XXVI Domenica del Tempo ordinario (C)




Omelie - Il Vangelo della domenica
a cura di Goffredo Boselli
Vita Pastorale (n. 8/2025)


ANNO C – 28 settembre 2025
XXVI Domenica del Tempo ordinario

Amos 6,1.4-7 • Salmo 145 • 1 Timoteo 6,11-16 • Luca 16,19-31
(Visualizza i brani delle Letture)


CONSOLAZIONE E TORMENTI

Questa parola dell'Evangelo ci disorienta, ci destabilizza, dal momento che può essere per noi una parola di consolazione, ma anche di giudizio. Di consolazione nel senso che per coloro che hanno subìto ingiustizie e che in questo modo hanno sofferto e pianto, come il povero Lazzaro, vi saranno una giustizia e una consolazione: «Beati voi che ora piangete», proclama Gesù in un altro passo di Luca, «perché riderete». Perché «beati voi che piangete? », perché chi non si fa giustizia ricorrendo alla violenza, ma accetta di non vendicarsi dell'ingiustizia subìta è uno che soffre, che versa lacrime di dolore e talvolta di rabbia e disperazione. Il Signore stesso asciugherà ogni lacrima dai loro occhi, offrendo consolazione e pienezza di vita. A coloro che non si fanno giustizia con la violenza questa parabola dice: ci sarà consolazione e ci sarà una giustizia.
Tuttavia, queste sono anche parole di giudizio e non solo di consolazione. Sono per noi parola di giudizio perché dobbiamo identificarci con l'uomo ricco. Certo, qui il linguaggio è forte: si parla dell'inferno, del fuoco eterno, ma questo linguaggio è da interpretare come uno sprone, un invito pressante alla conversione qui e ora. Ciò che questo Vangelo vuole dire a ogni ricco, a ognuno che possiede in abbondanza denaro e beni, e che se non vive i doni che possiede in una logica di giustizia e condivisione, l'esito sarà che si troverà solo, nel tormento e nella sofferenza. Non solo dopo la morte, ma già qui sulla terra, perché il giudizio comincia quaggiù, quando, invece che nella comunione che apre alla condivisione, ci troviamo soli per aver voluto soddisfare la nostra brama di abbondanza.
Non a caso, l'Evangelo dice che Lazzaro fu «portato dagli angeli accanto ad Abramo», più esattamente fu accolto «nel grembo di Abramo». Abramo è presentato come il padre dei credenti, che vivendo ormai in Dio, accoglie nella sua comunione tutti coloro che, nella fede, sono suoi figli. Il povero Lazzaro viene accolto in una relazione di amore che egli non ha sperimentato sulla terra. Mentre del ricco, al quale non si dà un nome forse perché pone la sua identità nelle ricchezze, si dice prosaicamente che alla sua morte "fu sepolto", che va negli inferi, e si trova da solo immerso nei tormenti.
L'uomo ricco si rende conto che la sua situazione di tormenti è legata all'indifferenza verso gli altri che ha avuto nella sua vita passata. Ma questo è qualcosa su cui non ha più alcun controllo. Sperimenta quindi l'impotenza di non poter fare nulla per cambiare la sua vita. Impotenza che si estende persino al non poter avvertire i suoi cari per impedire loro di commettere i suoi stessi errori. Questa è una buona definizione di una situazione infernale: prendere coscienza dei propri errori e non essere in grado di fare nulla per cambiarne le conseguenze.
No, le ricchezze non pagano, o meglio, non appagano, e la sete del nostro cuore, di cui è figura la sete di questo ricco, può essere appagata solo dall'amore. Amore che si dà, poiché «c'è più gioia nel dare che nel ricevere» (At 20,35), c'è più gioia nel condividere che nel possedere.
Se l'inferno è impotenza, la vita che viviamo è possibilità di poter cambiare la nostra vita ancora e ancora. L'Evangelo, ancora una volta, apre un cammino di vita e di responsabilità.


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