Tempo ordinario (C) [2] - 2025



Parola che si fa vita


Commenti e Testimonianze sulla Parola (da Camminare insieme)

Con la Domenica di Pasqua 2024 è terminata la pubblicazione dei commenti a cura di Camminare insieme.
Continuo la pubblicazione con i commenti alla Parola di papa Francesco.



"Parola-sintesi" proposta per ogni domenica,
corredata da un commento e da una testimonianza.


Santissima Trinità (15 giugno 2025)
Vi guiderà a tutta la verità (Gv 16,13)

Corpus Domini (22 giugno 2025)
Voi stessi date loro da mangiare (Lc 9,13)

Santi Pietro e Paolo (29 giugno 2025)
[13a domenica del tempo ordinario]
Ma voi chi dite che io sia? (Mt 16,15)

14a domenica del tempo ordinario (6 luglio 2025)
La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! (Lc 10,2)

15a domenica del tempo ordinario (13 luglio 2025)
Va' e anche tu fai così (Lc 10,37)

16a domenica del tempo ordinario (20 luglio 2025)
Seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola (Lc 10,39)

17a domenica del tempo ordinario (27 luglio 2025)
Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete (Lc 11,9)

18a domenica del tempo ordinario (3 agosto 2025)
Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia (Lc 12,15)

19a domenica del tempo ordinario (10 agosto 2025)
Perché, dov'è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore (Lc 12,34)

Assunzione della Beata Vergine Maria (15 agosto 2025)
Benedetta tu fra le donne (Lc 1,42)

20a domenica del tempo ordinario (17 agosto 2025)
Sono venuto a gettare fuoco sulla terra (Lc 12,49)

21a domenica del tempo ordinario (24 agosto 2025)
Vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi (Lc 13,30)

22a domenica del tempo ordinario (31 agosto 2025)
Chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato (Lc 14,11)

23a domenica del tempo ordinario (7 settembre 2025)
Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo (Lc 14,27)

Esaltazione della santa Croce (14 settembre 2025)
[24a domenica del tempo ordinario]
Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo (Gv 3,13)

25a domenica del tempo ordinario (21 settembre 2025)
Non potete servire Dio e la ricchezza (Lc 16,13)

26a domenica del tempo ordinario (28 settembre 2025)
Padre Abramo, abbi pietà di me (Lc 16,24)

27a domenica del tempo ordinario (5 ottobre 2025)
Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare (Lc 17,10)

28a domenica del tempo ordinario (12 ottobre 2025)
…e gli altri nove dove sono? (Lc 17,17)

29a domenica del tempo ordinario (19 ottobre 2025)
Io vi dico che farà loro giustizia prontamente (cf Lc 18,8)

30a domenica del tempo ordinario (26 ottobre 2025)
Due uomini salirono al tempio a pregare (Lc 18,13)

Tutti i Santi (1° novembre 2025)
Rallegratevi ed esultate (Mt 5,12a)

Commemorazione dei fedeli defunti (2 novembre 2025)
[31a domenica del tempo ordinario]
Che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato (Gv 6,39)

Dedicazione della Basilica Lateranense (9 novembre 2025)
[32a domenica del tempo ordinario]
Non fate della casa del Padre mio un mercato! (Gv 2,16)

33a domenica del tempo ordinario (16 novembre 2025)
Io vi darò parola e sapienza (Lc 21,15)

Cristo Re - 34a domenica del T. O. (23 novembre 2025)
Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno (Lc 23,42)



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Santissima Trinità (15 giugno 2025)
Vi guiderà a tutta la verità (Gv 16,13)

Oggi, festa della Santissima Trinità, il Vangelo di san Giovanni ci presenta un brano del lungo discorso di addio, pronunciato da Gesù poco prima della sua passione. In questo discorso Egli spiega ai discepoli le verità più profonde che lo riguardano; e così viene delineato il rapporto tra Gesù, il Padre e lo Spirito. Gesù sa di essere vicino alla realizzazione del disegno del Padre, che si compirà con la sua morte e risurrezione; per questo vuole assicurare ai suoi che non li abbandonerà, perché la sua missione sarà prolungata dallo Spirito Santo. Ci sarà lo Spirito a prolungare la missione di Gesù, cioè a guidare la Chiesa avanti.
Gesù rivela in che cosa consiste questa missione. Anzitutto lo Spirito ci guida a capire le molte cose che Gesù stesso ha ancora da dire. Non si tratta di dottrine nuove o speciali, ma di una piena comprensione di tutto ciò che il Figlio ha udito dal Padre e che ha fatto conoscere ai discepoli. Lo Spirito ci guida nelle nuove situazioni esistenziali con uno sguardo rivolto a Gesù e, al tempo stesso, aperto agli eventi e al futuro. Egli ci aiuta a camminare nella storia saldamente radicati nel Vangelo e anche con dinamica fedeltà alle nostre tradizioni e consuetudini.
Ma il mistero della Trinità ci parla anche di noi, del nostro rapporto con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Infatti, mediante il Battesimo, lo Spirito Santo ci ha inseriti nel cuore e nella vita stessa di Dio, che è comunione di amore. Dio è una "famiglia" di tre Persone che si amano così tanto da formare una sola cosa. Questa "famiglia divina" non è chiusa in sé stessa, ma è aperta, si comunica nella creazione e nella storia ed è entrata nel mondo degli uomini per chiamare tutti a farne parte. L'orizzonte trinitario di comunione ci avvolge tutti e ci stimola a vivere nell'amore e nella condivisione fraterna, certi che là dove c'è amore, c'è Dio.
Il nostro essere creati ad immagine e somiglianza di Dio-comunione ci chiama a comprendere noi stessi come esseri-in-relazione e a vivere i rapporti interpersonali nella solidarietà e nell'amore vicendevole. Tali relazioni si giocano, anzitutto, nell'ambito delle nostre comunità ecclesiali, perché sia sempre più evidente l'immagine della Chiesa icona della Trinità. Ma si giocano in ogni altro rapporto sociale, dalla famiglia alle amicizie all'ambiente di lavoro: sono occasioni concrete che ci vengono offerte per costruire relazioni sempre più umanamente ricche, capaci di rispetto reciproco e di amore disinteressato.
La festa della Santissima Trinità ci invita ad impegnarci negli avvenimenti quotidiani per essere lievito di comunione, di consolazione e di misericordia. In questa missione, siamo sostenuti dalla forza che lo Spirito Santo ci dona: essa cura la carne dell'umanità ferita dall'ingiustizia, dalla sopraffazione, dall'odio e dall'avidità.

(Francesco, Angelus, 22 maggio 2016)



Testimonianza di Parola vissuta

Ho sempre vissuto nella paura di perdere mio marito, di rimanere sola in mezzo a difficoltà economiche.
Un giorno lui è stato colpito da emorragia cerebrale e mentre era ricoverato io mi sono trovata ad avere tanto da fare con i sei bambini, dei quali la più piccola di pochi mesi.
Il positivo di questo avvenimento doloroso è stato che il nostro figlio maggiore, sentendosi più responsabile, ha cambiato l'atteggiamento negativo che aveva verso di noi.
Anch'io sono diventata più intraprendente e mi sono trovata a trattare mio marito in modo diverso, perché non era più quello di prima.
Ora il matrimonio, la vita di famiglia, hanno acquistato una profondità e una tenerezza nuove.

G.Z. - Austria

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Corpus Domini (22 giugno 2025)
Voi stessi date loro da mangiare (Lc 9,13)

L'apostolo Paolo, scrivendo alla comunità di Corinto, riporta il comando di Gesù nel racconto dell'istituzione dell'Eucaristia: Fate questo in memoria di me.
«Fate questo». Cioè prendete il pane, rendete grazie e spezzatelo; prendete il calice, rendete grazie e distribuitelo. Gesù comanda di ripetere il gesto con cui ha istituito il memoriale della sua Pasqua, mediante il quale ci ha donato il suo Corpo e il suo Sangue. E questo gesto è giunto fino a noi: è il "fare" l'Eucaristia, che ha sempre Gesù come soggetto, ma si attua attraverso le nostre povere mani unte di Spirito Santo.
«Fate questo». Gesù aveva chiesto ai discepoli di "fare", quello che Lui aveva già chiaro nel suo animo, in obbedienza alla volontà del Padre. Lo abbiamo ascoltato poco fa nel Vangelo. Davanti alle folle stanche e affamate, Gesù dice ai discepoli: «Voi stessi date loro da mangiare». In realtà, è Gesù che benedice e spezza i pani fino a saziare tutta quella gente, ma i cinque pani e i due pesci vengono offerti dai discepoli, e Gesù voleva proprio questo: che, invece di congedare la folla, loro mettessero a disposizione quel poco che avevano. E poi c'è un altro gesto: i pezzi di pane, spezzati dalle mani sante e venerabili del Signore, passano nelle povere mani dei discepoli, i quali li distribuiscono alla gente. Anche questo è "fare" con Gesù, è "dare da mangiare" insieme con Lui. È chiaro che questo miracolo non vuole soltanto saziare la fame di un giorno, ma è segno di ciò che Cristo intende compiere per la salvezza di tutta l'umanità donando la sua carne e il suo sangue. E tuttavia bisogna sempre passare attraverso quei due piccoli gesti: offrire i pochi pani e pesci che abbiamo; ricevere il pane spezzato dalle mani di Gesù e distribuirlo a tutti. Fare e anche spezzare!
Spezzare: questa è l'altra parola che spiega il senso del «fate questo in memoria di me». Gesù si è spezzato, si spezza per noi. E ci chiede di darci, di spezzarci per gli altri. Proprio questo "spezzare il pane" è diventato l'icona, il segno di riconoscimento di Cristo e dei cristiani. Ricordiamo Emmaus: lo riconobbero «nello spezzare il pane». Ricordiamo la prima comunità di Gerusalemme: «Erano perseveranti nello spezzare il pane». È l'Eucaristia, che diventa fin dall'inizio il centro e la forma della vita della Chiesa. Ma pensiamo anche a tutti i santi e le sante - famosi o anonimi - che hanno "spezzato" sé stessi, la propria vita, per "dare da mangiare" ai fratelli. Quante mamme, quanti papà, insieme con il pane quotidiano, tagliato sulla mensa di casa, hanno spezzato il loro cuore per far crescere i figli, e farli crescere bene! Quanti cristiani, come cittadini responsabili, hanno spezzato la propria vita per difendere la dignità di tutti, specialmente dei più poveri, emarginati e discriminati! Dove trovano la forza per fare tutto questo? Proprio nell'Eucaristia: nella potenza d'amore del Signore risorto, che anche oggi spezza il pane per noi e ripete: «Fate questo in memoria di me».

(Francesco, Omelia, 26 maggio 2016)



Testimonianza di Parola vissuta

Sulla strada incontro una prostituta; mi fermo, la saluto, le dono la Parola di vita, spiegando che è un pensiero del Vangelo.
«Perché fai questo?», le chiedo. «Ho tre figli da mantenere» è la sua risposta. Poi mi consiglia di portare quel foglietto anche ad una compagna, seduta più avanti dentro una macchina.
Saluto anche lei, mentre le offro la Parola di Vita: «È un pensiero su Gesù». Lei ringrazia e aggiunge che ha appena terminato di recitare il rosario; poi mi mostra un libricino di preghiere a Maria.
Stessa domanda anche a lei. Risponde: «Sono divorziata e ho quattro figli da far mangiare ogni giorno». Insieme recitiamo un'Ave Maria affinché possa trovare un lavoro dignitoso.

M. R. – Segni

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Santi Pietro e Paolo (29 giugno 2025)
[13a domenica del tempo ordinario]
Ma voi chi dite che io sia? (Mt 16,15)

Il Vangelo di questa domenica è il celebre passo, centrale nel racconto di Matteo, in cui Simone, a nome dei Dodici, professa la sua fede in Gesù come «il Cristo, il Figlio del Dio vivente»; e Gesù chiama «beato» Simone per questa sua fede, riconoscendo in essa un dono speciale del Padre, e gli dice: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa».
Fermiamoci un momento proprio su questo punto, sul fatto che Gesù attribuisce a Simone questo nuovo nome: "Pietro", che nella lingua di Gesù suona "Kefa", una parola che significa "roccia". Nella Bibbia questo termine, "roccia", è riferito a Dio. Gesù lo attribuisce a Simone non per le sue qualità o i suoi meriti umani, ma per la sua fede genuina e salda, che gli viene dall'alto.
Gesù sente nel suo cuore una grande gioia, perché riconosce in Simone la mano del Padre, l'azione dello Spirito Santo. Riconosce che Dio Padre ha dato a Simone una fede "affidabile", sulla quale Lui, Gesù, potrà costruire la sua Chiesa, cioè la sua comunità, cioè tutti noi. Gesù ha in animo di dare vita alla "sua" Chiesa, un popolo fondato non più sulla discendenza, ma sulla fede, vale a dire sul rapporto con Lui stesso, un rapporto di amore e di fiducia. Il nostro rapporto con Gesù costruisce la Chiesa. E dunque per iniziare la sua Chiesa Gesù ha bisogno di trovare nei discepoli una fede solida, una fede "affidabile". È questo che Lui deve verificare a questo punto del cammino.
Il Signore ha in mente l'immagine del costruire, l'immagine della comunità come un edificio. Ecco perché, quando sente la professione di fede schietta di Simone, lo chiama "roccia", e manifesta l'intenzione di costruire la sua Chiesa sopra questa fede.
Ciò che è avvenuto in modo unico in san Pietro, avviene anche in ogni cristiano che matura una sincera fede in Gesù il Cristo, il Figlio del Dio vivente. Il Vangelo di oggi interpella anche ognuno di noi. Come va la tua fede? Come trova il Signore i nostri cuori? Un cuore saldo come la pietra o un cuore sabbioso, cioè dubbioso, diffidente, incredulo? Se il Signore trova nel nostro cuore una fede non dico perfetta, ma sincera, genuina, allora Lui vede anche in noi delle pietre vive con cui costruire la sua comunità. Di questa comunità, la pietra fondamentale è Cristo, pietra angolare e unica. Da parte sua, Pietro è pietra, in quanto fondamento visibile dell'unità della Chiesa; ma ogni battezzato è chiamato ad offrire a Gesù la propria fede, povera ma sincera, perché Lui possa continuare a costruire la sua Chiesa, oggi, in ogni parte del mondo.
Anche ai nostri giorni tanta gente pensa che Gesù sia un grande profeta, un maestro di sapienza, un modello di giustizia… E anche oggi Gesù domanda ai suoi discepoli, cioè a noi tutti: «Ma voi, chi dite che io sia?». Che cosa risponderemo? Pensiamoci. Ma soprattutto preghiamo Dio Padre, per intercessione della Vergine Maria; preghiamolo che ci doni la grazia di rispondere, con cuore sincero: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». Questa è una confessione di fede, questo è proprio "il credo".

(Francesco, Angelus, 24 agosto 2014)



Testimonianza di Parola vissuta

Sono algerino e musulmano. Anni fa trafficavo con la mia radio in cerca di un programma in italiano per imparare questa lingua. Mi sono imbattuto in un Rosario di Radio Maria. Maria è venerata anche dai musulmani, ma quella preghiera mi ha fatto rinascere domande rimaste a lungo inevase.
Il Corano parla di Gesù e lo riconosce come uno dei profeti più venerabili. I cristiani invece pretendono di identificarlo addirittura con Dio. Ma se Dio è l'Irraggiungibile, il Potente al quale ogni uomo deve la sua sottomissione, come può essere uomo?
Erano gli anni in cui ogni giorno c'erano attentati, sgozzamenti, minacce. I terroristi citavano il Corano per dare una giustificazione religiosa alle loro crudeltà. Certo qualcuno strumentalizzava il Corano, ma forse più a fondo c'era qualcosa che non andava: tante guerre avevano accompagnato la nascita dell'Islam, tanti versetti del Corano invitano alla violenza. Facevo il confronto con il cristianesimo, con il Dio che domanda e offre amore, che perdona e chiede di perdonare... un Dio che ha il volto dell'amore. Ho continuato ad ascoltare Radio Maria e ho scoperto la bellezza del Vangelo. Era qualcosa che da sempre avrei voluto ascoltare: più conoscevo Gesù e più mi sentivo attirato a Lui. Ho incontrato di nascosto un sacerdote e mi sono preparato al Battesimo.

Antonio

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14a domenica del tempo ordinario (6 luglio 2025)
La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! (Lc 10,2)

L'odierna pagina evangelica presenta Gesù che invia in missione settantadue discepoli, in aggiunta ai dodici apostoli. Il numero settantadue indica probabilmente tutte le nazioni. Infatti nel libro della Genesi si menzionano settantadue nazioni diverse. Così questo invio prefigura la missione della Chiesa di annunciare il Vangelo a tutte le genti. A quei discepoli Gesù dice: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe perché mandi operai nella sua messe!».
Questa richiesta di Gesù è sempre valida. Sempre dobbiamo pregare il "padrone della messe", cioè Dio Padre, perché mandi operai a lavorare nel suo campo che è il mondo. E ciascuno di noi lo deve fare con cuore aperto, con un atteggiamento missionario; la nostra preghiera non dev'essere limitata solo ai nostri bisogni, alle nostre necessità: una preghiera è veramente cristiana se ha anche una dimensione universale.
Nell'inviare i settantadue discepoli, Gesù dà loro istruzioni precise, che esprimono le caratteristiche della missione. La prima: pregate; la seconda: andate; e poi: non portate borsa né sacca…; dite: "Pace a questa casa"…restate in quella casa… Non passate da una casa all'altra; guarite i malati e dite loro: "è vicino a voi il Regno di Dio"; e, se non vi accolgono, uscite sulle piazze e congedatevi. Questi imperativi mostrano che la missione si basa sulla preghiera; che è itinerante: non è ferma, è itinerante; che richiede distacco e povertà; che porta pace e guarigione, segni della vicinanza del Regno di Dio; che non è proselitismo ma annuncio e testimonianza; e che richiede anche la franchezza e la libertà evangelica di andarsene evidenziando la responsabilità di aver respinto il messaggio della salvezza, ma senza condanne e maledizioni.
Se vissuta in questi termini, la missione della Chiesa sarà caratterizzata dalla gioia. E come finisce questo passo? «I settantadue tornarono pieni di gioia». Non si tratta di una gioia effimera, che scaturisce dal successo della missione; al contrario, è una gioia radicata nella promessa che - dice Gesù - «i vostri nomi sono scritti nei cieli». Con questa espressione Egli intende la gioia interiore, la gioia indistruttibile che nasce dalla consapevolezza di essere chiamati da Dio a seguire il suo Figlio. Cioè la gioia di essere suoi discepoli. Ognuno può pensare al nome che ha ricevuto nel giorno del Battesimo: quel nome è "scritto nei cieli", nel cuore di Dio Padre. Ed è la gioia di questo dono che fa di ogni discepolo un missionario, uno che cammina in compagnia del Signore Gesù, che impara da Lui a spendersi senza riserve per gli altri, libero da sé stesso e dai propri averi.

(Francesco, Angelus, 7 luglio 2019)



Testimonianza di Parola vissuta

Studio psicologia e da alcuni anni partecipo ad un progetto di volontariato presso un ospedale della mia città, proposto dalla Pastorale universitaria.
Fin da subito quest'esperienza si è rivelata meravigliosa, tant'è che già l'anno seguente ho voluto attivarmi di più, dando una mano nell'organizzazione e nell'affiancare i nuovi volontari nel contatto
con le persone ricoverate. Scopo principale di quest'attività è portare loro un po' di vicinanza e compagnia.
Parallelamente a questo, viviamo anche altri rapporti: col sacerdote che coordina questo progetto e che insieme alle suore cura la parte spirituale dei nostri incontri, con gli altri volontari (ragazze e ragazzi universitari, operatori), tutti con sensibilità diverse, provenendo chi da realtà legate alla Chiesa e chi da altre esperienze, ma con i quali è bello costatare che è sempre possibile intendersi.
Nel mio caso, i valori assorbiti dalla spiritualità dei Focolari mi hanno sensibilizzata all'attenzione verso chiunque, favorendo con tutti, durante il nostro servizio di volontariato, un forte legame.

Federica – Italia

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15a domenica del tempo ordinario (13 luglio 2025)
Va' e anche tu fai così (Lc 10,37)

Oggi il Vangelo presenta la celebre parabola del "buon samaritano". Interrogato da un dottore della legge su ciò che è necessario per ereditare la vita eterna, Gesù lo invita a trovare la risposta nelle Scritture e dice: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». C'erano però diverse interpretazioni su chi si dovesse intendere come "prossimo". Infatti quell'uomo chiede ancora: «E chi è il mio prossimo?». A questo punto, Gesù risponde con questa bella parabola, diventata paradigmatica della vita cristiana, modello di come deve agire un cristiano.
Protagonista del breve racconto è un samaritano, che incontra lungo la strada un uomo derubato e percosso dai briganti e si prende cura di lui. Sappiamo che i giudei trattavano con disprezzo i samaritani, considerandoli estranei al popolo eletto. Non è dunque un caso che Gesù scelga proprio un samaritano come personaggio positivo della parabola. In questo modo vuole superare il pregiudizio, mostrando che anche uno straniero, anche uno che non conosce il vero Dio e non frequenta il suo tempio, è capace di comportarsi secondo la sua volontà, provando compassione per il fratello bisognoso e soccorrendolo con tutti i mezzi a sua disposizione.
Per quella stessa strada, prima del samaritano, erano già passati un sacerdote e un levita, cioè persone dedite al culto di Dio. Però, vedendo il poveraccio a terra, erano andati oltre senza fermarsi, probabilmente per non contaminarsi col suo sangue. Avevano anteposto una regola umana – non contaminarsi col sangue – legata al culto al grande comandamento di Dio, che vuole anzitutto la misericordia.
Gesù, dunque, propone come modello il samaritano, proprio uno che non aveva fede! Anche noi pensiamo a tanta gente che conosciamo, forse agnostica, che fa del bene. Gesù sceglie come modello uno che non era un uomo di fede. E questo uomo, amando il fratello come sé stesso, dimostra di amare Dio con tutto il cuore e con tutte le forze ed esprime nello stesso tempo vera religiosità e piena umanità.
Dopo aver raccontato questa parabola tanto bella, Gesù si rivolge di nuovo al dottore della legge che gli aveva chiesto «Chi è il mio prossimo?», e gli dice: «Chi di questi ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». In questo modo opera un rovesciamento rispetto alla domanda del suo interlocutore, e anche alla logica di tutti noi. Ci fa capire che non siamo noi che, in base ai nostri criteri, definiamo chi è il prossimo e chi non lo è, ma è la persona in situazione di bisogno che deve poter riconoscere chi è il suo prossimo, cioè «chi ha avuto compassione di lui». Essere capaci di avere compassione: questa è la chiave. Se tu davanti a una persona bisognosa non senti compassione, se il tuo cuore non si commuove, vuol dire che qualcosa non va. La capacità di compassione è diventata la pietra di paragone del cristiano, anzi dell'insegnamento di Gesù. Gesù stesso è la compassione del Padre verso di noi.

(Francesco, Angelus, 14 luglio 2019)



Testimonianza di Parola vissuta

Avevo appena riscosso lo stipendio. I miei aspettavano che arrivassi con i soldi, ma dopo aver saldato alcuni debiti, mi sono reso conto che mi restava pochissimo. In realtà, per qualche disguido, mi avevano dato meno del dovuto. Non capivo come potesse essere successo, ma in quel momento non potevo verificare la cosa con nessuno. Andando tristemente verso casa, ho incontrato un vicino che vive in carrozzella senza possibilità di recupero.
Fino ad allora non avevo avuto molti contatti con questa persona, ma confrontando la mia situazione con la sua, ho riflettuto sul fatto che io, anche se avevo il problema dei soldi, ero sano e potevo lavorare, mentre lui... Ho cominciato a parlargli ed è nato un vero rapporto. Ritengo un dono di Dio questa occasione di "uscire" fuori di me per prestare attenzione ad un prossimo più sfortunato. Dopo alcuni giorni – in azienda avevo segnalato l’ammanco – ho ricevuto il resto del denaro. Io però mi sentivo già arricchito dalla nuova amicizia stabilita.

C. – Romania

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16a domenica del tempo ordinario (20 luglio 2025)
Seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola (Lc 10,39)

Nel brano di questa domenica, l'evangelista Luca narra la visita di Gesù a casa di Marta e di Maria, le sorelle di Lazzaro. Esse lo accolgono, e Maria si siede ai suoi piedi ad ascoltarlo; lascia quello che stava facendo per stare vicina a Gesù: non vuole perdere nessuna delle sue parole. Tutto va messo da parte perché, quando Lui viene a visitarci nella nostra vita, la sua presenza e la sua parola vengono prima di ogni cosa. Il Signore ci sorprende sempre: quando ci mettiamo ad ascoltarlo veramente, le nubi svaniscono, i dubbi cedono il posto alla verità, le paure alla serenità, e le diverse situazioni della vita trovano la giusta collocazione. Il Signore sempre, quando viene, sistema le cose, anche a noi.
In questa scena di Maria di Betania ai piedi di Gesù, san Luca mostra l'atteggiamento orante del credente, che sa stare alla presenza del Maestro per ascoltarlo e mettersi in sintonia con Lui. Si tratta di fare una sosta durante la giornata, di raccogliersi in silenzio, qualche minuto, per fare spazio al Signore che "passa" e trovare il coraggio di rimanere un po' "in disparte" con Lui, per ritornare poi, con serenità ed efficacia, alle cose di tutti i giorni. Lodando il comportamento di Maria, che «ha scelto la parte migliore», Gesù sembra ripetere a ciascuno di noi: "Non lasciarti travolgere dalle cose da fare, ma ascolta prima di tutto la voce del Signore, per svolgere bene i compiti che la vita ti assegna".
C'è poi l'altra sorella, Marta. San Luca dice che fu lei a ospitare Gesù. Forse Marta era la più grande delle due sorelle, non sappiamo, ma certamente questa donna aveva il carisma dell'ospitalità. Infatti, mentre Maria sta ad ascoltare Gesù, lei è tutta presa dai molti servizi. Perciò Gesù le dice: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose». Con queste parole Egli non intende certo condannare l'atteggiamento del servizio, ma piuttosto l'affanno con cui a volte lo si vive. Anche noi condividiamo la preoccupazione di Santa Marta e, sul suo esempio, ci proponiamo di far sì che, nelle nostre famiglie e nelle nostre comunità, si viva il senso dell'accoglienza, della fraternità, perché ciascuno possa sentirsi "a casa", specialmente i piccoli e i poveri quando bussano alla porta.
Dunque, il Vangelo di oggi ci ricorda che la sapienza del cuore sta proprio nel saper coniugare questi due elementi: la contemplazione e l'azione. Marta e Maria ci indicano la strada. Se vogliamo assaporare la vita con gioia, dobbiamo associare questi due atteggiamenti: da una parte, lo "stare ai piedi" di Gesù, per ascoltarlo mentre ci svela il segreto di ogni cosa; dall'altra, essere premurosi e pronti nell'ospitalità, quando Lui passa e bussa alla nostra porta, con il volto dell'amico che ha bisogno di un momento di ristoro e di fraternità.

(Francesco, Angelus, 21 luglio 2019)



Testimonianza di Parola vissuta

Sullo zaino rosso della persona che camminava sul marciapiede, qualche metro davanti a me, spiccava una scritta in bianco: Il tuo punto di forza. Era la prima volta che vedevo uno zaino del genere. E siccome io e l’altro andavamo nella stessa direzione, quella scritta che ballonzolava davanti ai miei occhi non potevo ignorarla. Spontanea mi è sorta la domanda: qual è il mio punto di forza?
Seguita dalla risposta: «Dio!», subito però corretta: «No, è più esatto dire: il mio limite». Ricordavo infatti la frase paolina: «Quando sono debole è allora che sono forte». E questo perché istantaneamente l’ho collegata con ciò che mi aveva detto poche ore prima il sacerdote da cui ero andato a confessarmi: «Evita di deprimerti rimuginando sulle tue mancanze, pensa invece che proprio esse attirano la misericordia di Dio e sii felice». Ecco perché avevo concluso che il mio limite era anche il mio punto di forza.
Non è stata la prima volta in cui, nei miei giri in città, una realtà visibile, ordinaria e perfino banale, mi ha rinviato a una invisibile, spirituale.

R.P. – Italia

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17a domenica del tempo ordinario (27 luglio 2025)
Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete (Lc 11,9)

La nostra preghiera deve essere coraggiosa, non tiepida, se vogliamo non solo ottenere le grazie necessarie ma soprattutto, attraverso essa, conoscere il Signore. Se lo chiediamo, sarà lui stesso a portarci la sua grazia.
Alla necessità di pregare con insistenza se necessario, ma sempre lasciandosi coinvolgere da essa, ci richiama il brano del Vangelo odierno, con la parabola dell’amico invadente, l’amico inopportuno, che a notte fonda va a chiedere a un altro amico del pane per sfamare un conoscente appena giunto in casa sua e al quale non aveva nulla da offrire. Con questa richiesta l’amico deve alzarsi dal letto e dargli il pane. E Gesù in un’altra occasione ci parla di questo: nella parabola della vedova che andava dal giudice corrotto, il quale non la sentiva, non voleva sentirla; ma lei era tanto importuna, infastidiva tanto, che alla fine, per allontanarla in modo che non le desse troppo fastidio, ha fatto giustizia, quello che lei chiedeva. Questo ci fa pensare alla nostra preghiera. Come preghiamo noi? Preghiamo così per abitudine, pietosamente, ma tranquilli, o ci mettiamo con coraggio davanti al Signore per chiedere la grazia, per chiedere quello per il quale preghiamo?
L’atteggiamento è importante perché una preghiera che non sia coraggiosa non è una vera preghiera. Quando si prega ci vuole il coraggio di avere fiducia che il Signore ci ascolta, il coraggio di bussare alla porta. Il Signore lo dice, perché chiunque chiede riceve e a chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto.
Ma la nostra preghiera è così? Oppure ci limitiamo a dire: «Signore ho bisogno, fammi la grazia»? In una parola, ci lasciamo coinvolgere nella preghiera? Sappiamo bussare al cuore di Dio? Per rispondere ritorniamo al brano evangelico, alla fine del quale Gesù ci dice: quale padre tra voi se il figlio gli chiede un pesce gli darà una serpe? O se gli chiede un uovo gli darà uno scorpione? Se voi siete padri darete il bene ai figli. E poi va avanti: se voi dunque che siete cattivi sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo... E ci aspettiamo che prosegua dicendo: darà cose buone a voi. Invece no, non dice quello! Darà lo Spirito Santo a quelli che lo chiedono. E questa è una cosa grande.
Perciò quando noi preghiamo coraggiosamente, il Signore non solo ci dà la grazia, ma ci dà anche se stesso nella grazia. Perché il Signore mai dà o invia una grazia per posta: la porta lui, è lui la grazia!
Sappiamo che una grazia sempre è portata da lui: è lui che viene e ce la dà. Non facciamo la brutta figura di prendere la grazia e non riconoscere che quello che ce la porta, quello che ce la dà, è il Signore.

(Francesco, Meditazione mattutina a Santa Marta,10 ottobre 2013)



Testimonianza di Parola vissuta

Seduto alla scrivania del Centro Caritas presso cui lavoro, sto ascoltando un rifugiato che nell'aspetto e nel vestito denuncia un passato di sofferenza. È disperato perché, da tempo senza lavoro, tra pochi giorni subirà lo sfratto da dove alloggia per non aver pagato l'affitto. Gli chiedo, come faccio con tanti come lui, se ha degli amici qui in città, che possano dargli aiuto. Inaspettata la sua reazione: scoppia in singhiozzi convulsi ripetendo: «Sono solo, solo! Non ho nessuno!». Rimango senza parole, schiacciato da un senso di impotenza. Poi, d'impulso, mi alzo e vado ad abbracciarlo. Pian piano si calma. Si alza anche lui, con tono di voce pacato dichiara: «Ora so che non sono più solo» e fa per andarsene, come se quel semplice gesto fraterno fosse bastato a ridargli speranza. A questo punto sono io a trattenerlo per indicargli come procurarsi dei vestiti, fruire della mensa Caritas e anche di un letto presso il nostro dormitorio. Quando ci separiamo è ormai del tutto sereno.

S. - Italia

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18a domenica del tempo ordinario (3 agosto 2025)
Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia (Lc 12,15)

Il Vangelo di oggi si apre con la scena di un tale che si alza tra la folla e chiede a Gesù di dirimere una questione giuridica circa l'eredità di famiglia. Ma Egli nella risposta non affronta la questione, ed esorta a rimanere lontano dalla cupidigia, cioè dall'avidità di possedere. Per distogliere i suoi ascoltatori da questa ricerca affannosa della ricchezza, Gesù racconta la parabola del ricco stolto, che crede di essere felice perché ha avuto la fortuna di una annata eccezionale e si sente sicuro per i beni accumulati.
Il ricco mette davanti alla sua anima, cioè a se stesso, tre considerazioni: i molti beni ammassati, i molti anni che questi beni sembrano assicurargli e terzo, la tranquillità e il benessere sfrenato. Ma la parola che Dio gli rivolge annulla questi suoi progetti. Invece dei «molti anni», Dio indica l'immediatezza di «questa notte; stanotte morirai»; al posto del «godimento della vita» gli presenta il «rendere la vita; renderai la vita a Dio», con il conseguente giudizio. Per quanto riguarda la realtà dei molti beni accumulati su cui il ricco doveva fondare tutto, essa viene ricoperta dal sarcasmo della domanda: «E quello che ha preparato, di chi sarà?». Pensiamo alle lotte per le eredità; tante lotte di famiglia. E tanta gente, tutti sappiamo qualche storia, che all'ora della morte incomincia a venire: i nipoti, i nipotini vengono a vedere: "Ma cosa tocca a me?", e portano via tutto. È in questa contrapposizione che si giustifica l'appellativo di «stolto» - perché pensa a cose che lui crede essere concrete ma sono una fantasia - con cui Dio si rivolge a quest'uomo. Egli è stolto perché nella prassi ha rinnegato Dio, non ha fatto i conti con Lui.
La conclusione della parabola, formulata dall'evangelista, è di singolare efficacia: «Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio» (v.21). È un ammonimento che rivela l'orizzonte verso cui tutti noi siamo chiamati a guardare. I beni materiali sono necessari – sono beni! -, ma sono un mezzo per vivere onestamente e nella condivisone con i più bisognosi. Gesù oggi ci invita a considerare che le ricchezze possono incatenare il cuore e distoglierlo dal vero tesoro che è nei cieli. Ce lo ricorda anche San Paolo nell'odierna seconda lettura. Dice così: «Cercate le cose di lassù. … rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra».
Questo – si capisce - non vuol dire estraniarsi dalla realtà, ma cercare le cose che hanno un vero valore: la giustizia, la solidarietà, l'accoglienza, la fraternità, la pace, tutte cose che costituiscono la vera dignità dell'uomo. Si tratta di tendere ad una vita realizzata non secondo lo stile mondano, bensì secondo lo stile evangelico: amare Dio con tutto il nostro essere, e amare il prossimo come lo ha amato Gesù, cioè nel servizio e nel dono di sé. La cupidigia dei beni, la voglia di avere beni, non sazia il cuore, anzi provoca di più fame! La cupidigia è come quelle buone caramelle: tu ne prendi una e dice: "Ah! Che buona", e poi prendi l'altra; e una tira l'altra. Così è la cupidigia: non si sazia mai. State attenti! L'amore così inteso e vissuto è la fonte della vera felicità, mentre la ricerca smisurata dei beni materiali e delle ricchezze è spesso sorgente di inquietudine, di avversità, di prevaricazioni, di guerre. Tante guerre incominciano per la cupidigia.

(Francesco, Angelus, 4 agosto 2019)



Testimonianza di Parola vissuta

In comunità ogni giorno chiediamo la benedizione di Dio sui nostri cibi e di saperli condividere con chi non ne ha. All’ora di pranzo bussa il solito mendicante e non avevamo altro che un po’ di polenta per il pranzo e per la cena. E soldi non ne avevamo. Dico al mendicante che purtroppo non abbiamo nulla.
Quando mi siedo a tavola non ho appetito. Poco dopo mi gira nella testa «Date e vi sarà dato». Allora ho preso quello che avevamo e l’ho dato al mendicante che era sempre in attesa. Non molto tempo dopo bussano alla porta. Una ragazza recava un grande piatto di polenta: «Ve lo manda la mamma». Incredibile la puntualità di Dio.

Suor Madeleine – Burkina Faso

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19a domenica del tempo ordinario (10 agosto 2025)
Perché, dov'è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore (Lc 12,34)

Nell'odierna pagina evangelica, Gesù richiama i suoi discepoli alla continua vigilanza. Perché? Per cogliere il passaggio di Dio nella propria vita, perché Dio continuamente passa nella vita. E indica le modalità per vivere bene questa vigilanza: «Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese». Questa è la modalità. Anzitutto «le vesti strette ai fianchi», un'immagine che richiama l'atteggiamento del pellegrino, pronto per mettersi in cammino. Si tratta di non mettere radici in comode e rassicuranti dimore, ma di abbandonarsi, di essere aperti con semplicità e fiducia al passaggio di Dio nella nostra vita, alla volontà di Dio, che ci guida verso la meta successiva. Il Signore sempre cammina con noi e tante volte ci accompagna per mano, per guidarci, perché non sbagliamo in questo cammino così difficile. La vita di fede è un percorso continuo, per dirigersi verso tappe sempre nuove, che il Signore stesso indica giorno dopo giorno.
E poi ci è richiesto di mantenere «le lampade accese», per essere in grado di rischiarare il buio della notte. Siamo invitati, cioè, a vivere una fede autentica e matura, capace di illuminare le tante "notti" della vita. La lampada della fede richiede di essere alimentata di continuo, con l'incontro cuore a cuore con Gesù nella preghiera e nell'ascolto della sua Parola. Questa lampada dell'incontro con Gesù nella preghiera e nella sua Parola ci è affidata per il bene di tutti. La fede vera apre il cuore al prossimo e sprona verso la comunione concreta con i fratelli, soprattutto con coloro che vivono nel bisogno.
E Gesù, per farci capire questo atteggiamento, racconta la parabola dei servitori che attendono il ritorno del padrone quando torna dalle nozze, presentando così un altro aspetto della vigilanza: essere pronti per l'incontro ultimo e definitivo col Signore. Ognuno di noi si incontrerà, si troverà in quel giorno dell'incontro. Dice il Signore: «Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; … E, se giungendo nel mezzo della notte o prima dell'alba, li troverà così, beati loro!». Con queste parole, il Signore ci ricorda che la vita è un cammino verso l'eternità; ogni istante diventa prezioso, per cui bisogna vivere e agire su questa terra avendo la nostalgia del cielo.
Noi non possiamo capire davvero in cosa consista questa gioia suprema, tuttavia Gesù ce lo fa intuire con la similitudine del padrone che trovando ancora svegli i servi al suo ritorno: «si cingerà le sue vesti, li farà mettere a tavola e passerà a servirli». La gioia eterna del paradiso si manifesta così: la situazione si capovolgerà, e non saranno più i servi, cioè noi, a servire Dio, ma Dio stesso si metterà a nostro servizio. E questo lo fa Gesù fin da adesso: Gesù prega per noi, Gesù ci guarda e prega il Padre per noi, Gesù ci serve adesso, è il nostro servitore. E questa sarà la gioia definitiva. Il pensiero dell'incontro finale con il Padre, ricco di misericordia, ci riempie di speranza, e ci stimola all'impegno costante per la nostra santificazione e per costruire un mondo più giusto e fraterno.

(Francesco, Angelus, 11 agosto 2019)



Testimonianza di Parola vissuta

Era una domenica pomeriggio. Jamal, un operaio marocchino di mia conoscenza, mi aveva portato delle mele. Parlando con lui, sono venuta a sapere che verso dicembre gli sarebbe nato un figlio. Però non avevano nulla del necessario per questa creatura; soprattutto sarebbe servita una carrozzina. Dopo averlo ascoltato attentamente, mi è venuta un'idea: «Perché non chiediamo noi due insieme aiuto a Dio? Lui è uno per tutti, puoi chiamarlo con un altro nome, ma è sempre Dio. Lui saprà come farci arrivare la carrozzina». A Jamal è piaciuta la proposta. Eravamo nel cortile, all'aperto; abbiamo alzato gli occhi al cielo e abbiamo pregato così: «Signore Dio, abbiamo bisogno di una carrozzina. Pensaci tu».
Eravamo un giovane musulmano e una donna cattolica: due fedi diverse, eppure uniti nel chiedere. Dio ha accolto la nostra preghiera: già il giovedì successivo è arrivata in dono la carrozzina richiesta.

V.M. - Italia

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Assunzione della Beata Vergine Maria (15 agosto 2025)
Benedetta tu fra le donne (Lc 1,42)

Oggi, solennità dell'Assunzione della Beata Vergine Maria, il Vangelo ci presenta la giovane di Nazaret che, ricevuto l'annuncio dell'Angelo, parte in fretta per stare vicino a Elisabetta, negli ultimi mesi della sua prodigiosa gravidanza. Arrivando da lei, Maria coglie dalla sua bocca le parole che sono entrate a formare la preghiera dell' "Ave Maria": «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo». In effetti, il dono più grande che Maria porta a Elisabetta – e al mondo intero – è Gesù, che già vive in lei; e vive non solo per la fede e per l'attesa, come in tante donne dell'Antico Testamento: dalla Vergine Gesù ha preso carne umana, per la sua missione di salvezza.
Nella casa di Elisabetta e di suo marito Zaccaria, dove prima regnava la tristezza per la mancanza di figli, ora c'è la gioia di un bambino in arrivo: un bambino che diventerà il grande Giovanni Battista, precursore del Messia. E quando arriva Maria, la gioia trabocca e prorompe dai cuori, perché la presenza invisibile ma reale di Gesù riempie tutto di senso: la vita, la famiglia, la salvezza del popolo… Tutto! Questa gioia piena si esprime con la voce di Maria nella preghiera stupenda che il Vangelo di Luca ci ha trasmesso e che, dalla prima parola latina, si chiama Magnificat. È un canto di lode a Dio che opera cose grandi attraverso le persone umili, sconosciute al mondo, come è Maria stessa, come è il suo sposo Giuseppe, e come è anche il luogo in cui vivono, Nazaret. Le grandi cose che Dio ha fatto con le persone umili, le grandi cose che il Signore fa nel mondo con gli umili, perché l'umiltà è come un vuoto che lascia posto a Dio. L'umile è potente, perché è umile: non perché è forte. E questa è la grandezza dell'umile e dell'umiltà.
Il Magnificat canta il Dio misericordioso e fedele, che compie il suo disegno di salvezza con i piccoli e i poveri, con quelli che hanno fede in Lui, che si fidano della sua Parola, come Maria. Ecco l'esclamazione di Elisabetta: «Beata te che hai creduto». In quella casa, la venuta di Gesù attraverso Maria ha creato non solo un clima di gioia e di comunione fraterna, ma anche un clima di fede che porta alla speranza, alla preghiera, alla lode.
Tutto questo vorremmo avvenisse anche oggi nelle nostre case. Celebrando Maria Santissima Assunta in Cielo, vorremmo che Lei, ancora una volta, portasse a noi, alle nostre famiglie, alle nostre comunità, quel dono immenso, quella grazia unica che dobbiamo sempre chiedere per prima e al di sopra delle altre grazie che pure ci stanno a cuore: la grazia che è Gesù Cristo!
Portando Gesù, la Madonna porta anche a noi una gioia nuova, piena di significato; ci porta una nuova capacità di attraversare con fede i momenti più dolorosi e difficili; ci porta la capacità di misericordia, per perdonarci, comprenderci, sostenerci gli uni gli altri.

(Francesco, Angelus, 15 agosto 2017)



Testimonianza di Parola vissuta

A partire dall'adolescenza io e mio padre non riuscivamo a sopportarci. Mia madre ne soffriva, ma non intravedeva nessuna soluzione per la nostra famiglia. Durante una gita all'estero mi sono confidata con un amico, impegnato in un movimento cattolico, che nei casi difficili era solito porsi la domanda: «Se non sono io ad amare quella data persona, chi potrà farlo al mio posto?». Sono tornata da quel viaggio custodendo queste forti parole e, cosa strana, mi sono venute in mente tante occasioni mancate in cui avrei potuto fare un gesto d'amore verso i miei. Per riparare, ho cominciato dalle piccole cose, da semplici servizi legati alla mia competenza, che prima cercavo di evitare… Insomma, qualcosa è cambiato dentro di me. Da allora sono passati decenni e adesso che ho una famiglia, dei figli, capisco l'importanza di fare il primo passo, come se la gioia dell'altro dipendesse soltanto da me. Sono veramente grata a quanti, donandosi a Dio come quell'amico, diventano distributori di speranza e saggezza.

R.T. – Ungheria

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20a domenica del tempo ordinario (17 agosto 2025)
Sono venuto a gettare fuoco sulla terra (Lc 12,49)

Nell'odierna pagina evangelica Gesù avverte i discepoli che è giunto il momento della decisione. La sua venuta nel mondo, infatti, coincide con il tempo delle scelte decisive: non si può rimandare l'opzione per il Vangelo. E per far comprendere meglio questo suo richiamo, si avvale dell'immagine del fuoco che Lui stesso è venuto a portare sulla terra. Dice così: «Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso!». Queste parole hanno lo scopo di aiutare i discepoli ad abbandonare ogni atteggiamento di pigrizia, di apatia, di indifferenza e di chiusura per accogliere il fuoco dell'amore di Dio; quell'amore che, come ricorda San Paolo, «è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo». Perché è lo Spirito Santo che ci fa amare Dio e ci fa amare il prossimo; è lo Spirito Santo che tutti abbiamo dentro.
Gesù rivela ai suoi amici, e anche a noi, il suo più ardente desiderio: portare sulla terra il fuoco dell'amore del Padre, che accende la vita e mediante il quale l'uomo è salvato. Gesù ci chiama a diffondere nel mondo questo fuoco, grazie al quale saremo riconosciuti come suoi veri discepoli. Il fuoco dell'amore, acceso da Cristo nel mondo per mezzo dello Spirito Santo, è un fuoco senza limiti, è un fuoco universale. Questo si è visto fin dai primi tempi del Cristianesimo: la testimonianza del Vangelo si è propagata come un incendio benefico superando ogni divisione fra individui, categorie sociali, popoli e nazioni. La testimonianza del Vangelo brucia, brucia ogni forma di particolarismo e mantiene la carità aperta a tutti, con la preferenza per i più poveri e gli esclusi.
L'adesione al fuoco dell'amore che Gesù ha portato sulla terra avvolge l'intera nostra esistenza e richiede l'adorazione a Dio e anche una disponibilità a servire il prossimo. La prima, adorare Dio, vuol dire anche imparare la preghiera dell'adorazione, che di solito dimentichiamo. E poi la seconda, la disponibilità a servire il prossimo. Per vivere secondo lo spirito del Vangelo occorre che, di fronte ai sempre nuovi bisogni che si profilano nel mondo, ci siano discepoli di Cristo che sappiano rispondere con nuove iniziative di carità. E così, con l'adorazione a Dio e il servizio al prossimo – ambedue insieme, adorare Dio e servire il prossimo – il Vangelo si manifesta davvero come il fuoco che salva, che cambia il mondo a partire dal cambiamento del cuore di ciascuno.
In questa prospettiva, si comprende anche l'altra affermazione di Gesù riportata nel brano di oggi, che di primo acchito può sconcertare: «Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione». Egli è venuto a "separare col fuoco". Separare che? Il bene dal male, il giusto dall'ingiusto. In questo senso è venuto a "dividere", a mettere in "crisi" – ma in modo salutare – la vita dei suoi discepoli, spezzando le facili illusioni di quanti credono di poter coniugare vita cristiana e mondanità, vita cristiana e compromessi di ogni genere, pratiche religiose e atteggiamenti contro il prossimo. Si tratta di non vivere in maniera ipocrita, ma di essere disposti a pagare il prezzo di scelte coerenti. Perché è buono dirsi cristiani, ma occorre soprattutto essere cristiani nelle situazioni concrete, testimoniando il Vangelo che è essenzialmente amore per Dio e per i fratelli.

(Francesco, Angelus, 18 agosto 2019)



Testimonianza di Parola vissuta

Da quando mia cugina è rimasta orfana è sempre stata considerata come una sorella in più. Col passare del tempo, però, ha incominciato ad allontanarsi da noi fino al punto di non salutarci quando ci incontrava per strada. Pochi giorni fa è morto mio padre e il marito di mia cugina è venuto a farci le condoglianze. Dopo aver saputo da lui che sua moglie era molto malata e debilitata, ho dimenticato gli antichi rancori e sono andato a trovala. ("Ero ammalato e siete venuti a trovarmi", ha detto Gesù). Le ho mostrato le foto dei miei figli che lei non conosceva, le ho dato notizie su tutta la famiglia e siamo stati a parlare un intero pomeriggio. Tutte le barriere di questi anni sono cadute.

N.S. - Spagna

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21a domenica del tempo ordinario (24 agosto 2025)
Vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi (Lc 13,30)

Il Vangelo di oggi ci presenta Gesù che passa insegnando per città e villaggi, diretto a Gerusalemme, dove sa che deve morire in croce per la salvezza di tutti noi. In questo quadro, si inserisce la domanda di un tale, che si rivolge a Lui dicendo: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?». La questione era dibattuta a quel tempo – quanti si salvano, quanti no… – e c'erano diversi modi di interpretare le Scritture al riguardo, a seconda dei testi che prendevano. Gesù però capovolge la domanda – che punta più sulla quantità, cioè "sono pochi?..." – e invece colloca la risposta sul piano della responsabilità, invitandoci a usare bene il tempo presente. Dice infatti: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno».
Con queste parole, Gesù fa capire che non è questione di numero, non c'è il "numero chiuso" in Paradiso! Ma si tratta di attraversare fin da ora il passaggio giusto, e questo passaggio giusto è per tutti, ma è stretto. Questo è il problema. Gesù non vuole illuderci. Ci dice le cose come stanno: il passaggio è stretto. Nel senso che per salvarsi bisogna amare Dio e il prossimo, e questo non è comodo! È una "porta stretta" perché è esigente, l'amore è esigente sempre, richiede impegno, anzi, "sforzo", cioè una volontà decisa e perseverante di vivere secondo il Vangelo.
E, per spiegarsi meglio, Gesù racconta una parabola. C'è un padrone di casa, che rappresenta il Signore. La sua casa simboleggia la vita eterna, cioè la salvezza. E qui ritorna l'immagine della porta. Gesù dice: «Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta dicendo: "Signore, aprici". Ma egli vi risponderà: "Non so di dove siete"». Queste persone allora cercheranno di farsi riconoscere, ricordando al padrone di casa: "Io ho mangiato con te, ho bevuto con te… ho ascoltato i tuoi consigli, i tuoi insegnamenti in pubblico…". Ma il Signore ripeterà di non conoscerli, e li chiama «operatori di ingiustizia». Ecco il problema! Il Signore ci riconoscerà non per i nostri titoli. Il Signore ci riconoscerà soltanto per una vita umile, una vita buona, una vita di fede che si traduce nelle opere.
E per noi cristiani, questo significa che siamo chiamati a instaurare una vera comunione con Gesù, pregando, andando in chiesa, accostandoci ai Sacramenti e nutrendoci della sua Parola. Questo ci mantiene nella fede, nutre la nostra speranza, ravviva la carità. E così, con la grazia di Dio, possiamo e dobbiamo spendere la nostra vita per il bene dei fratelli, lottare contro ogni forma di male e di ingiustizia.

(Francesco, Angelus, 25 agosto 2019)



Testimonianza di Parola vissuta

«Un giorno un ragazzo un po' ribelle della classe ha avuto una crisi, buttando all'aria un banco, per fortuna senza gravi conseguenze. Un collega, che da sempre voleva liberarsi di quell'alunno "scomodo", pensò di procedere per via legale, facendo una severa relazione al preside. Da un lato volevo evitare una ribellione ulteriore del ragazzo con un peggioramento della sua situazione psicologica; ma anche volevo tener conto dell'opinione del collega e rispettare la sua sofferenza. La relazione è stata scritta, ma l'abbiamo fatta insieme cercando le parole giuste in modo da non peggiorare la situazione. Venivano in luce le cause del suo comportamento e nasceva una maggiore comprensione del problema. Adesso con il collega c'è un'intesa nuova: ha deciso di collaborare con me nei progetti di recupero degli alunni a rischio».

R.R. – Italia

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22a domenica del tempo ordinario (31 agosto 2025)
Chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato (Lc 14,11)

L'episodio del Vangelo di oggi ci mostra Gesù nella casa di uno dei capi dei farisei, intento ad osservare come gli invitati a pranzo si affannano per scegliere i primi posti. È una scena che abbiamo visto tante volte: cercare il posto migliore anche "con i gomiti". Nel vedere questa scena, egli narra due brevi parabole con le quali offre due indicazioni: una riguarda il posto, l'altra riguarda la ricompensa.
La prima similitudine è ambientata in un banchetto nuziale. Gesù dice: «Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: "Cedigli il posto!"…Invece, quando sei invitato, va' a metterti all'ultimo posto». Con questa raccomandazione, Gesù non intende dare norme di comportamento sociale, ma una lezione sul valore dell'umiltà. La storia insegna che l'orgoglio, l'arrivismo, la vanità, l'ostentazione sono la causa di molti mali. E Gesù ci fa capire la necessità di scegliere l'ultimo posto, cioè di cercare la piccolezza e il nascondimento: l'umiltà. Quando ci poniamo davanti a Dio in questa dimensione di umiltà, allora Dio ci esalta, si china verso di noi per elevarci a sé; «perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato».
Le parole di Gesù sottolineano atteggiamenti completamente diversi e opposti: l'atteggiamento di chi si sceglie il proprio posto e l'atteggiamento di chi se lo lascia assegnare da Dio e aspetta da Lui la ricompensa. Il posto che ci dà Dio è vicino al suo cuore e la sua ricompensa è la vita eterna. «Sarai beato – dice Gesù – … Riceverai la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti».
È quanto viene descritto nella seconda parabola, nella quale Gesù indica l'atteggiamento di disinteresse che deve caratterizzare l'ospitalità, e dice così: «Quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi e ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti». Si tratta di scegliere la gratuità invece del calcolo opportunistico che cerca di ottenere una ricompensa, che cerca l'interesse e che cerca di arricchirsi di più. Infatti i poveri, i semplici, quelli che non contano, non potranno mai ricambiare un invito a mensa. Così Gesù dimostra la sua preferenza per i poveri e gli esclusi, che sono i privilegiati del Regno di Dio, e lancia il messaggio fondamentale del Vangelo che è servire il prossimo per amore di Dio. Oggi, Gesù si fa voce di chi non ha voce e rivolge a ciascuno di noi un accorato appello ad aprire il cuore e fare nostre le sofferenze e le ansie dei poveri, degli affamati, degli emarginati, dei profughi, degli sconfitti dalla vita, di quanti sono scartati dalla società e dalla prepotenza dei più forti. E questi scartati rappresentano in realtà la stragrande maggioranza della popolazione.
Penso con gratitudine alle mense dove tanti volontari offrono il loro servizio, dando da mangiare a persone sole, disagiate, senza lavoro o senza fissa dimora. Queste mense e altre opere di misericordia – come visitare gli ammalati, i carcerati… – sono palestre di carità che diffondono la cultura della gratuità, perché quanti vi operano sono mossi dall'amore di Dio e illuminati dalla sapienza del Vangelo. Così il servizio ai fratelli diventa testimonianza d'amore, che rende credibile e visibile l'amore di Cristo.

(Francesco, Angelus, 28 agosto 2016)



Testimonianza di Parola vissuta

Da circa dieci anni sto vivendo con il babbo l'evolversi della sua malattia: al posto del negoziante del corso pronto alla battuta con tutti e del nonno orgoglioso dei suoi nipoti, c'è ora una persona dipendente in tutto dagli altri. Dopo l'iniziale ribellione da parte mia, che vedevo tutto il negativo della situazione, mi sono accorta che questa malattia ha messo in moto tanta solidarietà. Ci sono infatti persone che vengono a far compagnia alla mamma, i parenti si sono fatti più attenti e disponibili… E poi c'è la badante filippina che ha un ottimo rapporto con noi tanto da essere considerata una di famiglia: abbandonata dal marito, venire ad assistere il babbo le ha permesso di mantenere i suoi tre figli.

N. B.- Italia

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23a domenica del tempo ordinario (7 settembre 2025)
Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo (Lc 14,27)

Nel Vangelo di oggi Gesù insiste sulle condizioni per essere suoi discepoli: non anteporre nulla all'amore per Lui, portare la propria croce e seguirlo. Molta gente infatti si avvicinava a Gesù, voleva entrare tra i suoi seguaci; e questo accadeva specialmente dopo qualche segno prodigioso, che lo accreditava come il Messia, il Re d'Israele. Ma Gesù non vuole illudere nessuno. Lui sa bene che cosa lo attende a Gerusalemme, qual è la via che il Padre gli chiede di percorrere: è la via della croce, del sacrificio di se stesso per il perdono dei nostri peccati. Seguire Gesù non significa partecipare a un corteo trionfale! Significa condividere il suo amore misericordioso, entrare nella sua grande opera di misericordia per ogni uomo e per tutti gli uomini. L'opera di Gesù è proprio un'opera di misericordia, di perdono, di amore! E questo perdono universale, questa misericordia, passa attraverso la croce. Gesù non vuole compiere questa opera da solo: vuole coinvolgere anche noi nella missione che il Padre gli ha affidato. Dopo la risurrezione dirà ai suoi discepoli: «Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi … A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati». Il discepolo di Gesù rinuncia a tutti i beni perché ha trovato in Lui il Bene più grande, nel quale ogni altro bene riceve il suo pieno valore e significato: i legami familiari, le altre relazioni, il lavoro, i beni culturali ed economici e così via… Il cristiano si distacca da tutto e ritrova tutto nella logica del Vangelo, la logica dell'amore e del servizio.
Per spiegare questa esigenza, Gesù usa due parabole: quella della torre da costruire e quella del re che va alla guerra. Questa seconda parabola dice così: «Quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l'altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere la pace». Qui Gesù non vuole affrontare il tema della guerra, è solo una parabola. Però, in questo momento in cui stiamo fortemente pregando per la pace, questa Parola del Signore ci tocca sul vivo, e in sostanza ci dice: c'è una guerra più profonda che dobbiamo combattere, tutti! È la decisione forte e coraggiosa di rinunciare al male e alle sue seduzioni e di scegliere il bene, pronti a pagare di persona: ecco il seguire Cristo, ecco il prendere la propria croce! Questa guerra profonda contro il male! A che serve fare guerre, tante guerre, se tu non sei capace di fare questa guerra profonda contro il male? Non serve a niente! Questa guerra contro il male comporta dire no all'odio fratricida e alle menzogne di cui si serve; dire no alla violenza in tutte le sue forme; dire no alla proliferazione delle armi e al loro commercio illegale. Questi sono i nemici da combattere, uniti e con coerenza, non seguendo altri interessi se non quelli della pace e del bene comune.

(Francesco, Angelus, 8 settembre 2013)



Testimonianza di Parola vissuta

Poco dopo la nascita, a Mariana era stata diagnosticata una lesione cerebrale. Non avrebbe parlato né camminato. Ma Dio ci chiedeva di amarla così e ci siamo buttati nelle sue braccia di Padre.
La bambina ha vissuto con noi solo quattro anni; non abbiamo mai sentito le parole papà e mamma dalla sua bocca, ma nel suo silenzio parlavano gli occhi, di una luce risplendente. Non abbiamo potuto insegnarle a fare i primi passi, ma lei ci ha insegnato a fare i primi passi nell'amore, nella rinuncia a noi stessi per amare.
Mariana è stata per tutta la famiglia un dono di Dio che potremmo riassumere in un'unica frase: l'amore non si spiega con le parole.

Alba – Brasile

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Esaltazione della santa Croce(14 settembre 2025)
[24a domenica del tempo ordinario]
Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo (Gv 3,13)

Il 14 settembre la Chiesa celebra la festa dell'Esaltazione della Santa Croce. Qualche persona non cristiana potrebbe domandarci: perché "esaltare" la croce? Possiamo rispondere che noi non esaltiamo una croce qualsiasi, o tutte le croci: esaltiamo la Croce di Gesù, perché in essa si è rivelato al massimo l'amore di Dio per l'umanità. È quello che ci ricorda il Vangelo di Giovanni nella liturgia odierna: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio Unigenito». Il Padre ha "dato" il Figlio per salvarci, e questo ha comportato la morte di Gesù, e la morte in croce. Perché? Perché è stata necessaria la Croce? A causa della gravità del male che ci teneva schiavi. La Croce di Gesù esprime tutt'e due le cose: tutta la forza negativa del male, e tutta la mite onnipotenza della misericordia di Dio. La Croce sembra decretare il fallimento di Gesù, ma in realtà segna la sua vittoria. Sul Calvario, quelli che lo deridevano gli dicevano: "Se sei il Figlio di Dio, scendi dalla croce". Ma era vero il contrario: proprio perché era il Figlio di Dio Gesù stava lì, sulla croce, fedele fino alla fine al disegno d'amore del Padre. E proprio per questo Dio ha «esaltato» Gesù, conferendogli una regalità universale.
E quando volgiamo lo sguardo alla Croce dove Gesù è stato inchiodato, contempliamo il segno dell'amore, dell'amore infinito di Dio per ciascuno di noi e la radice della nostra salvezza. Da quella Croce scaturisce la misericordia del Padre che abbraccia il mondo intero. Per mezzo della Croce di Cristo è vinto il maligno, è sconfitta la morte, ci è donata la vita, restituita la speranza. Questo è importante: per mezzo della Croce di Cristo ci è restituita la speranza. La Croce di Gesù è la nostra unica vera speranza! Ecco perché la Chiesa "esalta" la santa Croce, ed ecco perché noi cristiani benediciamo con il segno della croce. Cioè, noi non esaltiamo le croci, ma la Croce gloriosa di Gesù, segno dell'amore immenso di Dio, segno della nostra salvezza e cammino verso la Risurrezione. E questa è la nostra speranza.
Mentre contempliamo e celebriamo la santa Croce, pensiamo con commozione a tanti nostri fratelli e sorelle che sono perseguitati e uccisi a causa della loro fedeltà a Cristo. Questo accade specialmente là dove la libertà religiosa non è ancora garantita o pienamente realizzata. Accade però anche in Paesi e ambienti che in linea di principio tutelano la libertà e i diritti umani, ma dove concretamente i credenti, e specialmente i cristiani, incontrano limitazioni e discriminazioni. Perciò oggi li ricordiamo e preghiamo in modo particolare per loro.

(Francesco, Angelus, 14 settembre 2014)



Testimonianza di Parola vissuta

Diversi anni fa ho aperto con alcuni amici una casa di accoglienza, un pronto intervento per persone in difficoltà e disagio. Da allora la casa ha ospitato migliaia di persone, uomini e donne: famiglie sfrattate, stranieri, disoccupati, italiani in difficoltà, ragazze madri, ammalati, ex tossicodipendenti, ex carcerati, ex alcolisti, ex psichiatrici. Entrando nella nostra casa, diventavano tutti persone, ciascuno con la sua storia. Abbiamo sognato una casa dove ci fosse posto per tutti, dove non si dicesse di no a nessuno.
A gestirla, in collaborazione con i servizi sociali, sono tutti volontari. Che scuola è stata per noi, per capire fin dove ci si poteva spingere, quando si lascia spazio alla creatività e alla generosità delle persone! L'80 per cento dei nostri ospiti ha risolto la propria situazione diventando autonomo.
Quando ho capito che non ero più in grado di prendermi cura degli altri, allora ho chiesto di essere portata in quella casa dove non si dice di no a nessuno.
Mi hanno aperta la porta, c'era una stanza anche per me.

E.S. – Italia

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25a domenica del tempo ordinario (21 settembre 2025)
Non potete servire Dio e la ricchezza (Lc 16,13)

Oggi Gesù ci porta a riflettere su due stili di vita contrapposti: quello mondano e quello del Vangelo. Lo spirito del mondo non è lo spirito di Gesù. E lo fa mediante il racconto della parabola dell'amministratore infedele e corrotto, che viene lodato da Gesù nonostante la sua disonestà. Bisogna precisare subito che questo amministratore non viene presentato come modello da seguire, ma come esempio di scaltrezza. Quest'uomo è accusato di cattiva gestione degli affari del suo padrone e, prima di essere allontanato, cerca astutamente di accattivarsi la benevolenza dei debitori, condonando loro parte del debito per assicurarsi così un futuro. Commentando questo comportamento, Gesù osserva: «I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce».
A tale astuzia mondana noi siamo chiamati a rispondere con l'astuzia cristiana, che è un dono dello Spirito Santo. Si tratta di allontanarsi dallo spirito e dai valori del mondo, che tanto piacciono al demonio, per vivere secondo il Vangelo. E la mondanità, come si manifesta? La mondanità si manifesta con atteggiamenti di corruzione, di inganno, di sopraffazione, e costituisce la strada più sbagliata, la strada del peccato, perché una ti porta all'altra! È come una catena, anche se generalmente è la strada più comoda da percorrere,. Invece lo spirito del Vangelo richiede uno stile di vita serio - ma gioioso -, e impegnativo, improntato all'onestà, alla correttezza, al rispetto degli altri e della loro dignità, al senso del dovere. E questa è l'astuzia cristiana!
Il percorso della vita necessariamente comporta una scelta tra due strade: tra onestà e disonestà, tra fedeltà e infedeltà, tra egoismo e altruismo, tra bene e male. Non si può oscillare tra l'una e l'altra, perché si muovono su logiche diverse e contrastanti. È importante decidere quale direzione prendere e poi, una volta scelta quella giusta, camminare con slancio e determinazione, affidandosi alla grazia del Signore e al sostegno del suo Spirito. Forte e categorica è la conclusione del brano evangelico: «Nessun servo può servire a due padroni, perché o odierà l'uno e amerà l'altro, oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro».
Con questo insegnamento, Gesù oggi ci esorta a fare una scelta chiara tra Lui e lo spirito del mondo, tra la logica della corruzione, della sopraffazione e dell'avidità e quella della rettitudine, della mitezza e della condivisione. Qualcuno si comporta con la corruzione come con le droghe: pensa di poterla usare e smettere quando vuole. Si comincia da poco: una mancia di qua, una tangente di là… E tra questa e quella lentamente si perde la propria libertà. Anche la corruzione produce assuefazione, e genera povertà, sfruttamento, sofferenza. E quante vittime ci sono oggi nel mondo! Quante vittime di questa diffusa corruzione. Quando invece cerchiamo di seguire la logica evangelica dell'integrità, della limpidezza nelle intenzioni e nei comportamenti, della fraternità, noi diventiamo artigiani di giustizia e apriamo orizzonti di speranza per l'umanità. Nella gratuità e nella donazione di noi stessi ai fratelli, serviamo il padrone giusto: Dio.

(Francesco, Angelus, 18 settembre 2016)



Testimonianza di Parola vissuta

Ultimamente, contro ogni previsione, ci siamo visti assegnare un lavoro per il quale ci eravamo presentati assieme ad altre ditte associate. Ci siamo chiesti come fosse stato possibile, visto che le ditte concorrenti avevano offerto prezzi più vantaggiosi. Abbiamo poi scoperto che uno dei nostri soci, a nostra insaputa, aveva fatto pressione su un amministratore pubblico perché manomettesse i documenti del concorso e la scelta cadesse su di noi. Per noi è stato un duro colpo, ci siamo sentiti messi in trappola dagli amici. Dopo aver discusso col socio in questione, che con rincrescimento ha ammesso l'azione disonesta, abbiamo tentato il tutto per tutto: prima che l'assegnazione del lavoro diventasse ufficiale ci siamo rivolti all'amministratore pubblico, chiedendogli di riammettere le altre ditte al concorso.
Evidentemente così abbiamo perso il lavoro, ma abbiamo ritrovato un rapporto di verità, di rinnovata amicizia e fiducia con il nostro socio che ha sottoscritto idealmente davanti a noi una dichiarazione di onestà.

E.D.C.

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26a domenica del tempo ordinario (28 settembre 2025)
Padre Abramo, abbi pietà di me (Lc 16,24)

La liturgia di oggi ci propone due storie, due giudizi e tre nomi. Le due storie sono quelle della parabola del ricco e del mendicante Lazzaro. In particolare la prima storia è quella dell'uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e lino finissimo e si trattava bene, tanto che ogni giorno si dava a lauti banchetti. In realtà il testo non dice che era cattivo: piuttosto era un uomo di vita agiata, si dava alla buona vita. E forse era anche un uomo religioso, a suo modo. Recitava, forse, qualche preghiera; e due o tre volte l'anno sicuramente si recava al tempio per fare i sacrifici e dava grosse offerte ai sacerdoti. E loro, con quella pusillanimità clericale lo ringraziavano e lo facevano sedere al posto d'onore. Questo era socialmente il sistema di vita dell'uomo ricco presentato da Luca.
C'è poi la seconda storia, quella di Lazzaro, il povero medicante che sta davanti alla porta del ricco. Com'è possibile che quell'uomo non si accorgesse che sotto casa sua c'era Lazzaro, povero e affamato? Le piaghe di cui parla il Vangelo sono un simbolo delle tante necessità che aveva. Invece il ricco non vedeva, perché gli occhi della sua anima erano oscurati per non vedere. E così il ricco vedeva soltanto la sua vita e non si accorgeva di che cosa era accaduto a Lazzaro.
In fin dei conti il ricco non era cattivo, era ammalato di mondanità. E la mondanità trasforma le anime, fa perdere la coscienza della realtà. La mondanità anestetizza l'anima. E per questo, quell'uomo mondano non era capace di vedere la realtà.
Perciò la seconda storia è chiara: ci sono tante persone che conducono la loro vita in maniera difficile, ma se io ho il cuore mondano, mai capirò questo. Del resto, con il cuore mondano non si possono comprendere la necessità e il bisogno degli altri.
Dopo le due storie e i due giudizi ci sono anche i tre nomi suggeriti nel Vangelo: sono quello del povero, Lazzaro, quello di Abramo e quello di Mosè. Con un'ulteriore chiave di lettura: il ricco non aveva nome, perché i mondani perdono il nome. Sono soltanto un elemento della folla benestante che non ha bisogno di niente. Invece un nome lo hanno Abramo, nostro padre, Lazzaro, l'uomo che lotta per essere buono e povero e porta tanti dolori, e Mosè, quello che ci dà la legge. Ma i mondani non hanno nome. Non hanno ascoltato Mosè, perché hanno bisogno solo di manifestazioni straordinarie.
Nella Chiesa tutto è chiaro, Gesù ha parlato chiaramente: quella è la strada. Ma c'è alla fine una parola di consolazione: quando quel povero uomo mondano, nei tormenti, chiede di inviare Lazzaro con un po' d'acqua per aiutarlo, Abramo, che è la figura di Dio Padre, risponde: «Figlio, ricordati...». Dunque i mondani hanno perso il nome e anche noi, se abbiamo il cuore mondano, abbiamo perso il nome. Però non siamo orfani. Fino alla fine, fino all'ultimo momento c'è la sicurezza che abbiamo un Padre che ci aspetta. Affidiamoci a lui. E il Padre si rivolge a noi dicendoci «figlio», anche in mezzo a quella mondanità: figlio. E questo significa che non siamo orfani.

(Meditazione mattutina a Santa Marta, 5 marzo 2015)



Testimonianza di Parola vissuta

Giorni fa avevo segnalato online, al Comune della mia città, che vicino casa s'era verificata una perdita idrica che aveva creato un torrentello lungo la via. Era la prima volta che sentivo forte il dovere di intervenire in questo modo come cittadino che ha a cuore il bene pubblico, penso dietro la spinta a fare agli altri ciò che vorrei venisse fatto a me.
Per sicurezza ho cercato anche un secondo indirizzo email del Comune dove ho inviato la stessa segnalazione. Con mia grande sorpresa, dopo due giorni ricevo da quest'ultimo una email per conoscenza: la notizia che costruzioni@pec della mia città era stata avvisata.
Purtroppo, trascorsi venti giorni, l'acqua continuava a fuoriuscire. Decido allora di inviare la stessa segnalazione, stavolta corredata di foto, anche a una tv locale, che la pubblica online il giorno dopo. La mattina successiva esco di casa e trovo gli operai al lavoro!
È solo una piccola goccia in un mare di cose che non vanno. E se non fossi intervenuto?

Umberto – Italia

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27a domenica del tempo ordinario (5 ottobre 2025)
Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare (Lc 17,10)

L'odierna pagina evangelica presenta il tema della fede, introdotto dalla domanda dei discepoli: «Accresci in noi la fede!». Una bella preghiera, che noi dovremmo pregare tanto durante la giornata: "Signore, accresci in me la fede!". Gesù risponde con due immagini: il granellino di senape e il servo disponibile. «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: "Sradicati e vai a piantarti nel mare", ed esso vi obbedirebbe». Il gelso è un albero robusto, ben radicato nella terra e resistente ai venti. Gesù, dunque, vuole far capire che la fede, anche se piccola, può avere la forza di sradicare persino un gelso. E poi di trapiantarlo nel mare, che è una cosa ancora più improbabile: ma nulla è impossibile a chi ha fede, perché non si affida alle proprie forze, ma a Dio, che può tutto.
La fede paragonabile al granello di senape è una fede che non è superba e sicura di sé; non fa finta di essere quella di un grande credente facendo a volte delle figuracce! È una fede che nella sua umiltà sente un grande bisogno di Dio e nella piccolezza si abbandona con piena fiducia a Lui. È la fede che ci dà la capacità di guardare con speranza le vicende alterne della vita, che ci aiuta ad accettare anche le sconfitte, le sofferenze, nella consapevolezza che il male non ha mai, non avrà mai, l'ultima parola.
Come possiamo capire se abbiamo veramente fede, cioè se la nostra fede, pur minuscola, è genuina, pura, schietta? Ce lo spiega Gesù indicando qual è la misura della fede: il servizio. E lo fa con una parabola che al primo impatto risulta un po' sconcertante, perché presenta la figura di un padrone prepotente e indifferente. Ma proprio questo modo di fare del padrone fa risaltare quello che è il vero centro della parabola, cioè l'atteggiamento di disponibilità del servo. Gesù vuole dire che così è l'uomo di fede nei confronti di Dio: si rimette completamente alla sua volontà, senza calcoli o pretese.
Questo atteggiamento verso Dio si riflette anche nel modo di comportarsi in comunità: si riflette nella gioia di essere al servizio gli uni degli altri, trovando già in questo la propria ricompensa e non nei riconoscimenti e nei guadagni che ne possono derivare. È ciò che insegna Gesù alla fine di questo racconto: «Quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: "Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare"».
Servi inutili, cioè senza pretese di essere ringraziati, senza rivendicazioni. "Siamo servi inutili" è un'espressione di umiltà, disponibilità che tanto fa bene alla Chiesa e richiama l'atteggiamento giusto per operare in essa: il servizio umile, di cui ci ha dato l'esempio Gesù, lavando i piedi ai discepoli.

(Francesco, Angelus, 6 ottobre 2019)



Testimonianza di Parola vissuta

In piedi nel treno affollato, ad un tratto m'accorgo che un anziano davanti a me si sente male, sorretto da colei che dev'essere la moglie. Mi avvicino per tastargli il polso: è aritmico. Chiedo ai viaggiatori intorno di allontanarsi per dargli aria, gli sbottono il collo della camicia e lo faccio distendere. C'è agitazione nei passeggeri, interessati allo stato di salute dell'anziano. Arriva anche il capotreno, che invito a chiamare un'autoambulanza, e presentandomi come medico, tranquillizzo sia il signore che sua moglie: «Era solo uno svenimento, un collasso».
Alla prima fermata, con l'autoambulanza già fuori stazione, il signore ha riacquistato il suo colorito. Rassicuro l'infermiere e il medico sopraggiunti nel frattempo, li accompagno poi, con l'anziano disteso sulla barella, fino all'autoambulanza, tra il ringraziamento "corale" di viaggiatori e capotreno. Ripreso il viaggio, costato con gioia quanta partecipazione umana abbia innescato il mio semplice intervento in tanti sconosciuti, diventati – anche se per breve tempo – "prossimi" di quell'uomo.

C.F. – Italia

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28a domenica del tempo ordinario (12 ottobre 2025)
…e gli altri nove dove sono? (Lc 17,17)

Dio è la nostra forza. Penso ai dieci lebbrosi del Vangelo guariti da Gesù: gli vanno incontro, si fermano a distanza e gridano: "Gesù, maestro, abbi pietà di noi!". Sono malati, bisognosi di essere amati, di avere forza e cercano qualcuno che li guarisca. E Gesù risponde liberandoli tutti dalla loro malattia.
Fa impressione, però, vedere che uno solo torna indietro per lodare Dio a gran voce e ringraziarlo. Gesù stesso lo nota: dieci hanno gridato per ottenere la guarigione e solo uno è ritornato per gridare a voce alta il suo grazie a Dio e riconoscere che Lui è la nostra forza. Saper ringraziare, saper lodare per quanto il Signore fa per noi.
Guardiamo Maria: dopo l'Annunciazione, il primo gesto che compie è di carità verso l'anziana parente Elisabetta; e le prime parole che pronuncia sono: "L'anima mia magnifica il Signore", cioè un canto di lode e di ringraziamento a Dio non solo per quello che ha operato in lei, ma per la sua azione in tutta la storia della salvezza. Tutto è suo dono. Se noi possiamo capire che tutto è dono di Dio, quanta felicità nel nostro cuore! Tutto è suo dono. Lui è la nostra forza! Dire grazie è così facile, eppure così difficile! Quante volte ci diciamo grazie in famiglia? È una delle parole chiave della convivenza. "Permesso", "scusa", "grazie": se in una famiglia si dicono queste tre parole, la famiglia va avanti. "Permesso", "scusami", "grazie". Quante volte diciamo "grazie" in famiglia? Quante volte diciamo grazie a chi ci aiuta, ci è vicino, ci accompagna nella vita? Spesso diamo tutto per scontato! E questo avviene anche con Dio. È facile andare dal Signore a chiedere qualcosa, ma andare a ringraziarlo: "Mah, non mi viene".

(Francesco, Omelia, 13 ottobre 2013)



Testimonianza di Parola vissuta

Nostro figlio e la sua compagna erano in carcere per spaccio di droga. Nelle lunghe attese prima dei colloqui coi parenti reclusi, abbiamo conosciuto a una ragazza straniera dal volto triste: da tre anni, facendo un lungo percorso a piedi, faceva regolarmente visita al il suo compagno in carcere.
Quando ha sentito che poteva contare da allora in poi su un passaggio nella nostra auto, finalmente si è aperta al sorriso e non finiva di ringraziarci.
La volta seguente, per rendere meno pesante l'attesa soprattutto ai bambini venuti con le mamme, abbiamo portato loro giocattoli, dolci e frutta. Quando ha saputo ciò che accadeva in sala d'aspetto, dove c'era un clima più sereno, anche nostro figlio ha cambiato il suo rapporto con noi.

L.V. – Italia

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29a domenica del tempo ordinario (19 ottobre 2025)
Io vi dico che farà loro giustizia prontamente (cf Lc 18,8)

Nel Vangelo di oggi Gesù racconta una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi. La protagonista è una vedova che, a forza di supplicare un giudice disonesto, riesce a farsi fare giustizia da lui. E Gesù conclude: se la vedova è riuscita a convincere quel giudice, volete che Dio non ascolti noi, se lo preghiamo con insistenza? L'espressione di Gesù è molto forte: «E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui?».
"Gridare giorno e notte" verso Dio! Ci colpisce questa immagine della preghiera. Ma chiediamoci: perché Dio vuole questo? Lui non conosce già le nostre necessità? Che senso ha "insistere" con Dio?
Questa è una buona domanda, che ci fa approfondire un aspetto molto importante della fede: Dio ci invita a pregare con insistenza non perché non sa di che cosa abbiamo bisogno, o perché non ci ascolta. Al contrario, Lui ascolta sempre e conosce tutto di noi, con amore. Nel nostro cammino quotidiano, specialmente nelle difficoltà, nella lotta contro il male fuori e dentro di noi, il Signore non è lontano, è al nostro fianco; noi lottiamo con Lui accanto, e la nostra arma è proprio la preghiera, che ci fa sentire la sua presenza accanto a noi, la sua misericordia, anche il suo aiuto. Ma la lotta contro il male è dura e lunga, richiede pazienza e resistenza – come Mosè, che doveva tenere le braccia alzate per far vincere il suo popolo. È così: c'è una lotta da portare avanti ogni giorno; ma Dio è il nostro alleato, la fede in Lui è la nostra forza, e la preghiera è l'espressione di questa fede. Perciò Gesù ci assicura la vittoria, ma alla fine si domanda: «Il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?». Se si spegne la fede, si spegne la preghiera, e noi camminiamo nel buio, ci smarriamo nel cammino della vita.
Impariamo dunque dalla vedova del Vangelo a pregare sempre, senza stancarci. Era brava questa vedova! Sapeva lottare per i suoi figli! E penso a tante donne che lottano per la loro famiglia, che pregano, che non si affaticano mai. Un ricordo oggi, tutti noi, a queste donne che col loro atteggiamento ci danno una vera testimonianza di fede, di coraggio, un modello di preghiera. Un ricordo a loro! Pregare sempre, ma non per convincere il Signore a forza di parole! Lui sa meglio di noi di che cosa abbiamo bisogno! Piuttosto la preghiera perseverante è espressione della fede in un Dio che ci chiama a combattere con Lui, ogni giorno, ogni momento, per vincere il male con il bene.

(Francesco, Angelus, 20 ottobre 2013)



Testimonianza di Parola vissuta

Quando l'abbiamo conosciuto, anni or sono, era disperato a causa di gravi difficoltà nel rapporto con la moglie, non sorretto da una fede sepolta da tempo.
Frequentandoci, riversava il suo dolore in noi. Da parte nostra cercavamo di coinvolgerlo nel modo di vivere della famiglia per tentare di lenire la pena che lo opprimeva, isolandolo. I nostri figli erano i primi a fargli festa finché, ritrovata la serenità, ogni volta ripartiva rinnovato, con il proposito di amare la moglie, sforzandosi di capirne le ragioni.
Si era così stabilito tra noi un rapporto profondo, che l'ha accompagnato fino alla scoperta di Dio come Amore.
Pur rimanendo immutata la sua situazione familiare, da quel momento il nostro amico ha continuato a sperimentare la pace, in una crescente disponibilità a servire il prossimo, la moglie prima di tutti. Una delle ultime volte in cui ci siamo visti, prima della sua morte improvvisa, ci confidava: «Ricordate quando ci siamo conosciuti? Impazzivo dal dolore. Oggi, pensando che Dio mi ama, mi sento quasi impazzire di gioia».

Renato – Italia

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30a domenica del tempo ordinario (26 ottobre 2025)
Due uomini salirono al tempio a pregare (Lc 18,13)

Il Vangelo della Liturgia odierna ci presenta una parabola che ha due protagonisti, un fariseo e un pubblicano, cioè un uomo religioso e un peccatore conclamato. Entrambi salgono al tempio a pregare, ma soltanto il pubblicano si eleva veramente a Dio, perché con umiltà scende nella verità di sé stesso e si presenta così com'è, senza maschere, con le sue povertà. Potremmo dire, allora, che la parabola è compresa tra due movimenti, espressi da due verbi: salire e scendere.
Il primo movimento è salire. Il testo infatti comincia dicendo: «Due uomini salirono al tempio a pregare». Questo aspetto richiama tanti episodi della Bibbia, dove per incontrare il Signore si sale verso il monte della sua presenza: Abramo sale sul monte per offrire il sacrificio; Mosè sale sul Sinai per ricevere i comandamenti; Gesù sale sul monte, dove viene trasfigurato. Salire, perciò, esprime il bisogno del cuore di staccarsi da una vita piatta per andare incontro al Signore; di elevarsi dalle pianure del nostro io per salire verso Dio; di raccogliere quanto viviamo a valle per portarlo al cospetto del Signore. Questo è "salire", e quando preghiamo noi saliamo.
Ma per vivere l'incontro con Lui ed essere trasformati dalla preghiera, per elevarci a Dio, c'è bisogno del secondo movimento: scendere. Che cosa significa questo? Per salire verso di Lui dobbiamo scendere dentro di noi: coltivare la sincerità e l'umiltà del cuore, che ci donano uno sguardo onesto sulle nostre fragilità e le nostre povertà interiori. Nell'umiltà, infatti, diventiamo capaci di portare a Dio, senza finzioni, ciò che realmente siamo, i limiti e le ferite, i peccati, le miserie che ci appesantiscono il cuore, e di invocare la sua misericordia perché ci risani, ci guarisca, ci rialzi. Sarà Lui a rialzarci, non noi. Più noi scendiamo con umiltà, più Dio ci fa salire in alto.
Infatti, il pubblicano della parabola umilmente si ferma a distanza, chiede perdono, e il Signore lo rialza. Invece il fariseo si esalta, sicuro di sé, convinto di essere a posto: stando in piedi, inizia a parlare al Signore solo di sé stesso, a lodarsi, a elencare tutte le buone opere religiose che fa, e disprezza gli altri: "Non sono come quello là…". Perché questo fa la superbia spirituale. Essa ti porta a crederti per bene e a giudicare gli altri. Questa è la superbia spirituale: "Io sto bene, io sono migliore degli altri: questo è la tal cosa, quello è la tal altra…". E così, senza accorgerti, adori il tuo io e cancelli il tuo Dio. È un ruotare intorno a sé stessi. Questa è la preghiera senza umiltà.
Il fariseo e il pubblicano ci riguardano da vicino. Pensando a loro, guardiamo a noi stessi: verifichiamo se in noi, come nel fariseo, c'è «l'intima presunzione di essere giusti» che ci porta a disprezzare gli altri. Succede, ad esempio, quando ricerchiamo i complimenti e facciamo sempre l'elenco dei nostri meriti e delle nostre buone opere, quando ci preoccupiamo dell'apparire anziché dell'essere, quando ci lasciamo intrappolare dal narcisismo e dall'esibizionismo. Vigiliamo sul narcisismo e sull'esibizionismo, fondati sulla vanagloria, che portano ad avere sempre una parola sulle labbra, "Io": "io ho fatto questo, io ho scritto quest'altro, io l'avevo detto, io l'avevo capito prima di voi", e così via. Dove c'è troppo io, c'è poco Dio. Da noi, nella mia terra, questa persone le si chiama "io-con me-per me-solo io", questo è il nome di quella gente. E una volta si parlava di un prete che era così, centrato in sé stesso, e la gente per scherzare diceva: "Quello, quando fa l'incensazione, la fa a rovescio, si autoincensa". È così, ti fa cadere anche nel ridicolo.

(Francesco, Angelus, 23 ottobre 2022)



Testimonianza di Parola vissuta

Siamo poveri e veniamo aiutati da amici. Avevo sempre serbato molto rancore nei confronti dei miei familiari che mi avevano trattata male durante tutta la vita, ma un giorno alcune esperienze sul perdono ascoltate in parrocchia mi hanno toccata profondamente: l'invito a cambiare radicalmente atteggiamento. Dopo qualche giorno mi sono recata nella città in cui abitano i miei. Prima però ho pregato per avere la forza di perdonare ciascuno di loro. L'ho fatto e adesso mi sento libera e felice senza più quel peso nel cuore.

U.M.

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Tutti i Santi (1° novembre 2025)
Rallegratevi ed esultate (Mt 5,12a)

La festa di Tutti i Santi ci ricorda che il traguardo della nostra esistenza non è la morte, è il Paradiso! Lo scrive l'apostolo Giovanni: «Ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è». I Santi, gli amici di Dio, ci assicurano che questa promessa non delude. Nella loro esistenza terrena, infatti, hanno vissuto in comunione profonda con Dio. Nel volto dei fratelli più piccoli e disprezzati hanno veduto il volto di Dio, e ora lo contemplano faccia a faccia nella sua bellezza gloriosa.
I Santi non sono superuomini, né sono nati perfetti. Sono come noi, come ognuno di noi, sono persone che prima di raggiungere la gloria del cielo hanno vissuto una vita normale, con gioie e dolori, fatiche e speranze. Ma cosa ha cambiato la loro vita? Quando hanno conosciuto l'amore di Dio, lo hanno seguito con tutto il cuore, senza condizioni e ipocrisie; hanno speso la loro vita al servizio degli altri, hanno sopportato sofferenze e avversità senza odiare e rispondendo al male con il bene, diffondendo gioia e pace. Questa è la vita dei Santi: persone che per amore di Dio nella loro vita non hanno posto condizioni a Lui; non sono stati ipocriti; hanno speso la loro vita al servizio degli altri per servire il prossimo; hanno sofferto tante avversità, ma senza odiare. I Santi non hanno mai odiato. Capite bene questo: l'amore è di Dio, ma l'odio da chi viene? L'odio non viene da Dio, ma dal diavolo! E i Santi si sono allontanati dal diavolo; i Santi sono uomini e donne che hanno la gioia nel cuore e la trasmettono agli altri. Mai odiare, ma servire gli altri, i più bisognosi; pregare e vivere nella gioia; questa è la strada della santità! Essere santi non è un privilegio di pochi, come se qualcuno avesse avuto una grossa eredità; tutti noi nel Battesimo abbiamo l'eredità di poter diventare santi. La santità è una vocazione per tutti. Tutti perciò siamo chiamati a camminare sulla via della santità, e questa via ha un nome, un volto: il volto di Gesù Cristo. Lui ci insegna a diventare santi. Lui nel Vangelo ci mostra la strada: quella delle Beatitudini. Il Regno dei cieli, infatti, è per quanti non pongono la loro sicurezza nelle cose, ma nell'amore di Dio; per quanti hanno un cuore semplice, umile, non presumono di essere giusti e non giudicano gli altri, quanti sanno soffrire con chi soffre e gioire con chi gioisce, non sono violenti ma misericordiosi e cercano di essere artefici di riconciliazione e di pace. Il Santo, la Santa è artefice di riconciliazione e di pace; aiuta sempre la gente a riconciliarsi e aiuta sempre affinché ci sia la pace. E così è bella la santità; è una bella strada!
Oggi, in questa festa, i Santi ci danno un messaggio. Ci dicono: fidatevi del Signore, perché il Signore non delude! Non delude mai, è un buon amico sempre al nostro fianco. Con la loro testimonianza i Santi ci incoraggiano a non avere paura di andare controcorrente o di essere incompresi e derisi quando parliamo di Lui e del Vangelo; ci dimostrano con la loro vita che chi rimane fedele a Dio e alla sua Parola sperimenta già su questa terra il conforto del suo amore e poi il "centuplo" nell'eternità.

(Francesco, Angelus, 1° novembre 2013)



Testimonianza di Parola vissuta

Sono sempre stata una persona attiva, positiva, piena di iniziative. Dal Vangelo - la mia bussola nel cercare un rapporto sempre più filiale con Dio - ho imparato a vivere per gli altri, ad essere dono per gli altri: in famiglia con mio marito e i figli, nel mio ambiente di lavoro, la scuola, con i miei alunni...
Una vita piena, che mi ha richiesto tanto, ma mi ha dato ancora di più. Una vita che dieci anni fa ha subìto una svolta brusca e imprevista quando mio marito ha manifestato i primi sintomi dell’Alzheimer. Da allora Dio, togliendomi tante cose che erano oggetto del mio interesse, mi ha come concentrata su di lui, che nel suo rapido declino ha ora bisogno di un’assistenza da parte mia di 24 ore su 24. Non è facile mantenermi all’altezza di questo compito, che richiede un impegno notevole di forze anche fisiche. Eppure alla fine di una giornata in cui mi sono affidata a Dio, costato che ce l’ho fatta, che l’amore ha reso tutto più lieve e possibile. Posso affermare in tutta sincerità che la stagione che sto vivendo è la più bella, la più ricca.

A.I. – Italia

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Commemorazione dei fedeli defunti (2 novembre 2025)
[31a domenica del tempo ordinario]
Che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato (Gv 6,39)

Giobbe sconfitto, anzi, finito nella sua esistenza, per la malattia, con la pelle strappata via, quasi sul punto di morire, quasi senza carne, Giobbe ha una certezza e la dice: «Io so che il mio Redentore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere!». Nel momento in cui Giobbe è più giù, giù, giù, c'è quell'abbraccio di luce e calore che lo assicura: Io vedrò il Redentore. Con questi occhi lo vedrò. «Io lo vedrò, io stesso, i miei occhi lo contempleranno e non un altro».
Questa certezza, nel momento proprio quasi finale della vita, è la speranza cristiana. Una speranza che è un dono: noi non possiamo averla. È un dono che dobbiamo chiedere: "Signore, dammi la speranza". Ci sono tante cose brutte che ci portano a disperare, a credere che tutto sarà una sconfitta finale, che dopo la morte non ci sia nulla… E la voce di Giobbe torna, torna: «Io so che il mio Redentore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere! […] Io lo vedrò, io stesso», con questi occhi.
«La speranza non delude», ci ha detto Paolo. La speranza ci attira e dà un senso alla nostra vita. Io non vedo l'aldilà, ma la speranza è il dono di Dio che ci attira verso la vita, verso la gioia eterna. La speranza è un'ancora che noi abbiamo dall'altra parte, e noi, aggrappati alla corda, ci sosteniamo. "Io so che il mio Redentore è vivo e io lo vedrò". E questo, ripeterlo nei momenti di gioia e nei momenti brutti, nei momenti di morte, diciamo così.
Questa certezza è un dono di Dio, perché noi non potremo mai avere la speranza con le nostre forze. Dobbiamo chiederla. La speranza è un dono gratuito che noi non meritiamo mai: è dato, è donato. È grazia.
E poi, il Signore conferma questo, questa speranza che non delude: «Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me». Questo è il fine della speranza: andare da Gesù. E «colui che viene a me, io non lo caccerò fuori perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato». Il Signore che ci riceve là, dove c'è l'ancora. La vita in speranza è vivere così: aggrappati, con la corda in mano, forte, sapendo che l'ancora è laggiù. E quest'ancora non delude, non delude.
Oggi, nel pensiero di tanti fratelli e sorelle che se ne sono andati, ci farà bene guardare i cimiteri e guardare su. E ripetere, come Giobbe: "Io so che il mio Redentore è vivo, e io lo vedrò, io stesso, i miei occhi lo contempleranno e non un altro". E questa è la forza che ci dà la speranza, questo dono gratuito che è la virtù della speranza. Che il Signore la dia a tutti noi.

(Francesco, Omelia, 2 novembre 2020)



Testimonianza di Parola vissuta

Mi sento arrivato all'autunno della vita: gli ultimi frutti sono colti e mangiati, le ultime foglie sono rapite da folate fredde di vento. Lo so: la giovinezza interiore resiste, quasi fortificata dalle prove: questa carenza di affetti e di soddisfazioni dagli uomini l'hanno temprata, quasi fatta aguzza prora che avanza verso il mistero; sì che la pianta pare raccogliersi per rifruttificare nell'eterno.
Ho provato, per decenni, senza scoraggiarmi, e riprendendo sempre alle origini, a donarmi a persone e a istituzioni, a ideali e a servizi; e mi è parso di donarmi come consacrandomi, senza risparmio, in gioia. Ora mi pare, rivoltandomi indietro, di aver fatto una semina di fallimenti, una raccolta di sconoscenze, come se persone e cose, una dopo l'altra, m'abbiano sfruttato e deluso. Tutte han preso, poche o punte han dato. Capisco e non mi stupisco. L'errore è di attendersi il ricambio dagli uomini, mentre esso vien da Dio. E Dio non mi ha deluso: mi alimenta quotidianamente il cuore d'un giovane amore, pronto a ricominciare da principio.

Igino Giordani

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Dedicazione della Basilica Lateranense (9 novembre 2025)
[32a domenica del tempo ordinario]
Non fate della casa del Padre mio un mercato! (Gv 2,16)

Oggi la liturgia ricorda la Dedicazione della Basilica Lateranense, che è la cattedrale di Roma e che la tradizione definisce "madre di tutte le chiese dell'Urbe e dell'Orbe". Con il termine "madre" ci si riferisce non tanto all'edificio sacro della Basilica, quanto all'opera dello Spirito Santo che in questo edificio si manifesta, fruttificando mediante il ministero del Vescovo di Roma, in tutte le comunità che permangono nell'unità con la Chiesa cui egli presiede.
Ogni volta che celebriamo la dedicazione di una chiesa, ci viene richiamata una verità essenziale: il tempio materiale fatto di mattoni è segno della Chiesa viva e operante nella storia, cioè di quel "tempio spirituale", come dice l'apostolo Pietro, di cui Cristo stesso è "pietra viva, rigettata dagli uomini ma scelta e preziosa davanti a Dio". Gesù, nel Vangelo della liturgia d'oggi, parlando del tempio, ha rivelato una verità sconvolgente: che cioè il tempio di Dio non è soltanto l'edificio fatto di mattoni, ma è il suo corpo, fatto di pietre vive. In forza del Battesimo, ogni cristiano fa parte dell'"edificio di Dio", anzi diventa la Chiesa di Dio. L'edificio spirituale, la Chiesa comunità degli uomini santificati dal sangue di Cristo e dallo Spirito del Signore risorto, chiede a ciascuno di noi di essere coerente con il dono della fede e di compiere un cammino di testimonianza cristiana. E non è facile, lo sappiamo tutti, la coerenza nella vita fra la fede e la testimonianza; ma noi dobbiamo andare avanti e fare nella nostra vita, questa coerenza quotidiana. "Questo è un cristiano!", non tanto per quello che dice, ma per quello che fa, per il modo in cui si comporta. Questa coerenza, che ci dà vita, è una grazia dello Spirito Santo che dobbiamo chiedere. La Chiesa, all'origine della sua vita e della sua missione nel mondo, non è stata altro che una comunità costituita per confessare la fede in Gesù Cristo Figlio di Dio e Redentore dell'uomo, una fede che opera per mezzo della carità. Vanno insieme! Anche oggi la Chiesa è chiamata ad essere nel mondo la comunità che, radicata in Cristo per mezzo del Battesimo, professa con umiltà e coraggio la fede in Lui, testimoniandola nella carità. A questa finalità essenziale devono essere ordinati anche gli elementi istituzionali, le strutture e gli organismi pastorali; a questa finalità essenziale: testimoniare la fede nella carità. La carità è proprio l'espressione della fede e anche la fede è la spiegazione e il fondamento della carità.
La festa d'oggi ci invita a meditare sulla comunione di tutte le Chiese, cioè di questa comunità cristiana, per analogia ci stimola a impegnarci perché l'umanità possa superare le frontiere dell'inimicizia e dell'indifferenza, a costruire ponti di comprensione e di dialogo, per fare del mondo intero una famiglia di popoli riconciliati tra di loro, fraterni e solidali. Di questa nuova umanità la Chiesa stessa è segno ed anticipazione, quando vive e diffonde con la sua testimonianza il Vangelo, messaggio di speranza e di riconciliazione per tutti gli uomini.

(Francesco, Omelia, 2 novembre 2020)



Testimonianza di Parola vissuta

Quasi tutte le sere prego per quelli che sono infelici e anche per chi dalla TV vengo a sapere che ha ucciso o ha rubato o ha causato incidenti: prego perché siano perdonati per il male che fanno. Mi ricordo che Gesù ha detto quando lo mettevano in croce: "Padre, perdonali, non sanno quello che fanno".

Katia

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33a domenica del tempo ordinario (16 novembre 2025)
Io vi darò parola e sapienza (Lc 21,15)

Il Vangelo odierno ci porta a Gerusalemme, nel luogo più sacro: il tempio. Lì, attorno a Gesù, alcune persone parlano della magnificenza di quel grandioso edificio, «ornato di belle pietre». Ma il Signore afferma: «Di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta». Poi rincara la dose, spiegando come nella storia quasi tutto crolla: ci saranno, dice, rivoluzioni e guerre, terremoti carestie, pestilenze e persecuzioni. Come a dire: non bisogna riporre troppa fiducia nelle realtà terrene: passano. Sono parole sagge, che però possono darci un po' di amarezza. In realtà il suo intento non è essere negativo, è un altro, è quello di donarci un insegnamento prezioso, cioè la via di uscita da tutta questa precarietà. Come possiamo uscire da questa realtà che passa e passa e non ci sarà più? Essa sta in una parola che forse ci sorprende. Cristo la svela nell'ultima frase del Vangelo, quando dice: «Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita». La perseveranza. Gesù dice di concentrarsi su ciò che resta, per evitare di dedicare la vita a costruire qualcosa che poi sarà distrutto, come quel tempio, e dimenticarsi di edificare ciò che non crolla, di edificare sulla sua parola, sull'amore, sul bene. Essere perseveranti, essere decisi nell'edificare su ciò che non passa.
La perseveranza è costruire ogni giorno il bene. Perseverare è rimanere costanti nel bene, soprattutto quando la realtà attorno spinge a fare altro. Facciamo qualche esempio: so che pregare è importante, ma anch'io, come tutti, ho sempre molto da fare, e allora rimando: "No, adesso sono indaffarato, non posso, la faccio dopo". Oppure, vedo tanti furbi che approfittano delle situazioni, che "dribblano" le regole, e smetto pure io di osservarle, di perseverare nella giustizia e nella legalità: "Ma se questi furbi lo fanno, lo faccio anch'io". Stai attendo a questo! Ancora: faccio un servizio nella Chiesa, per la comunità, per i poveri, ma vedo che tanta gente nel tempo libero pensa solo a divertirsi, e allora mi vien voglia di lasciar stare e fare come loro. Perché non vedo dei risultati o mi annoio o non mi rende felice.
Perseverare, invece, è restare nel bene. Chiediamoci: come va la mia perseveranza? Sono costante oppure vivo la fede, la giustizia e la carità a seconda dei momenti: se mi va prego, se mi conviene sono corretto, disponibile e servizievole, mentre, se sono insoddisfatto, se nessuno mi ringrazia, smetto? Insomma, la mia preghiera e il mio servizio dipendono dalle circostanze o da un cuore saldo nel Signore? Se perseveriamo - ci ricorda Gesù - non abbiamo nulla da temere, anche nelle vicende tristi e brutte della vita, nemmeno del male che vediamo attorno a noi, perché rimaniamo fondati nel bene. Dostoevskij scrisse: «Non abbiate paura dei peccati degli uomini, amate l'uomo anche col suo peccato, perché questo riflesso dell'amore divino è il culmine dell'amore sulla terra» (I fratelli Karamazov, II,6,3g). La perseveranza è il riflesso nel mondo dell'amore di Dio, perché l'amore di Dio è fedele, è perseverante, non cambia mai.

(Francesco, Angelus, 13 novembre 2022)



Testimonianza di Parola vissuta

Mia sorella mi dice spesso parole offensive che sono difficili da sopportare. Adesso però ho imparato che posso unire questa sofferenza a quelle di Gesù , che è infinitamente buono e tutto mi diventa più facile. Così sono libera nel cuore ed è più facile aiutare le persone che mi circondano e questo è molto importante.

Dalla scuola media


Una mia compagna di classe non riusciva ad aprire la bottiglietta dell'acqua. L'ho aiutata appoggiando la bottiglietta sul banco, ma lei l’ha fatta cadere. La colpa era sua e toccava a lei pulire. Ma mi sono presa io la colpa e l'ho aiutata a pulire.

Dalla scuola elementare

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Cristo Re - 34a domenica del tempo ordinario (23 novembre 2025)
Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno (Lc 23,42)

Le Letture bibliche che sono state proclamate hanno come filo conduttore la centralità di Cristo.
Cristo è il centro della storia dell'umanità, e anche il centro della storia di ogni uomo. A Lui possiamo riferire le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce di cui è intessuta la nostra vita. Quando Gesù è al centro, anche i momenti più bui della nostra esistenza si illuminano, e ci dà speranza, come avviene per il buon ladrone nel Vangelo di oggi.
Mentre tutti gli altri si rivolgono a Gesù con disprezzo - "Se tu sei il Cristo, il Re Messia, salva te stesso scendendo dal patibolo!" - quell'uomo, che ha sbagliato nella vita, alla fine si aggrappa pentito a Gesù crocifisso implorando: «Ricordati di me, quando entrerai nel tuo regno». E Gesù gli promette: «Oggi con me sarai nel paradiso»: il suo Regno. Gesù pronuncia solo la parola del perdono, non quella della condanna; e quando l'uomo trova il coraggio di chiedere questo perdono, il Signore non lascia mai cadere una simile richiesta. Oggi tutti noi possiamo pensare alla nostra storia, al nostro cammino. Ognuno di noi ha la sua storia; ognuno di noi ha anche i suoi sbagli, i suoi peccati, i suoi momenti felici e i suoi momenti bui. Ci farà bene, in questa giornata, pensare alla nostra storia, e guardare Gesù, e dal cuore ripetergli tante volte, ma con il cuore, in silenzio, ognuno di noi: "Ricordati di me, Signore, adesso che sei nel tuo Regno! Gesù, ricordati di me, perché io ho voglia di diventare buono, ho voglia di diventare buona, ma non ho forza, non posso: sono peccatore, sono peccatore. Ma ricordati di me, Gesù! Tu puoi ricordarti di me, perché Tu sei al centro, Tu sei proprio nel tuo Regno!". Che bello! Facciamolo oggi tutti, ognuno nel suo cuore, tante volte. "Ricordati di me, Signore, Tu che sei al centro, Tu che sei nel tuo Regno!".
La promessa di Gesù al buon ladrone ci dà una grande speranza: ci dice che la grazia di Dio è sempre più abbondante della preghiera che l'ha domandata. Il Signore dona sempre di più, è tanto generoso, dona sempre di più di quanto gli si domanda: gli chiedi di ricordarsi di te, e ti porta nel suo Regno! Gesù è proprio il centro dei nostri desideri di gioia e di salvezza. Andiamo tutti insieme su questa strada!

(Francesco, Omelia, 24 novembre 2013)



Testimonianza di Parola vissuta

Ultimamente, contro ogni previsione, ci siamo visti assegnare un lavoro per il quale ci eravamo presentati assieme ad altre ditte associate.
Ci siamo chiesti come fosse stato possibile, visto che le ditte concorrenti avevano offerto prezzi più vantaggiosi. Abbiamo poi scoperto che uno dei nostri soci, a nostra insaputa, aveva fatto pressione su un amministratore pubblico perché manomettesse i documenti del concorso e la scelta cadesse su di noi. Per noi è stato un duro colpo, ci siamo sentiti messi in trappola dagli amici. Dopo aver discusso col socio in questione, che con rincrescimento ha ammesso l’azione disonesta, abbiamo tentato il tutto per tutto: prima che l’assegnazione del lavoro diventasse ufficiale ci siamo rivolti all’amministratore pubblico, chiedendogli di riammettere le altre ditte al concorso.
Evidentemente così abbiamo perso il lavoro, ma abbiamo ritrovato un rapporto di verità, di rinnovata amicizia e fiducia con il nostro socio che ha sottoscritto idealmente davanti a noi una dichiarazione di onestà.

E.D.C.

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