XI Domenica del Tempo ordinario (B)




Omelie - Il Vangelo della domenica
a cura di Goffredo Boselli
Vita Pastorale (n. 6/2024)


ANNO B – 16 giugno 2024
XI Domenica del Tempo ordinario

Ezechiele 17,22-24 • Salmo 91 • 2Corinzi 5,6-10 • Marco 4,26-34
(Visualizza i brani delle Letture)


LA VITA È NEL SEME

Il regno di Dio è in mezzo a noi, tra di noi, anzi è in noi come la vita è nel seme. Perché il regno di Dio è vivo, germoglia, cresce, matura e fin da ora porta i suoi frutti. È una realtà viva e per questo Gesù non ricorre a concetti per descriverlo ma lo narra raccontando delle parabole semplici e immediate che descrivono immagini di vita.
«Così è il regno di Dio:come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa». Il regno di Dio non è il frutto dell'azione umana, non lo costruisce né l'uomo né la Chiesa. Ciò che l'uomo deve limitarsi a fare è predisporre la terra lavorandola e poi gettare il seme, avendo fiducia nella vita che esso contiene. La Chiesa ha la responsabilità del gesto iniziale, quello di predicare «l'evangelo del Regno di Dio» (At 8,12) e lasciare al terreno, che è il cuore dell'uomo, fare il suo lavoro: è la terra che lo fa crescere. «Dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa». Sceso nel cuore della storia il seme del regno cresce, ma la sua crescita fa a meno del seminatore che può dormire o vegliare senza alcuna differenza. Questo è un grande insegnamento per la Chiesa che deve prendere atto che la sua frenesia pastorale non incide per nulla sulla crescita del regno di Dio nel mondo. Infatti, prosegue Gesù, «il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga». Spontaneamente (automate), che non significa in modo automatico ma naturalmente, da sé, per forza propria e senza un intervento esterno grazie alle misteriose energie che contiene.
Nella seconda parabola, il regno di Dio è paragonato a un granellino di senape che è «il più piccolo di tutti i semi», ma quando cresce diventa «il più grande di tutte le piante». Il messaggio di questa parabola è che la forza di un seme non sta nella sua grandezza ma nella vita che contiene. Certo, questo contrasto simbolico tra il più piccolo che diventa il più grande rappresenta il regno di Dio che da inizi umilissimi si trasforma in un grande albero che offre rifugio e protezione. Ma ancor di più, il senso della parabola è che il regno di Dio è nel mondo come la forza vitale contenuta nel più piccolo dei semi. Sì, lo ripetiamo, la forza di un seme non sta nella sua grandezza ma nella vita che contiene.
Le parabole di Gesù sono un tributo alla bellezza delle creature, di ogni essere in cui c'è alito di vita. Sono un atto di sconfinata fiducia nella capacità di ascolto dell'uomo. E l'evangelista Marco mostra d'averlo ben capito: «Con molte parabole simili annunciava loro la Parola, secondo quanto erano capaci di ascoltare, anzi, senza qualche parabola non parlava loro» (Bibbia Einaudi). Le parabole sono il frutto della capacità contemplativa di Gesù, della sua penetrazione del reale, dell'assoluta concretezza del suo pensiero, del suo discernimento di cosa c'è nel cuore dell'uomo, del suo sguardo che sa vedere l'invisibile, della sua intelligenza che sa cogliere la verità profonda di ogni cosa, della sapienza nascosta in un sasso, della lezione custodita da una foglia... della vita racchiusa in un seme.
Le parabole di Gesù sono la poesia del Vangelo, attraverso di esse trasfigura il mondo come la luce del Tabor ha trasfigurato il suo corpo.


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