Ordine e matrimonio


Il diaconato in Italia n° 176/177
(settembre/dicembre 2012)

CONFRONTI


Ordine e matrimonio
di Andrea Spinelli

Il catechismo, che mi ha preparato, con la mediazione di una parrocchiana tanto semplice quanto ricca di fede e di umiltà, ai sacramenti dell'iniziazione cristiana, non poteva che essere quello di S. Pio X: promulgato da papa Sarto nel 1912 è rimasto fino oltre il Concilio, negli anni '70 del secolo scorso, fino cioè al Rinnovamento della catechesi e alla pubblicazione dei catechismi ancor oggi in vigore. Ricordo bene, anzi ricordiamo ancora in molti, che la domanda e la rispettiva risposta erano precise e capaci di aiutare bene la memoria. Così, enumerando uno dopo l'altro in ordine preciso i sette sacramenti, si giungeva alla fine contenti di non averne tralasciato alcuno e si aumentava un po' la voce: ordine e matrimonio.
Già percepivo, almeno così mi dicevano, che il sacramento dell'ordine e quello del matrimonio erano alternativi, o l'uno o l'altro. O ti saresti sposato, come avevano fatto i tuoi genitori e i tuoi nonni, o, volesse il cielo, diceva la catechista e per me la mia nonna paterna, saresti diventato sacerdote, come il parroco, come il coadiutore (così nella diocesi ambrosiana). Crescendo mi sono sentito dire: dal battesimo alla cresima sono i sacramenti dell'iniziazione cristiana, e tutti li ricevono, mentre l'ordine e il matrimonio sono i sacramenti della maturità cristiana, connessi con la scelta dello stato di vita. Non ci sarebbe stata altra scelta possibile o, meglio, auspicabile, sia per l'uomo che per la donna. Restare nubili o celibi semplicemente equivaleva quasi a una non scelta, dovuta a causa di forze maggiori o a una non assunzione di responsabilità nell'ambito della società. La nonna materna, che si era sposata a ventuno anni, mi raccontava che una delle sorelle, a ventinove anni, ancora non si decideva. La mamma (per me bisnonna) le disse un giorno con energia: O scegli il convento come hanno fatto molte tra le tue coetanee o prendi marito, perché la terza ipotesi non esiste. Quest'ultima era pittorescamente chiamata "binario morto" o, più duramente, "carne arrabbiata". Il pastore d'anime era sulla stessa linea, anche per gli uomini, che avevano bisogno di regola di vita, nel matrimonio o nella scelta clericale.
Dunque sacramento dell'ordine (consacrazione religiosa per le donne) o matrimonio. Era evidente dunque che in tale situazione i due sacramenti non potevano essere pensati nella stessa persona. Con una conoscenza abbastanza superficiale la maggior parte dei fedeli riteneva possibile il sacerdozio uxorato solo nella Chiesa Ortodossa e per qualcuno anche in quella della Riforma, senza distinguere troppo tra prete e pastore. Eppure nella Chiesa primitiva e anche nei secoli successivi non era stato così, come ci confermano le lettere di Paolo e tanti scritti successivi. Nell'Occidente cattolico l'idea diffusa era quella che abbiamo ricordato. I disordini di alcuni secoli del medioevo in materia e quindi il desiderio di stabilire una norma ecclesiastica per porvi rimedio avevano portato alla situazione descritta, pertanto, non certo gli studiosi, ma alla maggior parte poteva sembrare che fosse stato sempre così. Ancora oggi dalle nostre parti si fa molta fatica a spiegare alla gente che i preti delle chiese greco-cattoliche possono essere celibi o sposati: non lo capiscono e lo credono solo se ne incontrano uno in carne ed ossa.
A dire il vero, molti affermano con decisione: «Sarebbe meglio che i preti fossero sposati, così da condividere la condizione comune del popolo di Dio e comprendere meglio le situazioni della vita di ogni giorno». A questi ultimi non è facile far comprendere il valore della scelta celibataria, scelta consapevole e liberai scelta ricca di conseguenze positive, non certo prive di tentazioni, come ogni scelta d'altra parte. Il Concilio ha ripristinato il diaconato nella forma di ministero permanente e i padri conciliari (non all'unanimità) hanno deciso che esso avrebbe potuto «essere conferito a uomini di matura età anche viventi nel matrimonio, e così pure a giovani idonei, per i quali però deve rimanere ferma la legge del celibato» (LG 29).
Ormai è una realtà nella chiesa latina, anche se il tempo trascorso dal Concilio, cinquant'anni circa, non è ancora sufficiente a rendere chiara e stabile la situazione. Ci vuole il tempo necessario o no? Forse insieme al tempo ci vuole la buona volontà di capire e di non giudicare a priori. Oggi un punto fermo, penso, l'abbiamo raggiunto: ordine e matrimonio non sono sacramenti alternativi, ma possono coesistere nella stessa persona e giovare l'uno all'altro, con equilibrio umano e "spirituale", ossia dono dello Spirito. Poco tempo prima dell'ordinazione siamo stati ospiti un intero pomeriggio nella casa del nostro arcivescovo il cardinal Martini, e tra l'altro, senza enfasi e senza titubanza, affermò: «Non possiamo certo dire che l'ordine e il matrimonio si escludano a vicenda. Non abbiamo motivi biblici, patristici, teologici, pastorali o d'altro tipo che possano suffragare una tale tesi. Voi diaconi sarete, insieme a quelli che altrove vi hanno preceduto e a quelli che vi seguiranno, coloro che potranno aiutare la comunità a comprendere». Nella nostra diocesi siamo ora in 127, di cui un quinto circa sono celibi, il resto sposati. Che ci siano i celibi è un segno positivo, il diaconato infatti non è e non deve essere un ministero solo per gli sposati. La maggioranza di questi ultimi sta ad indicare che sulla radice del sacramento nuziale si può innestare con serenità il ministero diaconale: la maturità di coppia e di genitori si apre al dono stabile del servizio per il marito e padre nel ministero ordinato. La fantasia dello Spirito supera di gran lunga ogni fantasia puramente umana.

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