IV Domenica di Pasqua (C)




Omelie - Il Vangelo della domenica
a cura di Goffredo Boselli
Vita Pastorale (n. 5/2025)


ANNO C – 11 maggio 2025
IV Domenica di Pasqua

Atti 13,14.43-52 • Salmo 99 • Apocalisse 7,9.14b-17 • Giovanni 10,27-30
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ASCOLTANO LA MIA VOCE

«Le mie pecore ascoltano la mia voce». Quello che Gesù esprime non è un desiderio, non dichiara la speranza di essere ascoltato dalle sue pecore, ma confessa una certezza, costata una realtà. Ciò che fa di Gesù il pastore buono è che rivolge la parola alle sue pecore, e ciò che le fa essere sue pecore è l'ascolto della sua voce. Questa è la condizione per essere da lui definite "mie pecore". La voce del pastore è una e le pecore sono molte, a significare che ciò che fa delle molte pecore un gregge è l'ascoltare la voce del loro pastore e non altre voci, la sua parola e non altre parole. Il pastore è Parola, le pecore sono ascolto; la relazione pastore e pecore è quella particolarissima sinergia che nasce tra chi parla e chi ascolta, quel legame che si stabilisce tra chi nutre con la parola e chi si sazia dell'ascolto, tra chi ha fame di senso e chi ha parole che danno vita, parole che nutrono il cuore e la mente.
«Le mie pecore ascoltano», a indicare un modo di essere, un'attitudine permanente e stabile, non occasionale. L'ascolto è per loro una scelta, è frutto della volontà e della libertà di fare dell'ascolto la linfa vitale della loro relazione con il pastore. L'ascolto è fondamentale per ogni relazione ed è la principale capacità, quell'attitudine interiore decisiva che permette di instaurare legami destinati a rimanere solidi e vivi. Quelle che il pastore chiama "le mie pecore" ascoltano la sua voce perché hanno imparato a zittire le altre voci, i rumori inutili, i pensieri gravosi che impediscono di accogliere la voce del pastore.
L'ascolto produce frutti, il primo è la conoscenza: «Io le conosco». Ci si attenderebbe che l'ascolto della voce del pastore fosse la conoscenza di lui da parte delle pecore, invece è il pastore che dichiara di conoscerle. Ascoltando la sua voce le pecore si lasciano conoscere dal loro pastore, a dire che il primo frutto di un ascolto profondo e sincero dell'altro è lasciare che lui ci conosca. Ascoltare significa svelarsi, denudarsi fino a consegnarsi a colui che ascoltiamo. Ascoltare la Parola è per noi discepoli lasciarci conoscere dalla Parola, per poi scoprire che siamo già conosciuti da colui che bramiamo conoscere, e ammettere con il salmista: «Signore, tu mi scruti e mi conosci...».
«Esse mi seguono»: il secondo frutto dell'ascolto è la sequela. Solo ascoltando la sua voce possono seguire lui e non altri. Noi siamo discepoli della parola che ascoltiamo, una parola che entra in noi e ci attira a sé, vincendo il demone della dispersione mentale o la tendenza a chiuderci in noi stessi. Per questo, la parola del pastore non è solo nutrimento, ma è anche orientamento e guida. Le pecore riconoscono la voce, si affidano alla parola e seguono il pastore che li precede, li conduce «alle fonti delle acque della vita » (Ap 7,17), li «guida sul giusto sentiero per amore del suo Nome» (Sal 23). Nel deserto della prova e nella valle della morte scopriamo che il pastore è fedele, non ci ha abbandonati, e rivolgendoci a lui riconosciamo: «Tu sei con me» (Sal 23).
«Io do loro la vita eterna»: l'esito dell'ascolto, della conoscenza e della sequela è ricevere dal pastore la vita, quella eterna. Che non si riferisce alla durata ma alla sua qualità. È vita viva, piena, abbondante. Gesù non ci assicura solo che la morte vincerà la vita, ma anche che permetterà alla vita di sbocciare in una forma nuova, completa e definitiva. «Nessuno le strapperà dalla mia mano», questo dev'essere per noi una certezza: nessun essere e nessuna realtà può strapparci dalla mano del pastore.


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