Il compiacersi divino fonte di ogni diaconia


Il diaconato in Italia n° 176/177
(settembre/dicembre 2012)

EDITORIALE


Il compiacersi divino fonte di ogni diaconia
di Giuseppe Bellia

Una riflessione sulla interazione dei sacramenti dell'ordine e del matrimonio può essere condotta seguendo diversi orientamenti, come è accaduto in questi anni, ma i risultati, per quanto carichi di intuizioni e di suggestioni, non sono approdati a una teologia compiuta e concretamente illuminante. Si potrebbe suggerire la prassi delle chiese orientali che vogliono celebrato il sacramento del matrimonio prima dell'ordinazione per cogliere un senso teologico che trova nella via indicata nei primi capitoli della Genesi un suo fondamento biblico. In quelle narrazioni fondanti, il compiacimento divino manifesta nella realtà sponsale della coppia la sua immagine più propria e adeguata. L'opera creatrice del demiurgo divino è ritmata nel primo racconto da una precisa descrizione dell'atteggiamento personale del Creatore: «E Dio vide che era cosa buona».
Questa immagine originaria di un Dio soddisfatto della sua opera, per una diffusa preoccupazione moralistica, è stata interpretata come dottrina apologetica che tende a giustificare Dio davanti al mistero dell'iniquità. In questo autocompiacimento ripetuto, una lettura più attenta mostra che non c'è apologia, non c'è difesa di Dio o autogiustificazione assolutoria davanti al mistero del male; piuttosto c'è lo stupore infinito e la beatitudine gioiosa del Creatore per le opere delle sue mani. Meraviglia cosciente che culminerà, al sesto giorno, nella creazione dell'uomo che, in qualche modo, sembra preparare e spiegare la benedizione del giorno successivo, quel settimo giorno sottratto al novero del tempo comune e consacrato per essere già l'annuncio di un'opera infinitamente più grande e degna di meraviglia della stessa creazione. Accanto all'immagine di Dio data nella feconda azione creatrice operata dalla parola divina, c'è quindi il sereno e maestoso "autocompiacimento" del creatore per la sua opera.
La partecipazione all'azione creatrice di Dio si realizza nell'uomo non soltanto attraverso quel potere ordinatore di dominio e di custodia consegnato in dono all'essere umano, articolato nella coppia, ma anche, e certo in maniera più evidente, in quella benedizione, in quel dir bene di Dio sull'uomo, perché sia fecondo e cresca a immagine del suo Creatore. La creazione dell'uomo dall'unica origine non viene partecipata separatamente, ma nella coppia intesa nella sua inscindibile unità di struttura dimorfica, riaffermando così la pari dignità di maschio e femmina. È a questa dualità benedetta che è consegnata l'immagine e la somiglianza divina, quasi a indicare che la mutua relazione tra i due rappresenta insieme l'unità della natura divina e la distinzione delle persone. Nella coppia si sviluppa la possibilità di quel compiacimento pieno di stupore dell'uomo verso la donna: «questa volta è carne della mia carne e osso delle mie ossa» (Gen 2,23). Si tratta dello «stupore originario» che nel mattino della creazione spinge Adamo a parlare poeticamente della gioiosa sorpresa che prova davanti a Eva. È lo stesso stupore che riecheggia nelle parole del Cantico dei Cantici: «Tu mi hai rapito il cuore, sorella mia, sposa, tu mi hai rapito il cuore con un solo tuo sguardo» (Ct 4,9).
A immagine del Creatore, l'uomo si compiace quindi non narcisisticamente di se stesso, ma della creazione da lui tratta: la donna; così come il Padre si compiace del Figlio da lui generato, vero luogo di compiacimento di tutta l'opera divina (Mt 3, 17). Si deve però ricordare che mentre questa distinzione tra chi si compiace e chi è oggetto di compiacimento non fonda nessuna disuguaglianza nelle persone divine, ma stabilisce nella reciprocità il senso dell'identità nella relazione, indicando un legame d'amore che sorpassa ogni gerarchia, nell'uomo segnato dal peccato la distinzione invece genera differenze, esaltazione accecante dell'io, volontà egoistica di dominio, spirito di contesa e di sopraffazione.
L'osservazione appena richiamata serve a ricordare che il fondamento vero di questa superiore unità nella distinzione della natura umana, non risiede affatto nell'uomo, nella sua struttura aperta, nella sua capacità d'infinito, ma in definitiva solo nella conformazione sacramentale a Cristo. L'unità che ci deriva dal Signore (Col 3,10-11) e la relazione che in Lui ci è permesso di stabilire con il Padre, rivelata in noi dallo Spirito (Rm 8,16s), ha un fondamento verticale. e non orizzontale; non si sviluppa dal basso come potenzialità umana, ma viene donata dall'alto per essere accolta nella fede. L'aderenza al simbolismo biblico dell'essere umano postula che la persona, in quanto essere relazionale aperto al mondo, ai suoi simili e a Dio, esiga nel rapporto il bene della reciprocità. È nella natura relazionale dell'uomo che l'amore donato sia contraccambiato. Se un dono non fosse accettato, se fosse donato senza essere insieme ricevuto, non sarebbe un dono. Se l'amore fosse solo offerto e non anche accolto e ricambiato, sarebbe deprimente velleità; l'intenzione di amare, venendo a mancare la relazione tra persone, non è amore.
In verità tutta la vicenda dell'uomo, e le cronache a volte ce lo ricordano tragicamente, è piena di amore dato e non raccolto, di amore mancato. La vita stessa è colma di reciprocità delusa, di relazione frustrata. Senza il respiro della reciprocità la vita si carica di solitudine amara, il mondo è pervaso di morte e il pensiero dell'uomo pencola paurosamente verso il nulla! La reciprocità per l'uomo è un'esigenza vitale, è un bisogno insopprimibile che tocca sia la vita naturale che la vita di grazia. Normalmente la si conosce sotto forma di desiderio che cerca la reciprocità o come nostalgia che ne lamenta l'assenza. C'è nell'uomo la predisposizione, impressa dall'immagine originaria di Dio, ad amare nella reciprocità del rapporto, ma non si t5rovanella natura umana, non dimora nelle sue possibilità di comprendere adeguatamente e di realizzare compiutamente questa reciprocità. Solo in Dio infatti la reciprocità è perfetta e consustanziale e da Lui è partecipata sulla terra agli uomini per mezzo del Figlio nel dono dello Spirito. In Dio la reciprocità è fonte di "autocompiacimento" perché la natura divina è una comunione di persone. Nel Padre l'atto del compiacersi non è solo segno rivelatore di una relazione eterna e beata che lo appaga completamente del Figlio, è l'atto generativo stesso che svela la stessa creazione (Gen 1,31). L'incarnazione fa scendere il Verbo dentro il solco più basso della storia, dove l'umanità del Figlio è giunta per compiere il disegno di salvezza del Padre (cf Mc 1,9-11). Compiacimento eterno per un amore donato senza riserve e con grata obbedienza accolto in quella comune e mutua di lezione delle Persone divine che è la comunione dello Spirito Santo. Amore eternamente donato ed eternamente accolto e ridonato, in una reciprocità sussistente che, consegnata a tutti gli uomini, a tutto il creato come beatitudine di fraternità, edifica nel tempo la Chiesa, di cui la coppia è il segno naturale voluto in principio dal creatore che trova nel matrimonio cristiano il suo approdo salvifico.
Se si guarda alla realtà sacramentale si constata che mentre battesimo ed eucaristia fondano la comunione, gli altri sacramenti specificano e compiono la natura teandrica di questa comunione che nell'eucarestia realizza, anche fisicamente, l'unione sponsale del credente con Cristo. L'ordine e il matrimonio non sono perciò segni vuoti, astrazioni dottrinali o formalità rituali, ma simboli, atti concreti che permettono di capire il disegno di Dio. Con i padri si può dire che sono la Parola spiegata con i gesti della vita. Inoltre, ciò che è comune alla totalità del popolo di Dio, ad alcuni membri è dato in modo peculiare come memoria, come presenza e come profezia per il bene della comunità. Se la Chiesa è sposa, ad alcuni è conferito il carisma della sponsalità; se la Chiesa è serva ad alcuni è dato il carisma del servizio. Questo significa che non si dà una relazione diretta tra sacramento dell'ordine e sacramento del matrimonio perché il contatto di grazia, la connessione spirituale passa attraverso l'eucaristia che è l'origine e l'orientamento definitivo di tutti i gesti sacramentali.
In questa prospettiva la diaconia ordinata riceve dall'eucaristia il suo fondamento teologico e la sua esemplarità testimoniale e si può intendere come realizzazione e segno di quella reciprocità donata che, attraverso il servizio, vuole estendere in ogni tempo a tutti gli uomini il bene della fraternità come luogo concreto in cui si deve riconoscere la verità dell'essere discepoli di Cristo Signore. La diaconia dei ministri sposati può estendere quindi il servizio familiare a tutto il corpo di Cristo. Certo è una riflessione che muove i primi passi, ma può essere proposta ai diaconi perché facciano fruttificare quella grazia di stato che è stata loro conferita.

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