Parola che si fa vita
Commenti e Testimonianze sulla Parola (da Camminare insieme)
"Parola-sintesi" proposta per ogni domenica,
corredata da un commento e da una testimonianza.
Domenica di Pasqua (C) (31 marzo 2013)
Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù (Col 3,1)
2adomenica di Pasqua (C) (7 aprile 2013)
Abbiamo visto il Signore (Gv 20,25)
3a domenica di Pasqua (C) (14 aprile 2013)
Simone, mi ami? (Gv 21,16)
4a domenica di Pasqua (C) (21 aprile 2013)
Io conosco le mie pecore ed esse mi seguono (Gv 10,27)
5a domenica di Pasqua (C) (28 aprile 2013)
Amatevi anche voi gli uni gli altri (Gv 13,34)
6a domenica di Pasqua (C) (5 maggio 2013)
Non sia turbato il vostro cuore (Gv 14,27)
Ascensione del Signore (C) (12 maggio 2013)
E stavano sempre nel tempio lodando Dio (Lc 24,53)
Pentecoste (C) (19 maggio 2013)
Lo Spirito Santo vi insegnerà ogni cosa (Gv 14,26)
Domenica di Pasqua (C) (31 marzo 2013)
Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù (Col 3,1)
La domenica di Pasqua è dominata dal ripetuto annuncio della risurrezione di Gesù e dalla ricerca e invocazione dei suoi frutti nella vita di ogni uomo: rinascere nella luce del Risorto. Infatti la risurrezione di Gesù non è solo un fatto storico che va ricordato. Per san Paolo essa riguarda tutta la storia e cambia profondamente tutta l'umanità. Il cristiano che, mediante il Battesimo, partecipa alla morte e alla risurrezione di Gesù, ha la possibilità di guardare alla storia del mondo e personale da questo punto di vista.
Le cose di lassù sono le stesse cose della terra, ma accolte, viste e vissute nella luce del Risorto. Non si tratta perciò di disprezzare le cose terrene, ma di viverle a partire da Gesù Risorto e dalla sua Parola. È Lui che ispira la vita cristiana. Noi siamo invitati a mettere radici in Gesù che dà senso a tutto il nostro agire. Per questo siamo impegnati a seminare germi di bene, a lasciarci guidare dalla carità, a vivere uno stile di vita che rifletta quello di Cristo che, come dice san Pietro, passò facendo del bene a tutti.
Testimonianza di Parola vissuta
Capisco bene cosa può provare una madre quando apprende la notizia che la sua bimba appena nata ha la sindrome di Down. Sembra che tutto crolli. Un'attesa di nove mesi, tanti sogni, tanti progetti ed ora questa diagnosi spietata. Chi aiuta queste famiglie? Chi dà loro il coraggio?
Occorrerebbe veramente promuovere una cultura della vita. Bei discorsi, penso, quando apprendo che nel nostro reparto si ricovera una bimba non riconosciuta dalla madre perché affetta proprio da questa malattia; deve subire un intervento a causa di una malformazione associata.
Che posso fare per lei, mi chiedo, oltre che prendermene cura particolare, sincerarmi che abbia dei vestitini e quanto le serve?
Prima dell'intervento, sapendo che corre dei rischi, la battezzo di nascosto (gli altri colleghi non avrebbero condiviso la mia scelta). Sento così di metterla nelle mani di Dio.
L'intervento va bene, ma io vorrei trattenerla in reparto ancora qualche giorno per trovare una famiglia affidataria che possa prendersi cura di lei. Il primario però la vuole dimettere subito, non vuole seccature, né avere a che fare con il Tribunale dei minori. Il suo è un netto atteggiamento di contrasto verso il mio interessamento, veramente inspiegabile. Sono costretta ad arrendermi e non riesco a fare altro per quella bambina.
Mi dicono che sarà trasferita in una casa famiglia. Dopo pochi giorni trapela la notizia che la bimba è morta. Rimango come pietrificata: forse se fossi riuscita a trovarle una famiglia questo non sarebbe accaduto... ma nel cuore mi torna la pace ripensando al momento del battesimo. Ora è davvero fra le braccia di Dio.
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2a domenica di Pasqua (C) (7 aprile 2013)
Abbiamo visto il Signore (Gv 20,25)
Il testo evangelico di questa domenica ci presenta Gesù che si mostra risorto prima ai suoi discepoli e poi appare a Tommaso, riunito con loro. I discepoli sono chiusi in casa, terrorizzati a causa dei giudei; la mancanza di fede li fa guardare al mondo con sospetto ed esitazione. In questo contesto avviene l'evento decisivo del venire di Gesù e del suo stare in mezzo a loro. Così Gesù viene come il Risorto e si pone come centro della comunità, del mondo e della storia intera. Gesù dona la sua pace e mostra i segni della sua passione. Guardando quelle piaghe gloriose, i discepoli vedono il Signore e la loro reazione è di una gioia incontenibile. È ormai il tempo della Chiesa che sperimenta la presenza del Risorto e impara a leggere la storia alla luce della risurrezione.
E noi quando possiamo dire di aver visto il Signore? Quando passiamo dalla paura alla fede, dalla tristezza alla gioia, dalla morte alla vita, dalla chiusura alla missione, dall'indifferenza all'accoglienza, dall'accusa al perdono.
Testimonianza di Parola vissuta
Nel 1988 mi ammalai di uveite cronica, un'infezione agli occhi. Si trattava di una malattia inguaribile che mi provocava terribili dolori e che mi stava facendo diventare cieca. In due mesi la mia vista era passata da dieci decimi a due. I medici non davano alcuna speranza.
Da diversi anni sentivo forte il desiderio di dedicarmi ad aiutare chi soffriva ma in quel momento ero costretta ad accantonare tutto quanto. Non potevo fare niente nelle mie condizioni. Mi rivolsi a Dio dicendogli che se voleva che andassi tra la gente in difficoltà, se davvero quello era il suo volere, allora doveva donarmi un minimo di salute per permettermi di compiere la sua volontà.
Quella sera andai a dormire presto. Il giorno dopo sarei dovuta andare in ospedale per le consuete iniezioni di cortisone. Ma quando fui in ospedale, il medico che mi visitò rimase interdetto. Chiese ai colleghi se mi era stata somministrata qualche altra medicina di cui lui non era a conoscenza. Era allibito. Chiese un parere ad altri specialisti, mi visitarono anche loro. Poi mi dissero: "La malattia è scomparsa. Non c'è più. Non sappiamo dare una spiegazione." Nei giorni seguenti feci altri controlli: la mia vista era di undici decimi, meglio di prima.
Con un segno del genere, mi era impossibile non capire. Dedicai la mia vita completamente a Dio e alle persone in difficoltà. Iniziai ad andare alla stazione Termini di Roma, nei sottopassaggi della metropolitana. Fu un'esperienza allucinante. Quello era un vero inferno dantesco: ubriachi che si accoltellavano, prostitute, ragazzi che si drogavano. Vidi un ragazzo a terra, corsi ad aiutarlo. Si chiamava Angelo. Lui è stato il primo. Da quel momento nacque "Nuovi Orizzonti". All'inizio eravamo solo io e un'amica, poi crescemmo di numero... Volevo dividere quel "segreto" che Gesù ci ha lasciato: amatevi come io vi ho amato. E queste cose le volevo dividere con chi era più disperato.
Chiara Amirante, fondatrice della comunità "Nuovi Orizzonti"
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3a domenica di Pasqua (C) (14 aprile 2013)
Simone, mi ami? (Gv 21,16)
Il Vangelo di questa domenica ci presenta i discepoli all'opera. Non sono più al chiuso, ma all'aperto presso il lago di Tiberiade, luogo della vita quotidiana, dove alla fine della giornata condividono il pasto con Gesù Risorto. Chi mangia il Corpo del Signore vive di Lui e in Lui: riceve il suo Spirito, che gli fa riconoscere il Risorto e lo rende capace di testimoniarlo. Uniti a Lui, nell'Eucaristia, e ascoltando la sua parola, il nostro lavoro diventa fecondo.
Il centro di tutto, è importante ricordarcelo, è l'amore a Gesù. Esso ci permette di dimorare in Lui. È bello un Dio che mi chiede: mi ami tu? A dirmi che l'Amore desidera essere amato. E noi possiamo amare perché siamo stati amati fino alla fine. Come Pietro: è roccia e pastore non per merito, ma per grazia, poiché la sua solidità viene unicamente dal Signore. Gesù pone una domanda fondamentale; non chiede a Pietro competenze particolari, se non quella per cui siamo stati creati: la capacità di amare, che ci permette di essere quello per cui siamo stati creati: immagine e somiglianza di un Dio che è amore. Non è questione di essere superiori o migliori, ma di amare sempre di più. Il cuore della Chiesa è l'amore.
Testimonianza di Parola vissuta
Ho lavorato per due anni con uno che, da un giorno all'altro, si è rifiutato di lavorare in coppia con me. Io cercai di parlargli, di capire il perché. Mi diede delle risposte piuttosto evasive, non riuscivo a capire bene cosa gli avessi fatto di male. Io ci pativo: "Abbiamo lavorato così a lungo insieme, se c'era qualcosa in me che non ti andava, perché non me l'hai detto?", gli facevo. Comunque, gli ho chiesto di perdonarmi se in qualche misura l'avessi offeso o irritato ed ho rispettato la sua scelta. Era dura, visto che il collega non mi parlava più; addirittura, quando mi incontrava, faceva gesti scaramantici piuttosto pesanti. Io continuavo a salutarlo: ma a volte mi veniva una gran rabbia addosso, l'avrei quasi sbattuto al muro; però cercavo di dirmi: anche lui è mio fratello, devo continuare a volergli bene. E allora pregavo per lui, lo salutavo. È durata un annetto questa situazione. Finché un giorno ha ripreso a rispondere al saluto, a chiedermi qualcosa, se gli fosse servito. Non mi risparmia ancora qualche punzecchiatura, ma ormai non mi pesa più, perché credo di essere chiamato a voler bene e basta.
Come ho cercato di fare con tutti. Pure con quel musulmano che, da quando ha scoperto che mi comportavo gentilmente con lui per una mia scelta di vita e non per convertirlo al cristianesimo, mi ha regalato un Corano e mi ha presentato ai connazionali come il "suo amico cristiano, di cui si ricorda cinque volte al giorno nella preghiera". Anche se io, com'è mio dovere, con lui e con altri – se è il caso – non ho timore di fare la multa. "Con amore", s'intende.
Marco Pacetti, vigile urbano di Roma
(morto il 2 marzo 2010)
4a domenica di Pasqua (C) (21 aprile 2013)
Io conosco le mie pecore ed esse mi seguono (Gv 10,27)
Riprendendo il simbolo del gregge e delle pecore, già usato in precedenza nel discorso del buon pastore (Gv 10,2), Gesù afferma che le sue pecore gli sono donate dal Padre: esse ascoltano la voce del pastore e il pastore le conosce; attraverso l'ascolto giungono all'esperienza del suo amore e lo possono seguire.
Perché ascoltare è porre realmente attenzione a ciò che si sente e soprattutto è mettersi in gioco nell'atteggiamento dell'obbedienza.
Il discepolo è uno che ascolta. L'ascolto vero suppone un atteggiamento cordiale e amichevole verso colui che parla. È una conoscenza esperienziale, una relazione affettiva, amorosa.
A questo amore possiamo rispondere col seguire Lui come l'ideale della nostra vita e contribuire a costruire l'unica famiglia di fratelli e di figli del Padre celeste.
Testimonianza di Parola vissuta
Recentemente avevo programmato di partecipare ad un incontro in parrocchia. Mio marito ed io avevamo organizzato in modo tale per cui quando lui fosse tornato a casa dal lavoro, lui si sarebbe fermato con John e io sarei andata all'incontro.
Questo passarsi di mano il dovere di genitori verso nostro figlio John che ha la sindrome di Down capitava un po' troppo spesso ultimamente. Avevo notato che si accompagnava ad un peggioramento del suo comportamento. Facendo alcuni passi interiori e concreti, ho deciso di lasciare l'incontro per stare con lui. Il suo atteggiamento cambiò da quello della sfida all'opposto quando seppe che tutti e tre saremmo rimasti a casa insieme. Mentre preparavamo la cena, John si è fermato improvvisamente vicino a me e mi ha detto: "Mi dispiace per essere stato sgarbato, mamma. Ricominciamo?". Si riferiva a qualcosa che aveva fatto il giorno prima. Sono stata contenta che si fosse persino ricordato dell'offesa. Abbiamo gioito e ricominciato tutti insieme di nuovo. È stata una bellissima sera. Lui era molto felice quando è andato a letto. E anch'io.
R.S., USA.
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5a domenica di Pasqua (C) (28 aprile 2013)
Amatevi anche voi gli uni gli altri (Gv 13,34)
Continuiamo in questa domenica ad approfondire la novità della Pasqua nella storia. Dio fa cose nuove e ci invita ad entrare nella sua novità. Lo Spirito Santo, esperto in novità, continua a sospingere noi battezzati a trovare, nella concretezza del nostro vivere, nuovi cammini di dono di sé. Il centro del brano evangelico è il Comandamento Nuovo. È il comandamento del tempo della Chiesa: la comunione fraterna è il luogo nel quale Gesù continua ad essere presente e trova in Lui il modello, l'origine e la misura. È il fatto di essere amati da Gesù che ci spinge alla fraternità e, prima ancora, ce la rende possibile.
L'evangelista Giovanni insiste sulla reciprocità dell'amore: amatevi gli uni gli altri. L'amore reciproco ha come modello la Croce: è un amore universale e gratuito. La Chiesa è chiamata ad essere una comunità che si ama e ama: una comunità in grado di mostrare l'amore di Dio per tutti. Non si tratta di essere abitati da buoni sentimenti, né da emozioni intense. L'amore proposto da Gesù ha il sapore della concretezza: aperto a tutti, disponibile all'accoglienza e alla misericordia, pronto al servizio, all'agire per l'altro, a prendere su di sé carichi da cui si liberano le spalle altrui, ad accettare di sacrificarsi per il bene altrui. Un amore che si vive in famiglia e sul posto di lavoro, a scuola e nel tempo libero, nella comunità cristiana.
Testimonianza di Parola vissuta
È un periodo che "ho un debole" per le persone sole e sento un forte desiderio di aiutarle in qualche modo, di dare loro un po' d'amore.
Giovedì scorso stavo andando in parrocchia e vedo una signora molto anziana che tira la borsa a fatica. La saluto, chiedo come va e mi dice: "Ho 90 anni, vivo sola e ora vado a gettare le immondizie. Ho due figli ma sono lontani". Chiedo se ha bisogno di aiuto. "Ora no – dice lei – ma quando faccio la spesa non riesco a portarla a casa anche perché abito al secondo piano e senza ascensore". Mi sono fermata a chiacchierare affinché lei mi potesse conoscere un po'. Alla fine le ho detto che posso aiutarla perché ho certi pomeriggi liberi e, se vuole, le ho lasciato nome e telefono.
Il mercoledì dopo mi chiama se posso andare con lei al supermercato. Ci incontriamo, lei fa la spesa, io spingo il carrello, lei paga, io metto nella borsa ed entrambe andiamo a casa sua. Le metto tutta la merce sul tavolo e mi parla, vuole offrirmi un caffè. La sto salutando quando lei dice: "L'ha mandata un angelo!". "Eh sì – dico io – ma mi telefoni ancora".
Nella strada di ritorno sentivo dentro la felicità perché ero stata utile ad una persona.
N.F., Verona
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6a domenica di Pasqua (C) (5 maggio 2013)
Non sia turbato il vostro cuore (Gv 14,27)
Il cristiano è abitato dalla gioia per poter essere messaggero credibile della gioia. La Pasqua è il tempo privilegiato nel quale vivere la missione che ci è stata affidata. Se ci guardiamo attorno, facilmente ci accorgiamo della violenza e indifferenza che attanagliano tante persone. E sappiamo anche che in ogni cuore c'è un bisogno profondo di pace.
"Non sia turbato il vostro cuore": Gesù lo dice a ciascuno di noi. Egli ci dona la pace, perché è la Pace. È la pace, fonte di gioia, è la nota distintiva dell'esistenza del cristiano. E se il turbamento genera paura, la pace la toglie.
Chi ha incontrato il Risorto, chi vive alla presenza di Gesù, è nella pienezza della vita e della gioia, dell'amore e del servizio.
Testimonianza di Parola vissuta
Secondo mia suocera non ero la donna giusta per suo figlio; lo diceva apertamente a tutti... Soffrivo in silenzio. Quando però ho visto che mi aveva messo contro i figli e il marito mi sono ribellata. Ho pensato che doveva andarsene da casa nostra.
Ricordavo tutto il male che mi aveva fatto, ma insieme mi veniva anche una domanda: "Tutto questo è vero, ma tu l'hai amata come te stessa?". Forse avevo cercato di amarla, ma male. Ora dovevo guardarla non più come una suocera di cattivo umore, ma solo un prossimo da amare. Dovevo cambiare io per prima. Per esempio non dovevo più presentarla negativamente a mio marito, ma mettere in luce quello che faceva di bello.
Ho incominciato. Ogni occasione era buona per amarla: di fronte al suo rifiuto di mangiare o di rispondere al mio saluto, non mi rattristavo più. Quando era ammalata sentivo di doverla servire proprio come avrei fatto con un figlio. Lentamente questo atteggiamento cambiava l'atmosfera di casa. Mia suocera diventava gentile, attenta agli altri e soprattutto ai bambini. Un giorno mi ha perfino dato, tra lo stupore di tutti, un nome nuovo: Ikenje, che significa "dono di Dio". Ormai eravamo diventate madre e figlia.
P.E.J., Camerun
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Ascensione del Signore (C) (12 maggio 2013)
E stavano sempre nel tempio lodando Dio (Lc 24,53)
Gesù, salendo al cielo, invita i suoi a rimanere in Gerusalemme, finché non saranno rivestiti di Potenza dall'alto. Il comando di Gesù prepara l'evento della Pentecoste, ma ha anche l'intento di evitare che gli apostoli, spinti dall'entusiasmo, pensino di poter attuare la missione da soli. Il tempo dell'attesa da una parte àncora la comunità nascente a ciò che è avvenuto a Gerusalemme, dall'altra le fa capire come abbia bisogno di essere rivestita dallo Spirito Santo.
In definitiva, se la comunità dei discepoli è invitata a restare in città per ricevere lo Spirito, questo significa che essa è rimandata continuamente ad un dovere che è anche una promessa. Costruendo fraternità, raccogliendo in unità storie tanto diverse e dando loro la forma di un'incessante invocazione allo Spirito, la comunità si apre al dono del Risorto e trova la forza e le parole adatte per annunciare il Vangelo, per imboccare le vie che permettono di giungere al cuore di tutti gli uomini.
Testimonianza di Parola vissuta
La malattia di papà condizionava il clima familiare, creando fra tutti una forte tensione.
Chiedevo a Dio la guarigione completa di papà così da tornare ad essere la famiglia di sempre. Ma la situazione non cambiava, anzi sembrava peggiorasse. Non vedere esaudite le mie preghiere, pian piano mi ha allontanato da Dio.
Un vicino di casa, sapendo della mia situazione, ha iniziato ad invitarmi con il suo gruppo di amici. Mi trovavo bene con loro, il modo di stare insieme mi dava pace. Quando ho raccontato che non credevo più in Dio perché non ascoltava le mie preghiere, loro mi hanno ascoltato in un grande silenzio. Poi mi hanno proposto, se ero contento, di chiedere insieme a Gesù il bene che Lui desiderava per la mia famiglia. Sono tornato a casa con una pace nuova in me.
Prima di entrare, ancora un piccolo dubbio, ma, appena aperta la porta, ho trovato papà ad accogliermi con un grande sorriso. Ho capito che dovevo chiedere a Dio l'amore per iniziare ad amare, io per primo, quanti mi erano accanto.
R.U.
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Pentecoste (C) (19 maggio 2013)
Lo Spirito Santo vi insegnerà ogni cosa (Gv 14,26)
Oggi, solennità di Pentecoste, il centro della nostra attenzione è il dono dello Spirito Santo che genera la Chiesa e rende possibile un mondo rinnovato. Gesù promette lo Spirito Paraclito, che cioè insegna e ricorda alla Chiesa le parole del Signore.
Grazie allo Spirito, la relazione tra il cristiano e Cristo, tra il discepolo e il Maestro, diventa comunione intima, scambio vitale. Lo Spirito Santo è la vita di Dio e ci insegnerà e imprimerà nel nostro cuore il Figlio. È il nostro Maestro interiore, che ci rende "tutti istruiti da Dio" (Is 54,13).
D'ora in avanti Dio sarà in noi con il suo Spirito, l'Amore che ci fa conoscere tutto. E sentiamo che non è solo una conoscenza intellettuale, ma esperienziale. Mediante lo Spirito siamo immersi nella vita di Dio, nella vita del Figlio. Lo Spirito è dono che va accolto, ma anche che mette in cammino fino a giungere, come dice san Paolo, al "non son più io che vivo, ma Cristo vive in me".
Testimonianza di Parola vissuta
La mamma di Armelle aveva abbandonato la Chiesa e faceva una vita disordinata, fra alcool e altro, perché suo marito l'aveva lasciata ed era andato ad abitare con un'altra donna.
Tutte le domeniche, quando la mamma portava Armelle e la sorella, ancora ragazza, dal papà, Armelle le ricordava di metterle il vestito bello per andare alla Messa e lì, con la sorella, affidavano a Gesù il papà e la mamma.
Quest'ultima, profondamente colpita dall'atteggiamento delle figlie, è ritornata ben presto ai sacramenti, abbandonando le cattive compagnie.
Dopo alcuni mesi il papà ha ricominciato ad andare a casa a trovarle tutte e tre con più frequenza e, preso dal clima che c'era e dal cambiamento della moglie, ha lasciato l'altra donna ed è tornato nella sua famiglia. E ben presto insieme sono ritornati anche alla Chiesa.
G. L., Burkina Faso
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