mantenere coerenti le ragioni del suo agire. È difficile da capire perché alcuni figli dopo l'ordinazione del papà si allontanano progressivamente dalla chiesa ed in particolare dalla frequentazione alla celebrazione eucaristica. Se da un lato il diacono, in quanto genitore, si trova a doversi confrontare con il bisogno di autonomia dei figli, dall'altra i figli si trovano nella condizione di appartenere ad un sistema familiare (la famiglia del diacono) per certi versi anomalo che potrebbero, in alcuni momenti, percepire come limitante o in conflitto con altre proposte. Questa percezione ha in sé l'aspetto positivo di permettere ai figli di mettere in discussione il modello familiare e quindi di scegliere in modo più autentico. Tuttavia compito fondamentale dei genitori è quello non di eliminare ogni difficoltà ai figli, ma di dare loro il necessario supporto emotivo alle difficoltà che incontrano. L'anomalia è, infatti, costituita, oltre che dallo specifico servizio ministeriale svolto dal padre, anche dalla necessità di scelte radicali di testimonianza evangelica che inevitabilmente vengono a contrapporsi ai modelli familiari borghesi. Risulta perciò fondamentale il coinvolgimento dei figli, volto a fornire loro un adeguato supporto emotivo perché possano fare scelte coraggiose e non condivise dai gruppi di appartenenza. In questo senso appare importante favorire lo scambio di esperienze ed i momenti d'incontro tra i figli dei diaconi allo scopo di mettere in comune le difficoltà incontrate, nonché di sviluppare un senso di appartenenza tra coetanei che vivono realtà analoghe.
È stata finora significativa l'esperienza condotta in alcune diocesi dove è in atto un processo di coinvolgimento dei figli, organizzati in gruppi omogenei per età, che si riuniscono in concomitanza dei ritiri più significativi svolti dai loro genitori, nonché il coinvolgimento attivo e forte dei figli dei candidati in prossimità della loro ordinazione. La presenza dei figli, in modo partecipato e collaborativo, nei momenti forti del cammino di formazione e nella preparazione precedente l'ordinazione, consente loro di elaborare le problematiche inerenti il cambiamento in atto, mentre il loro inserimento in una realtà più ampia, costituita da gruppi di coetanei appartenenti a famiglie "diverse", e la possibilità di mettere in comune eventuali difficoltà, permette loro, con il fondamentale aiuto dei genitori, di trasformare ogni diversità in tesoro prezioso da donare ai loro coetanei. Spesso effettivamente nelle spose e non meno nei figli nascono diverse specie di paure: paura in ordine alla conduzione della vita di famiglia, insicurezza se il padre a causa dei nuovi compiti si allontanerà dalla famiglia, e se si riuscirà a mantenere sufficiente stabilità in modo da non trascurare troppo, anche rispetto alle esigenze affettive.
Una grande quantità di sollecitazioni sono davanti agli occhi: l'apertura pubblica attesa dalla famiglia del diacono, che deve essere una sorta di "famiglia ideale cristiana" (con tutto ciò che con tale definizione si può intendere!). Parroco e comunità si aspettano un contributo più forte da parte di moglie e figli del diacono nella parrocchia. Il diacono si attende - e ne ha bisogno effettivamente - più spazio per il suo servizio. E con "spazio" non si intende solo un accresciuto dispendio di tempo. La casa del diacono deve essere particolarmente invitante e ospitale. Disponibilità al dialogo deve essere mostrata dai membri della sua famiglia allo stesso modo che una certa discrezione e sensibilità verso i suoi compiti nella comunità. Infine è molto importante che non sia trascurata la vita di fede della famiglia, che rappresenta una delle linfe del ministero del diacono; soprattutto per i bambini in crescita occorre rendere possibile che possano vivere in modo autentico il rapporto con il padre inserito nell'amnio contesto del "clero". Penso che per noi diaconi si tratti soprattutto di salvaguardare una elevata dose di lealtà e apertura. Porsi in tal modo significa mettersi su un cammino che ci conduce, per nostro conto e con la nostra famiglia insieme, ad una fiducia reciproca e alla consapevolezza che non siamo soli nel cammino. Al «Signore, rimani con noi...» dei discepoli di Emmaus possiamo aggrapparci nei momenti più difficili del percorso con fiducia piena, perché da crisi, tensioni e separazioni non sono immuni neppure le coppie di diaconi. La comune preparazione della Messa, i discorsi preliminari e successivi alle eventuali omelie, l'occasionale ora di preghiera comune daranno alla vita di famiglia sicuramente una nuova dimensione.
Diaconato e pastorale familiare
Come raccomanda il papa, la chiesa deve riporre la massima fiducia nella famiglia, insieme alla massima attenzione e alla cura per la crescita degli sposi e delle famiglie. Quindi il rinnovamento della chiesa e della pastorale di cui il diaconato è chiamato ad essere fattore, espressione, comincia dalla famiglia. È la «famiglia che si fa chiesa», aprendosi ad altre famiglie; è «la chiesa che si fa famiglia», recuperando la sua dimensione elementare e "domestica", e aprendosi all'evangelizzazione nell'ambito dei rapporti interpersonali autentici. È un settore della vita della comunità cristiana, nel quale può esplicarsi in forme nuove il ministero diaconale. Non a caso il vescovo, prima di ordinare coloro che la comunità presenta, verifica che le mogli di coloro che sono impegnati nel matrimonio accettino le conseguenze che l'ordinazione del marito avrà sulla vita coniugale e familiare. Si tratta di una pubblica manifestazione di come questa ordinazione sia una grazia per loro e per i loro figli.
Se la Chiesa pone la questione al momento del Rito di ammissione del candidato al diaconato, è perché tale consenso è preliminare all'ordinazione: non si tratta di un fatto puramente formale, ma di una profonda e mutua reciprocità tra stato di vita e ordinazione che impegna il diacono con la sua sposa a una vocazione che sarà definitivamente consacrata con l'ordinazione, affermandola pubblicamente e solennemente nella chiesa e davanti alla comunità intera. Se ogni coppia cristiana ha la missione di manifestare al mondo la visibile unione del Cristo con la Chiesa, l'ordinazione diaconale dello sposo comporta certamente un cambiamento specifico a questa missione.
Questo cambiamento - come già precisato - certamente non indica che il sacramento dell'ordine è più grande del sacramento del matrimonio: matrimonio e diaconato realizzano la comune vocazione battesimale ed hanno la stessa finalità di costruzione e dilatazione del popolo di Dio (ESM 32). Così diaconato e matrimonio sono tutti e due finalizzati alla edificazione della comunità ed in questo si arricchiscono a vicenda: il diaconato amplia la dimensione spirituale del matrimonio, il sacramento coniugale accresce la concretezza del ministero diaconale. Questa reciproca relazione deve ispirare l'esercizio del ministero diaconale che non deve mai essere in opposizione con gli impegni del matrimonio e della famiglia e i suoi compiti.
Giovanni Paolo II, nell'esortazione apostolica Familiaris Consortio (n. 73) ha indicato nei diaconi, dopo i presbiteri, i più vicini collaboratori dei vescovi nella pastorale familiare, aggiungendo che il «sacerdote, come il diacono, deve comportarsi costantemente, nei riguardi delle famiglie come padre, fratello, pastore e maestro». Le Premesse alla I Editio Tipyca italiana (1979) del Rituale su l'Ordinazione dei vescovi, dei presbiteri e dei diaconi, delineavano con chiarezza e profondità questo aspetto ministeriale dei diaconi che a motivo della comune chiamata al servizio sono speciale espressione di tale vocazione, come ministri della carità, come segno della dimensione domestica della chiesa (espressione che è scomparsa nella II edizione del '92) e testimoni e promotori del «senso comunitario e dello spirito familiare del popolo di Dio».
Tra i diversi impegni viene messo al primo posto l'annuncio del Vangelo, perché esso raggiunga ogni persona nel suo ambiente naturale di vita, tenendo conto soprattutto dell'evangelizzazione dei lontani e della guida delle varie comunità domestiche. Analizzando questo testo e tenendo presente le varie esperienze si può distinguere una duplice prospettiva pastorale che tenga conto di due fattori:
• la famiglia del diacono deve essere esemplare nel senso di cui parla Paolo rivolgendosi ai vescovi (1Tm 3,5): «guidino bene i loro figli e le loro famiglie» perché «se uno non sa dirigere bene la propria famiglia, come potrà avere cura della chiesa di Dio?»;
• la pastorale familiare deve avere nel diacono un ministro ordinato che opera dal di dentro.
Su questi due fattori si sviluppa una prospettiva nuova della dimensione familiare della pastorale. Quindi questa nuova attenzione ecclesiale deve spingere le famiglie, soprattutto quelle dei diaconi, a cercare forme di aggregazione in cui vivere insieme la grazia del matrimonio cristiano e la loro vocazione ad essere diaconi nella "chiesa domestica", in un clima di amicizia, di comunione ecclesiale, di reciproco aiuto, di comune ricerca e preghiera, fino ad assumersi responsabilità apostoliche di servizio nella propria chiesa locale e nel proprio ambiente. In questa prospettiva «importante è - come ha detto il papa ai diaconi degli Stati Uniti (Detroit, 19/9/87) - il contributo che un diacono sposato offre alla trasformazione della vita familiare. Lui e sua moglie, essendo entrati in una comunione di vita, sono chiamati ad aiutarsi e a servirsi l'un l'altro (cf. GS 48)». La loro collaborazione e unità è così intima nel sacramento del matrimonio, che la chiesa chiede il debito consenso della moglie prima che il marito possa essere ordinato diacono permanente. L'arricchimento e l'approfondimento dell'amore sacrificale e reciproco tra marito e moglie costituisce forse il più significativo coinvolgimento della moglie del diacono nel ministero pubblico del proprio marito nella chiesa. Soprattutto oggi, continua il papa, «questo non è un servizio da poco». Importante è la sottolineatura della possibilità da parte del diacono di armonizzare «gli obblighi della famiglia, del lavoro e del ministero nel servizio della missione della chiesa». Il papa conclude dicendo che «i diaconi e le loro mogli e figli possono essere di grande incoraggiamento per tutti coloro che sono impegnati a promuovere la vita familiare».
Appare allora importante il fatto che non ci saranno due coppie uguali. Quindi ogni coppia troverà, nel piano di Dio, la propria missione ed il giusto equilibrio. Questa costante ricerca si innesterà nella vocazione particolare del marito all'interno del sacramento dell'ordine.
Per l'attuazione di questo progetto pastorale che tende a rigenerare la comunità cristiana partendo dalla famiglia, la missione del diacono può essere determinante: ministro della chiesa e nello stesso tempo vicino alla vita familiare e sociale dei fedeli, egli può divenire il primo animatore di tutta una rete di gruppi cristiani, spesso guidati da coppie di sposi da lui formati ed orientati, in stretto contatto con i presbiteri e con il vescovo.
Si può, dunque, consapevolmente affermare che la funzione di rinnovamento del diaconato è, soprattutto oggi, congiunta al recupero e alla valorizzazione della dimensione domestica della Chiesa.
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